Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23561 del 11/11/2011

Cassazione civile sez. III, 11/11/2011, (ud. 29/09/2011, dep. 11/11/2011), n.23561

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20333/2009 proposto da:

ZU.CL. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA ANAPO 20, presso lo studio dell’avvocato RIZZO CARLA,

rappresentato e difeso dall’avvocato CHIOCCHETTI Giuseppe con Studio

in 38068 ROVERETO (TN), C. SO ROSMINI 76 giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Z.I. (OMISSIS), Z.M.

(OMISSIS) e per esso il suo tutore Sig.ra C.B.,

C.B. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA VARRONE 9, presso lo studio dell’avvocato VANNICELLI

Francesco, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati

PASOLLI PAOLO, ZANETTI GIANMARCO giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

ASSICURAZIONI GENERALI S.P.A., AZIENDA PROVINCIALE PER I SERVIZI

SANITARI DELLA PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO, M.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 124/2009 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 16/05/2009, R.G.N. 218/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/09/2011 dal Consigliere Dott. ADELAIDE AMENDOLA;

udito l’Avvocato CARLA RIZZO per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del 19 marzo 1998 Z.I. e C.B., in proprio e quali legali rappresentanti del figlio minore M., convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Rovereto l’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari della Provincia di Trento, il dottor Zu.Cl. e la dottoressa M.R. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti per effetto delle lesioni riportate da Z.M. al momento della nascita.

I convenuti, costituitisi in giudizio, contestarono la domanda, l’Azienda Provinciale chiedendo e ottenendo di chiamare in causa Assicurazioni Generali s.p.a..

Con sentenza del 3 giugno 2004 il giudice adito, accertata la responsabilità dello Zu. e dell’Azienda Provinciale nella causazione delle lesioni riportate da Z.M., li condannò, in solido tra loro, al pagamento della somme di Euro 643.015,00, in favore di Z.M., e di Euro 227.246,00, in favore di C.B. e di Z.I., oltre accessori;

condannò le Assicurazioni Generali a tenere indenne l’Azienda Sanitaria dal pagamento di quanto dovuto, nei limiti del massimale di polizza; respinse le pretese avanzate nei confronti della dottoressa M..

Proposto gravame principale dallo Zu. e incidentale dalla società assicuratrice, dall’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari e dai coniugi Z., la Corte d’appello, in data 16 maggio 2009, in parziale riforma della impugnata sentenza, ha confermato, per quanto qui interessa, l’affermazione di responsabilità di Zu.Cl. e dell’Azienda Provinciale, condannandoli al pagamento di somme ulteriori, rispetto a quelle riconosciute dal primo giudice.

In motivazione il giudicante, all’esito di un articolato esame delle emergenze istruttorie, ha ritenuto dimostrato che la causa della paralisi cerebrale da cui era affetto il piccolo M. fosse ascrivibile a una sofferenza fetale insorta durante il travaglio del parto, paralisi i cui danni, di natura ipossico-ischemica, avrebbero verosimilmente potuto essere evitati con l’esecuzione di un taglio cesareo. Ha segnatamente evidenziato la Curia trentina che solo il medico e la struttura sanitaria, in base al principio della vicinanza della prova, avrebbero potuto e dovuto dimostrare, attraverso la produzione dei tracciati cardiotografici inerenti le ultime fasi del parto tracciati andati invece perduti – che, al contrario, siffatta sofferenza doveva farsi risalire a un’epoca antecedente e non era pertanto altrimenti neutralizzabile.

Per la cassazione di detta pronuncia ricorre a questa Corte Zu.Cl., formulando quattro motivi e notificando l’atto a Z.I., a C.B., in proprio e nella qualità di tutrice del figlio M., all’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari della Provincia Autonoma di Trento, a M.R. e alle Assicurazioni Generali s.p.a..

