Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23558 del 11/11/2011

Cassazione civile sez. III, 11/11/2011, (ud. 22/09/2011, dep. 11/11/2011), n.23558

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 3025/2010 proposto da:

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA (OMISSIS), MINISTERO

ECONOMIA FINANZE, MINISTERO SALUTE in persona dei Ministri p.t.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende per

legge;

– ricorrenti –

contro

I.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 4880/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/12/2009 R.G.N. 7934/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato ETTORE FIGLIOLIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso con il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Con citazione del 2 novembre 2002 I.G., adducendo di essere medico specialista e di avere frequentato presso l’Università degli Studi di Siena il relativo corso di specializzazione di durata triennale, nel periodo precedente l’anno accademico 1991/92, conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, il Ministero della salute, il Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica e la detta Università e chiedeva accertarsi che esso deducente aveva frequentato assiduamente il corso di specializzazione senza ricevere alcuna remunerazione e che aveva diritto, ai sensi della direttiva 82/76/CEE, recepita parzialmente dallo Stato Italiano, con il D.Lgs. n. 257 del 1991, oltre i termini, e comunque in violazione degli obblighi imposti dal Trattato CEE, al riconoscimento dell’adeguata remunerazione e la condanna in solido dei convenuti al pagamento di questa ed al risarcimento del danno conseguente al tardivo recepimento della direttiva.

1.1.- Si costituiva in primo grado soltanto l’Università degli Studi di Siena ed eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, nonchè la prescrizione del diritto vantato dall’attore ai sensi dell’art. 2947 c.c..

Veniva dichiarata la contumacia degli altri convenuti; nel corso del giudizio di primo grado parte attrice dichiarava di rinunciare alla domanda proposta nei soli confronti della Università.

2.- Con sentenza del 24-30 settembre 2004 il Tribunale di Roma accoglieva l’eccezione di prescrizione con riferimento alla domanda risarcitoria e respingeva la domanda dell’attore.

3.- La sentenza veniva appellata davanti alla Corte d’Appello di Roma dal Dott. I.G., che lamentava l’erroneità della pronuncia di primo grado per non aver considerato la contumacia delle Amministrazioni statali convenute ed avere perciò erroneamente accolto l’eccezione di prescrizione sollevata soltanto dall’Università; nonchè per non avere considerato la rinuncia alla domanda nei confronti di quest’ultima.

Si costituivano in appello il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il Ministero della salute ed il Ministero dell’economia e delle finanze, nonchè l’Università di Siena, contestando la fondatezza del gravame e rilevando in particolare che la rinuncia alla domanda non era stata accettata dall’Università e che l’eccezione di prescrizione da questa formulata in primo grado spiegava efficacia in favore di tutti i convenuti.

3.1.- La Corte d’Appello, con sentenza del 14 dicembre 2009, in riforma della sentenza impugnata ed in parziale accoglimento dell’impugnazione, ha dichiarato cessata la materia del contendere relativamente alla domanda proposta nei confronti dell’Università degli Studi di Siena ed ha condannato i Ministeri costituiti in appello al risarcimento dei danni in favore dell’appellante per la complessiva somma di Euro 90.000,00, comprensiva di rivalutazione ed interessi fino alla pronuncia, oltre interessi successivi; con compensazione delle spese nei confronti dell’Università e condanna degli altri appellati al pagamento delle spese del doppio grado.

4.- Contro questa sentenza propongono ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il Ministero della salute ed il Ministero dell’economia e delle finanze.

Non si difende l’intimato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione artt. 1306, 1310, 2937, 2939 cod. civ.; D.Lgs. n. 257 del 1991, art. 6; D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 1, comma 2; art. 360 c.p.c., n. 3”.

Vi si deduce che erroneamente la Corte territoriale non avrebbe dichiarato la prescrizione del diritto al risarcimento nei confronti degli attori “in conseguenza dell’eccezione di prescrizione formulata dall’Ateneo statale di Siena”. Sostengono i ricorrenti che si potrebbero giovare dell’eccezione di prescrizione tempestivamente sollevata dall’Università, perchè quest’ultima sarebbe “condebitore solidale” e “la mancata estinzione dell’obbligazione stessa nei confronti dei Ministeri qui impugnanti genererebbe e genera effetti pregiudizievoli anche per i medesimi enti pubblici eccipienti”. Al riguardo, i ricorrenti richiamano la giurisprudenza di questa Corte a proposito dell’eccezione di prescrizione sollevata dal coobbligato solidale, ritenuta idonea ad estinguere l’obbligazione anche nei confronti del coobbligato non costituito in giudizio, sempre che si possa riscontrare un effetto indiretto negativo nei confronti della situazione di titolarità dell’eccipiente alla eventuale persistenza dell’obbligazione medesima.

