Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2356 del 02/02/2010

Cassazione civile sez. III, 02/02/2010, (ud. 25/11/2009, dep. 02/02/2010), n.2356

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – rel. Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 18021/2005 proposto da:

CAVA SAN CRISTOFORO DI MICALONI ORLANDO & C SAS IN

LIQUIDAZIONE

(OMISSIS) in persona del liquidatore Rag. S.L.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 43, presso lo

studio dell’avvocato MAGNONI FABIO, rappresentato e difeso

dall’avvocato MARINETTI FRANCESCA con delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

SE.RI.T. SERVIZIO RISCOSSIONE TRIBUTI RIETI SOCIETA’ interamente

partecipata dalla CASSA DI RISPARMIO di Rieti SPA (OMISSIS),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 197, presso lo

studio dell’avvocato NAPOLEONI MARIA CRISTINA, rappresentato e difeso

dall’avvocato PISELLI FRANCESCO con delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

M.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3241/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA, Prima

Sezione, emessa il 18/06/2004; depositata il 12/07/2004; R.G.N.

1594/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/11/2009 dal Consigliere Dott. PETTI Giovanni Battista;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto notificato il 24 gennaio 1997 la Cassa di Risparmio di Rieti, quale concessionario del servizio di riscossione tributi pignorava in danno di M.A., socio della s.a.s. Cava San Cristoforo in liquidazione, le somme spettanti al sfocio, quali risulteranno all’esito della liquidazione. La Cava compariva dinanzi al Pretore di Rieti e dichiarava che “essendo la liquidazione in corso, nessuna somma era disponibile in favore del socio M.”.

2. La Cassa con citazione dinanzi al Tribunale di Rieti del 14 marzo 1997 proponeva domanda di accertamento dell’obbligo del terzo. Si costituiva il M. e contestava il fondamento delle pretese e la inammissibilità o improponibilità della azione. A tale processo era riunito altro, tra le stesse parti, per altro credito fiscale.

Veniva quindi disposta ed espletata consulenza contabile per accertare il valore della quota di partecipazione del socio.

3. Il Tribunale di Rieti,con sentenza del 30 ottobre 2001 così decideva: accerta che la soc. CAVA è tenuta a corrispondere al M. quale valore della quota capitale la somma di cento milioni; condanna i convenuti M. e Cava alla rifusione delle spese del grado, assegna termine di 90 giorni per la riassunzione dei procedimenti esecutivi dinanzi al giudice della esecuzione.

4. Contro la decisione proponeva appello la CAVA in liquidazione (contumace in primo grado) chiedendone la riforma per essere la quota impignorabile ed errata la stima fatta dal CTU; concludeva per il rigetto delle domande nelle cause riunite in quanto inammissibili e improponibili; resisteva la Cassa e proponeva appello incidentale,restava contumace il M..

5. La Corte di appello di Roma, con sentenza del 12 luglio 2004 così decideva: rigetta l’appello principale della Cava, accoglie l’appello incidentale della Cassa e in parziale riforma della sentenza assegna termine di giorni novanta, dal passaggio in giudicato della presente sentenza per la riassunzione dei procedimenti esecutivi dinanzi al giudice dell’esecuzione, condanna l’appellante alla rifusione delle spese del grado in favore della cassa, nulla per le spese tra l’appellante e l’appellato contumace M..

6. Contro la decisione ricorre la CAVA sulla base di unico motivo, resiste la SERIT SPA DI RIETI (AVENTE CAUSA DALLA CASSA DI RIETI) con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso non merita accoglimento.

Deduce il ricorrente s.a.s. CAVA SAN CRISTOFORO nell’unico motivo “violazione e falsa applicazione delle norme di diritto (art. 2305 c.c. in combinato disposto con gli artt. 2311 e 2312 c.c. con riferimento all’art. 2315 c.c. e violazione dell’art. 2382 c.c.), nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo”.

La tesi, svolta nel corpo del motivo (ff 8 a 12 del ricorso), è che correttamente la Corte di appello individua l’oggetto del giudizio nella stima approssimativa della quota futura di liquidazione, ma poi erroneamente ritiene congrua la determinazione della quota sociale in L. 100 milioni. Si deduce il vizio della motivazione sul punto e si aggiunge anche la violazione dell’art. 2305 c.c. ritenuto applicabile in via estensiva, che esprime il principio secondo cui il creditore particolare del socio, finchè dura la società non può chiedere la liquidazione della quota del socio debitore”.

La Corte di merito si sarebbe dovuta limitare ad accertare che l’organo di liquidazione della Cava sarà obbligata a corrispondere al Servizio riscossione dei tributi una somma pari al 25% dell’attivo del bilancio finale di liquidazione ed a predisporre il piano di riparto direttamente a favore del creditore particolare, (cfr. ff. 13 del ricorso).

In senso contrario si osserva che il motivo, nella sua formulazione, si discosta dalle conclusioni svolte in appello e riprodotte in calce alla sentenza, prima della narrativa, introducendo per la prima volta in questa sede questioni nuove o temi di contestazione non trattati nel grado di appello nè rilevabili di ufficio.

In particolare si rileva che nell’atto di appello la società Cava san Cristoforo si è doluta del fatto che il tribunale abbia determinato il quantum con riferimento alla quota di partecipazione mentre oggetto del pignoramento la quota di liquidazione (cfr.ff. 7 ed 8 dello appello); manca nell’atto di appello uno specifico motivo circa la impossibilità di determinare in sede di giudizio, ai sensi dell’art. 458 c.p.c. il valore della quota di liquidazione e sul punto la statuizione del primo giudice deve ritenersi coperta dal giudicato.

Parimenti inammissibile è la questione sollevata per la prima volta in Cassazione della pretesa violazione dell’art. 2305 c.c. in quanto questione nuova, mentre le eccezioni difensive della ricorrente si sono incentrate nei gradi di merito nella contestazione della pignorabilità della quota di partecipazione e/o liquidazione ai sensi dell’art. 2270 c.c.. Tale questione non risulta riproposta nel presente gravame. In conclusione le due rationes decidendi espresse chiaramente a ff. 7 della motivazione della Corte di appello Romana, non risultano oggetto di specifica impugnazione e resta ferma la statuizione secondo cui il pignoramento della quota di liquidazione del socio deve essere ritenuto valido ed efficace proprio per non privare il creditore particolare del socio della possibilità di fruire di un atto conservativo di incisiva portata cautelare (ff. 7 ultimo periodo).

Non sussiste pertanto alcuna violazione delle norme sostanziali invocate e la congruità della valutazione contabile esprime un prudente apprezzamento di merito non sindacabile in questa sede.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione in favore della resistente SE.RIT Rieti spa, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la soc. ricorrente Cava di San Cristoforo in liquidazione, a rifondere alla SE.RIT Rieti spa, le spese del giudizio di cassazione liquidate in complessive Euro 4.200,00 di cui 200,00 o per spese, oltre accessori e spese generali come per legge.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2010

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