Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23557 del 09/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 09/10/2017, (ud. 28/06/2017, dep.09/10/2017),  n. 23557

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29688-2014 proposto da:

AZIENDA AGRICOLA TORRE DI BUCCI SNC, D.P.G., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIALE MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato

RENATO MACRO, rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE DE ZIO;

– ricorrenti –

contro

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NICOLA

RICCIOTTI 11, presso lo studio dell’avvocato COSTANZA ACCIAI,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGI ANCONA;

– controricorrente –

nonchè contro

MA.GA.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1396/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 04/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/06/2017 dal Consigliere Dott. SCARPA ANTONIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

D.P.G., in proprio e quale rappresentante della Azienda Agricola Torre di Bucci di D.P.G. e m.m. s.n.c., ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di BARI n. 1396/2013, depositata il 04/11/2013.

Resiste con controricorso M.G., mentre non ha svolto attività difensive l’altro intimato Ma.Ga..

La Corte d’Appello di Bari, pronunciando sugli appelli proposti da M.G. e Ma.Ga., in riforma della sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale di Bari il 05/07/2004, n. 1270/2004, ha condannato l’Azienda Agricola Torre di Bucci s.n.c. al pagamento in favore di M.G. della somma di Euro 24.562,30, oltre IVA, interessi e maggior danno, a titolo di corrispettivo per il lavori edili eseguiti presso la sede della società in (OMISSIS).

La causa aveva avuto inizio con citazione di M.G., il quale aveva convenuto l’Azienda Agricola Torre di Bucci s.n.c., nonchè i singoli soci m.m., D.P.G. e Ma.Ga.. m.m. e D.P.G., nel costituirsi, eccepirono tuttavia che l’incarico all’appaltatore M.G. era stato conferito di sua iniziativa dal socio Ma.Ga., fratello dell’attore e in conflitto di interessi con la società, nonchè in contrasto coi limiti di firma disgiunta stabiliti dall’art. 6 dell’atto costitutivo della società; perciò m.m. e D.P.G. proposero domanda di rivalsa nei confronti di Ma.Ga.. Il Tribunale di Bari rigettò la domanda di M.G., ritenendo nullo il contratto d’appalto.

La Corte d’Appello, viceversa, negava la nullità del contratto per l’asserita natura abusiva delle opere appaltate, essendo piuttosto emerso nel giudizio di appello la regolarità amministrativa dei lavori edili realizzati da M.G., in quanto assentiti da concessione edilizia n. (OMISSIS), e successiva variante, del Comune di Giovinazzo. La Corte di Bari ha inoltre ritenuto che la società avesse assunto la qualità di committente delle opere appaltate, non risultando dalla documentazione allegata nè da iscrizioni nel registro delle imprese la sussistenza di limitazioni dei poteri di ciascun amministratore della società, opponibili ai terzi qual era M.G., seppur fratello del socio dell’Azienda Agricola Torre di Bucci, Ma.Ga.. La sentenza impugnata richiama le dichiarazioni dei testi G., Gu., Gi. e M.D., i quali hanno confermato sia l’esecuzione dei lavori oggetto di causa sia la riferibilità dell’incarico alla società, ovvero anche ai soci m. e D.P.. Quanto alla determinazione del compenso dovuto, in difetto di prova di apposita pattuizione delle parti, la Corte d’Appello ha recapito le conclusioni del CTU nominato proprio nel giudizio di gravame, che, a norma dell’art. 1657 c.c., facendo riferimento alle tariffe dell’Associazione Regionale Ingegneri ed Architetti di Puglia, ha stimato le opere in complessivi Euro 24.562,30. A tale importo la sentenza impugnata ha cumulato interessi legali e maggior danno come previsti da Cass. Sez. U, 16/07/2008, n. 19499.

M.G. ha depositato in data 16 giugno 2017 memoria ai sensi dell’art. 380 c.p.c., comma bis 1.