1.1.- Il motivo è infondato.

La giurisprudenza richiamata dai ricorrenti, intanto, non disattende affatto il principio, ribadito da questa Corte anche in tempi recenti (cfr. Cass. n. 7800/2010), per il quale l’eccezione di prescrizione sollevata da uno solo dei condebitori in solido non giova agli altri (così già Cass. n. 5261/01); in particolare, secondo il precedente richiamato in ricorso, l’eccezione opera tutte le volte in cui la mancata estinzione del rapporto obbligatorio nei confronti di coloro che non si sono costituiti in giudizio, possa comportare effetti pregiudizievoli per il soggetto costituito ed eccipiente (così Cass. n. 6934/07).

Anche tale limitata operatività, peraltro, presuppone la sussistenza di un’obbligazione della quale debbano rispondere in solido il convenuto che abbia eccepito la prescrizione e colui che non si sia costituito.

Nel caso di specie è però da escludere la sussistenza di una responsabilità solidale dell’Università degli Studi di Siena.

La domanda dell’attore va qualificata, come ha fatto dalla Corte d’Appello di Roma, e come ulteriormente si dirà trattando degli altri motivi di ricorso, alla stregua di Cass. sez. un. n. 9147 del 2009, come domanda di risarcimento danni per inadempimento dello Stato per omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore nel termine prescritto da direttive comunitarie non autoesecutive.

Essendo tale qualificazione corrispondente all’unico diritto configurabile in relazione alla vicenda, la legittimazione passiva in senso sostanziale all’azione di risarcimento danni basata sull’obbligo insorto per effetto dell’inadempimento statuale quale fatto rilevante ai sensi dell’art. 1173 c.c., compete esclusivamente allo Stato Italiano e non, nemmeno per effetto di concorso, alle Università presso le quali la specializzazione venne acquisita. Al riguardo, proprio nella logica di qualificazione della domanda seguita dalle Sezioni Unite, questa Corte si è già pronunciata sia con la sentenza n. 22440 del 2009, che con la sentenza n. 10815 del 2011, alle quali è sufficiente rinviare.

Correttamente, pertanto, il giudice di merito ha deciso che l’eccezione di prescrizione sollevata in primo grado dall’Università non giovasse alle amministrazioni statali convenute.

2.- Col secondo motivo di ricorso, si deduce “violazione art. 2043 cod. civ.; omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio – art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5”.

I ricorrenti richiamano i principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 9147 del 2009, al fine di sostenere che, trattandosi di diritto a natura indennitaria e non risarcitoria, la Corte di merito avrebbe dovuto riconoscere ai medici specializzandi un mero indennizzo, e non liquidare loro somme ingenti a titolo risarcitorio.

2.1. – Col terzo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione art. 112 c.p.c. – Violazione e falsa applicazione D.Lgs. n. 257 del 1991; L. n. 370 del 1999 – art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4”.

La censura è connessa rispetto a quella di cui al secondo motivo di ricorso, sicchè i due motivi vanno trattati congiuntamente, sia pure per giungere al rigetto del terzo ed all’accoglimento del secondo, in ragione di quanto appresso.

3.- In particolare, col terzo motivo di ricorso, si denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., perchè la Corte d’Appello di Roma avrebbe aderito alla ricostruzione dell’istituto operata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 9147/2009, senza che nè in primo grado nè con l’atto di appello la parte attrice avesse formulato la domanda in termini congruenti con tale ricostruzione.

Questa deduzione è infondata poichè risulta chiaramente dagli atti, ma anche dall’illustrazione del motivo, che l’attore, dopo aver svolto una prima domanda di condanna delle amministrazioni statali al pagamento della retribuzione prevista dalle direttive non trasposte, svolse una domanda subordinata di risarcimento del danno per tale mancata trasposizione, tanto da richiamarne a fondamento le sentenze n. 131/99 e 371/00, con le quali la Corte di Giustizia aveva fatto riferimento alla responsabilità dello Stato per il mancato recepimento di dette direttive.

Risulta pertanto che la parte attrice ebbe a seguire, formulando la domanda subordinata, l’indirizzo interpretativo che riconduceva la fattispecie alla norma dell’art. 2043 cod. civ., seguito pure dalle sezioni semplici di questa Corte prima dell’intervento delle Sezioni Unite.

3.1.- Orbene, la qualificazione dell’azione alla stregua dell’insegnamento di Cass. sez. un. n. 9147 del 2009 fatta dalla Corte d’Appello di Roma di contro alla qualificazione seguita dalla parte appellante alla stregua dell’art. 2043 c.c., non può certo giustificare la cassazione della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, proprio perchè non si tratta della pronuncia su una domanda mai proposta, bensì, appunto, di diversa qualificazione di un’unica immutata domanda.