Resistono con controricorso Z.I. e C.B., mentre nessuna attività difensiva hanno svolto gli altri intimati.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Con il primo motivo l’impugnante denuncia vizi motivazionali in relazione al rilievo dato dal giudice di merito all’unica prova documentale mancante – i tracciati cardiotografici inerenti le ultime fasi del parto – in un contesto in cui era invece stato completamente pretermesso l’esame tanto della cartella clinica versata in atti, quanto della deposizione dell’ostetrica B.C., presente al parto, resa all’udienza del 26 gennaio 2000.

1.2 Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dei principi costituzionali in tema di equo processo.

Assume che erroneamente la Corte d’appello di Trento avrebbe dichiarato inammissibile, perchè tardiva, la domanda di manleva avanzata dallo Zu. nei confronti dell’Azienda Sanitaria, in quanto proposta solo in sede di precisazione delle conclusioni, senza considerare che essa era stata articolata solo dopo la verifica ufficiale dello smarrimento dei tracciati cardiotografici, circostanza, questa, che fino a tutto il 1999, l’Azienda aveva sottaciuto e che quindi non poteva essere eccepita nè in comparsa di costituzione nè entro i termini di cui all’art. 183 cod. proc. civ..

Aggiunge che la domanda riconvenzionale poteva valere, nei rapporti interni tra lo Zu. e l’Azienda, come eccezione riconvenzionale.

1.3 Con il terzo motivo critica, siccome viziata da violazione o falsa applicazione di norme di diritto, l’ammissione dei testi G. e Ma., tardivamente indicati e che avrebbero irritualmente espresso giudizi.

2 Le censure, che si prestano a essere esaminate congiuntamente per la loro evidente connessione, sono, per certi aspetti inammissibili, per altri, infondate, e tanto anche a prescindere dai profili di astrattezza e di genericità dei quesiti formulati a chiusura del secondo e del terzo mezzo.

Esse sono, anzitutto, gravemente carenti sotto il profilo dell’autosufficienza.

Si ricorda che, a integrare tale requisito, sia che siano in gioco atti processuali, sia che vengano in rilievo documenti o prove orali la cui valutazione debba essere fatta ai fini dello scrutinio di un vizio di violazione di legge, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 3, o di carenze motivazionali, ex n. 5, ovvero ancora di un vizio integrante error in procedendo ai sensi dei numeri 1, 2 e 4 della medesima norma, è necessario non solo che il contenuto dell’atto o della prova orale o documentale sia riprodotto nel ricorso, ma anche che risulti indicato il momento del giudizio di merito in cui il primo sia stato emesso, o la sede processuale in cui la produzione documentale sia avvenuta nonchè il punto in cui nel fascicolo d’ufficio o in quelli di parte, rispettivamente acquisito e prodotti in sede di giudizio di legittimità, i documenti siano rinvenibili (confr. Cass. civ., 23 marzo 2010, n. 6937; Cass. civ. 12 giugno 2008, n. 15808; Cass. civ. 25 maggio 2007, n. 12239).

Trattasi di un duplice onere – riguardante, l’uno il contenente e l’altro il contenuto dell’atto o della prova su cui si sollecita l’attenzione della Corte – che l’art. 366 cod. proc. civ., comma 1, n. 6, impone al fine di consentire al giudice di legittimità di effettuare illico et immediate i necessari controlli di fondatezza e decisività della doglianza, di talchè la mancata ottemperanza anche a uno soltanto di essi rende il motivo inammissibile (Cass. civ. 4 settembre 2008, n. 22303).

