Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23559 del 23/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 23/09/2019, (ud. 28/03/2019, dep. 23/09/2019), n.23559

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14043-2018 proposto da:

F.I., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

FRANCESCO RICCOTTI;

– ricorrente –

contro

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

RINALDO OCCHIPINTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 205/2017 del TRIBUNALE di RAGUSA, depositata

il 14/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 28/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLA

PELLECCHIA.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Nel 1991, M.G. conveniva in giudizio il geometra F.I. per sentirlo condannare al pagamento di Lire 3.629,500 per i lavori effettuati nel 1989 in (OMISSIS). Parte convenuta si costituiva contestando la pretesa attorea, nonchè la propria legittimazione passiva. Con sentenza 78/2001, il Giudice di Pace di Modica condannava il F. al pagamento della somma pretesa dall’attore. Parte soccombente proponeva appello dinanzi al Tribunale di Modica, che con sentenza 226/2005 veniva rigettato. Il F. impugnava la sentenza di seconde cure in sede di legittimità. Con sentenza 805/2012, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso, stante l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza pronunciata dal Tribunale di Modica. Il F. provvedeva ex art. 392 c.p.c., a riassumere il giudizio davanti al Tribunale di Modica, in funzione di giudice d’appello.

2. Con sentenza 205/2017, del 14 dicembre 2017, il Tribunale di Ragusa (ex Tribunale di Modica) dichiarava l’infondatezza del gravame, confermando la sentenza 78/2001 del GdP di Modica. Il Giudicante osservava che in materia di mandato con rappresentanza, elemento imprescindibile ai fini dell’imputazione del rapporto contrattuale a soggetto diverso da quello che lo ha concluso è la spendita del nome del rappresentato; sicchè, in mancanza, il contraente deve intendersi personalmente vincolato ex art. 1372 c.c.. Tanto premesso, il F. non avrebbe assolto all’onere di dimostrare di aver speso il nome dei proprietari del terreno interessato dai lavori eseguiti dal M..

3. Avverso tale pronuncia F.I. propone ricorso per cassazione, per due motivi. M.G. resiste con controricorso.

4. E’ stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. A seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, reputa il Collegio, con le seguenti precisazioni di condividere la proposta del relatore.

6.1. Con il primo motivo il ricorrente si duole dell’illegittimità e dell’infondatezza del provvedimento impugnato per erroneità, contraddittorietà ed illogicità delle valutazioni operate dal Giudice d’appello, siccome fondate su erronei presupposti di fatto ed in violazione delle norme sul mandato con e senza rappresentanza in riferimento alla figura professionale del Direttore dei Lavori. In particolare, si assume che la rappresentanza è un elemento insito nel ruolo di direttore dei lavori.

6.2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, qual è il ruolo, la funzione ed il potere di rappresentanza del direttore dei lavori.

7. Il gravame è inammissibile, ed i due motivi di ricorso – stante la comunanza dell’oggetto – sono suscettibili di essere esaminati congiuntamente.

Innanzitutto è inammissibile per inerenza al giudizio di fatto e per formulazione dei motivi in base al previgente art. 360 c.p.c., n. 5, e sono anche fuori dai limiti posti dalle SS.UU. n. 8053-8054/2014. L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Inoltre le doglianze, come sopra detto, sono manifestamente volte ad ottenere una rivalutazione dei fatti di causa, limitandosi il ricorrente a lamentare l’adozione, ad opera del giudice d’appello, di una determinazione non conforme alla propria tesi difensiva, non rinvenendosi concretamente nel dispositivo impugnato vizi logici o giuridici idonei ad inficiarlo.

In secondo luogo sarebbero anche inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, che onera il ricorrente della specifica indicazione dei documenti e degli atti processuali su quali il ricorso si fonda. Ebbene, il primo mezzo si articola intorno alle quietanze di pagamento rilasciate al F., nonchè sulle testimonianze assunte nei gradi di merito, delle quali manca ogni puntuale indicazione.

8. In conclusione, il ricorso deve essere respinto. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione sesta della Corte Suprema di Cassazione, il 28 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2019

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