Addirittura, la sostituzione della corretta qualificazione in iure a quella postulata dalla parte sarebbe possibile anche da parte di questa Corte, ove non compiuta dal giudice di merito – come già osservato, tra le altre, in fattispecie analoga alla presente, da Cass. n. 10813/11, che, a sua volta, richiama Cass. S.U. n. 9147/09 cit. perchè “i fatti storici posti a base della domanda ed il petitum di essa e, dunque, il bisogno di tutela giurisdizionale che ha determinato la controversia, non mutano in alcun modo, ma sono soltanto ricondotti al loro corretto referente normativo astratto, nell’esercizio della mera attività di qualificazione in diritto della vicenda e segnatamente della domanda da parte di questa Corte, peraltro sollecitata dal motivo”.

3.2. – Superato come sopra il profilo di censura di cui al terzo motivo, va ribadita la volontà di dare continuità all’insegnamento delle Sezioni Unite sulla qualificazione della pretesa degli specializzandi relativa alla mancata remunerazione per l’attività prestata nell’ambito dei corsi di specializzazione. Insegnamento che si è espresso con il principio di diritto, secondo cui “In caso di omessa o tardiva trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto delle direttive comunitarie (nella specie, le direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, non autoesecutive, in tema di retribuzione della formazione dei medici specializzandi) sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto – anche a prescindere dall’esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsione risarcitoria – allo schema della responsabilità per inadempimento dell’obbligazione ex lege dello Stato, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, dovendosi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario ma non anche alla stregua dell’ordinamento interno. Ne consegue che il relativo risarcimento, avente natura di credito di valore, non è subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa e deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’ idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile, restando assoggettata la pretesa risarcitoria, in quanto diretta all’adempimento di una obbligazione ex lege riconducibile all’area della responsabilità contrattuale, all’ordinario termine decennale di prescrizione”.

Questo principio è stato ribadito con le recenti sentenze nn. 10813, 10814, 10815, 10816 del 2011, alle cui motivazioni si fa integrale rinvio, anche per quanto riguarda l’affermazione dell’antigiuridicità del comportamento dello Stato nell’ambito dell’ordinamento interno; quindi, la riconducibilità al concetto generale dell’obbligazione risarcitoria della pretesa degli specializzandi del risarcimento per mancata adeguata remunerazione.

Si legge, in particolare, in dette motivazioni che “l’inadempimento del legislatore italiano all’attuazione di una direttiva riconoscente in modo specifico determinati diritti ai singoli, ma non self- executing, è venuto a connotarsi sul piano dell’ordinamento interno come fatto generatore di un’obbligazione risarcitoria, cioè come fonte di un’obbligazione di ristoro, ed è evidente che, se da luogo ad un’obbligazione di questo tipo, cioè che impone una prestazione a ristoro dell’inadempimento, tale comportamento si caratterizza necessariamente come antigiuridico anche sul piano dell’ordinamento interno, dato che è da considerare nel suo ambito come fatto produttivo della nascita di un’obbligazione e, quindi, di una conseguenza negativa per lo Stato”.

4.- La ricostruzione che precede comporta peraltro l’accoglimento del secondo motivo di ricorso, sebbene, contrariamente a quanto sembrano ritenere i ricorrenti, l’obbligazione in parola imponga il ristoro dell’intero pregiudizio sofferto dal danneggiato per la mancata trasposizione interna di una direttiva comunitaria.

La qualificazione dell’obbligazione come “indennitaria”, che pure si rinviene nella motivazione della citata sentenza a Sezioni Unite, consegue alla considerazione che la giurisprudenza della Corte di Giustizia (richiamata sia nella stessa sentenza che nelle sentenze del 2011 su citate) esige che l’obbligazione risarcitoria dello Stato non sia condizionata al requisito della colpa; quindi, consegue all’operazione di sistemazione che le Sezioni Unite hanno fatto, collocando la responsabilità dello Stato nell’ambito della norma generale dell’art. 1176 cod. civ., e svincolandola dai presupposti soggettivi dell’art. 2043 cod. civ..