3 Venendo al caso di specie, l’impugnante omette qualsivoglia indicazione sul contenuto sensibile sia della cartella clinica che della prova orale di cui il giudice di merito avrebbe fatto malgoverno. E omette altresì di specificare se, emerso per la prima volta, a seguito dell’ordinanza del 7 novembre 1999 avente ad oggetto l’ordine di esibizione dei tracciati cardiotocografici, che gli stessi erano andati perduti (confr. pagg. 4/5 del ricorso), egli ebbe o meno ad avanzare immediatamente istanza di rimessione in termini ai fini della proposizione di domanda di manleva nei confronti dell’Azienda Sanitaria: non par dubbio, infatti, che, ove ciò non avvenne, deve ritenersi corretto il giudizio di inammissibilità, per tardività, della relativa richiesta, avanzata, per quanto risulta dalla sentenza impugnata, solo in sede di precisazione delle conclusioni, all’esito, dunque, dell’espletamento dell’intera fase istruttoria. E invero, presupposto consustanziale all’istituto della rimessione in termini, tanto nella versione prevista dall’art. 184 bis cod. proc. civ., quanto in quella di più ampia portata prefigurata nel novellato art. 153 cod. proc. civ., comma 2, è la tempestività dell’iniziativa della parte che assume di essere incorsa nella decadenza per causa ad essa non imputabile, tempestività da intendere come immediatezza della reazione della parte al palesarsi della necessità di svolgere un’attività processuale ormai preclusa.

Nè giova all’impugnante l’allegazione che, nei rapporti interni tra i convenuti Zu. e l’Azienda Sanitaria la domanda riconvenzionale poteva valere come eccezione riconvenzionale, essendo peraltro anche oscura l’utilità pratica della distinzione, nel contesto processuale di riferimento.

4 Sotto altro, concorrente profilo, va poi osservato che le doglianze, attraverso la surrettizia denuncia di vizi di violazione di legge e di carenze motivazionali, in realtà inesistenti, mirano a sollecitare una rivalutazione dei fatti e delle prove inammissibile in sede di legittimità. In proposito non sembra inutile ricordare che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione dell’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta prevista da una disposizione, e quindi, implica necessariamente questioni interpretative, laddove l’allegazione dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, è esterna all’ermeneutica normativa, attenendo piuttosto alle valutazioni proprie del giudice del merito, valutazioni la cui censura è possibile, nel giudizio di cassazione, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Resta tuttavia fermo che non può essere considerato vizio logico della motivazione la maggiore o minore rispondenza della ricostruzione operata dal giudice di merito alle circostanze emerse nel corso del processo o una esposizione dei dati che non instauri tra gli stessi il collegamento ritenuto più opportuno e più appagante, in quanto tutto ciò rimane all’interno delle possibilità di apprezzamento e, non contrastando con la logica e con le leggi della razionalità, appartiene al convincimento del decidente, senza renderlo viziato ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ. (confr. Cass. civ. 26 febbraio 2003, n. 2869).

5 Privo di pregio è anche il quarto motivo di ricorso, con il quale il ricorrente contesta la valutazione espressa dal consulente tecnico in ordine alla mancata effettuazione di analisi che, in realtà, presupponevano l’uso di attrezzature non disponibili nel momento in cui si verificò la vicenda che ha originato il presente giudizio.

Trattasi, invero, di questione in alcun modo trattata nella sentenza impugnata, di talchè il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, aveva l’onere non solo di allegarne l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo aveva fatto, onde dar modo alla Corte di controllare de visu la veridicità di tale asserzione (confr. Cass. civ. sez. lav. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. civ. 1, 31 agosto 2007, n. 18440).

E a questi fini non può certamente essere sufficiente l’assunto di avere inutilmente chiesto in appello che fosse disposta un’ulteriore indagine tecnica per verificare gli standard dell’epoca e poi di tenerli presenti nel l’esame dei fatti, trattandosi di deduzione che, in mancanza di qualsivoglia indicazione dei protocolli e delle tecnologie il cui mancato uso sarebbe stato ascritto al sanitario, nonchè del peso che tale rilievo avrebbe avuto nella formazione del convincimento del giudice di merito, è, a tacer d’altro, assolutamente generica.

Il ricorso è respinto.

L’appellante rifonderà alla controparte le spese di causa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 13.200,00 (di cui Euro 13.000,00 per onorari), oltre I.V.A. e C.P.A., come per legge.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2011

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