Tuttavia, l’obbligazione in parola si distingue da quella risarcitoria ex art. 2043 cod. civ., per la peculiarità della sua fonte, a prescindere dal contenuto; il contenuto è, infatti, lato sensu risarcitorio, dato che – come affermato anche dalla Corte di Giustizia – l’inadempimento dello Stato ne comporta l’obbligazione di riparare il danno, ma a condizioni non meno favorevoli di quelle che riguardano analoghi reclami di natura interna e comunque non tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento; inoltre, il risarcimento deve essere adeguato al danno subito, spettando all’ordinamento giuridico interno stabilire i criteri di liquidazione, che non possono essere meno favorevoli di quelli applicabili ad analoghi reclami di natura interna, o tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento ed, in ogni caso, non può essere escluso in via generale il risarcimento di componenti del danno, quale il lucro cessante; ancora, il risarcimento non può essere limitato ai soli danni subiti successivamente alla pronunzia di una sentenza della Corte di Giustizia che accerti l’inadempimento. Le Sezioni Unite, richiamati tali principi, hanno affermato che il credito del danneggiato ha natura di credito di valore e che “deve essere determinato, con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, in modo da assicurare al danneggiato un’idonea compensazione della perdita subita in ragione del ritardo oggettivamente apprezzabile”.

Così come formulata, la censura alla sentenza impugnata, se non coglie nel segno nei limiti in cui afferma la natura puramente indennitaria del ristoro di che trattasi, è tuttavia da accogliere per la parte in cui si risolve nella critica dei criteri seguiti dalla Corte d’Appello per la determinazione del quantum nel caso concreto.

4.1.- Il dictum delle sezioni unite di questa Corte in subiecta materia, come sopra riportato comporta, che l'”idonea compensazione” di cui discorrono le sezioni unite debba rispondere, da un canto, al requisito della serietà, congruità e non irrisorietà, dovendosi ristorare un danno alla luce “della perdita subita in conseguenza del ritardo oggettivamente apprezzabile”; dall’altro, in assenza di alcuni degli elementi strutturali dell’illecito aquiliano all’esigenza di non trasmutare in diritto al risarcimento tout court si come predicato dall’art. 2043 c.c.; dall’altro ancora, alla impredicabilità di una identificazione con il corrispettivo di una prestazione eseguita e non retribuita, in un’orbita di pensiero strettamente giuslavoristica e non, come nella specie, “paracontrattuale” da responsabilità statuale per atto privo, sul piano interno, del carattere della illiceità.

La reraunerazione da ritenersi adeguata per la frequenza della scuola di specializzazione in epoca anteriore al 1991 (e la cui perdita lo specializzando ha lamentato sub specie di danno risarcibile) non può essere equiparata alla remunerazione corrisposta per la frequenza dei corsi istituiti a far data dall’anno 1991/1992, poichè, come rilevato anche in altri precedenti di questa Corte, un’ operazione in tal guisa concepita finirebbe per comportare l’applicazione retroattiva del D.Lgs. n. 257 del 1991, e la trasformazione, in altri termini, di una disciplina comunque discrezionale quanto all’individuazione della misura della retribuzione (e pacificamente rimessa al legislatore statuale) e comunque irretroattiva sul piano della sua decorrenza, in una disposizione normativa sostanzialmente retroattiva.

Pertanto, il collegio ritiene di dare seguito, più analiticamente specificandone i contenuti, alla giurisprudenza di questa stessa corte regolatrice che, con la pronuncia n. 5842 del 2010, ha affermato, in argomento, che la mancata trasposizione da parte del legislatore italiano nel termine prescritto dalle direttive comunitarie 75/362/CEE e 82/76/CEE – non autoesecutive in quanto, pur prevedendo lo specifico obbligo di retribuire adeguatamente la formazione del medico specializzando, non consentivano l’identificazione del debitore e la quantificazione del compenso dovuto – fa sorgere il diritto degli interessati al risarcimento dei danni, tra i quali devono comprendersi non solo quelli conseguenti all’inidoneità del diploma di specializzazione (conseguito secondo la previgente normativa) al riconoscimento negli altri Stati membri e al suo minor valore sul piano interno ai fini dei concorsi per l’accesso ai profili professionali, ma anche quelli connessi alla mancata percezione della remunerazione adeguata da parte del medico specializzando”.

4.2.- Al giudice del rinvio è demandato il compito di quantificare tale, peculiare diritto (para)risarcitorio spettante al medico specializzando, quantificazione che non potrà che avvenire sul piano equitativo, secondo canoni di parità di trattamento per situazioni analoghe (cfr. Cass. n. 12408 del 2011).

Parametro di riferimento per il giudice territoriale sarà costituito dalle indicazioni contenute nella L. 19 ottobre 1999, n. 370, con la quale lo Stato italiano ha ritenuto di procedere ad un sostanziale atto di adempimento parziale soggettivo nei confronti di tutte le categorie astratte in relazione alle quali, dopo il 31 dicembre 1982, si erano potute verificare le condizioni fattuali idonee a dare luogo all’acquisizione dei diritti previsti dalle direttive comunitarie, e che non risultavano considerate dal D.Lgs. del 1991.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettati il primo ed il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione anche per la decisione sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2011

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