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 99,100,112 e 342 c.p.c., ed assume che la domanda di M.G. era stata proposta nei confronti sia dell’Azienda Agricola Torre di Bucci s.n.c., sia dei singoli tre soci m.m., D.P.G. e Ma.Ga., mentre poi la Corte d’Appello ha escluso dalla condanna Ma.Ga., il quale aveva spiegato appello incidentale con motivi di doglianza analoghi a quelli dell’appello principale di M.G., chiedendo, cioè, di condannare al pagamento la società di cui era egli stesso partecipe. La medesima riduzione da tre a due soci la Corte d’Appello ha operato, segnala il ricorrente, nella condanna alle spese processuali, disposta in solido a carico dell’Azienda Agricola Torre di Bucci s.n.c., di m.m. e di D.P.G. (spiegando che essi “hanno contrastato la domanda attorea”) ed a vantaggio, invece, altresì dell’appellante incidentale Ma.Ga..

1.1. Il primo motivo di ricorso di D.P.G. non si confronta specificamente col provvedimento impugnato ed è comunque infondato.

La sentenza della Corte d’Appello di Bari, sia in motivazione (pagina 8) che in dispositivo (pagina 9), ha pronunciato la condanna della sola Azienda Agricola Torre di Bucci s.n.c., senza perciò distinguere, a tal fine, la posizione dei tre soci m.m., D.P.G. e Ma.Ga.. Vale comunque, al riguardo, il consolidato orientamento secondo cui la sentenza di condanna pronunciata in un processo tra il creditore della società ed una società di persone costituisce titolo esecutivo anche contro i soci illimitatamente responsabili, in quanto dall’esistenza dell’obbligazione sociale deriva necessariamente la responsabilità del socio, salvo il beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale, e, quindi, ricorre una situazione non diversa da quella che, secondo l’art. 477 c.p.c., consente di porre in esecuzione il titolo in confronto di soggetti diversi dalla persona contro cui è stato formato (Cass. Sez. 3, 24/03/2011, n. 6734; Cass. Sez. 1, 16/01/2009, n. 1040; Cass. Sez. 3, 06/10/2004, n. 19946).

Diversamente, per la condanna alle spese del giudizio di appello, la Corte di Bari ha posto la stesse a carico dell’Azienda Agricola Torre di Bucci s.n.c., di m.m. e di Giuseppe D.P., accordandone invece il rimborso non soltanto all’attore, ed appellante principale, M.G., quand’anche all’altro originario convenuto, ed appellante incidentale, Ma.Ga.. La statuizione sul punto resa dalla Corte d’Appello risulta, tuttavia, normale applicazione del principio della soccombenza ai fini della regolamentazione delle spese di lite. Va tenuto conto, infatti, che l’Azienda Agricola Torre di Bucci s.n.c., m.m. e D.P.G. avevano altresì proposto domanda di rivalsa nei confronti di Ma.Ga., domanda che è stata rigettata per l’affermata imputazione dell’appalto alla società committente. In ogni caso, qualora un creditore citi in giudizio più condebitori solidali, e uno di questi faccia propria la posizione del creditore attore, assumendo posizione attiva di contrasto verso gli altri convenuti, tale comportamento processuale deve essere valutato ai fini dell’applicazione del criterio di soccombenza nella regolamentazione delle spese processuali, prescindendo da ogni questione sulla legittimazione o sull’interesse ad agire o a resistere.

2. Il secondo motivo di ricorso di D.P.G. denuncia la violazione degli artt. 1657,2697,2727,1418 e 1346 c.c., nonchè degli artt. 99,112,115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Viene contestata la stipula del contratto d’appalto, come anche l’esecuzione delle opere di cui è richiesto il prezzo, criticandosi l’applicazione dell’art. 1657 c.c. e l’utilizzo delle CTU per colmare lacune probatorie. Si insiste pure sulla carenza di autorizzazione amministrativa delle opere e sulle difformità delle stesse dal progetto, con conseguente loro abusività. Si censurano le deposizioni testimoniali sotto i profili della loro attendibilità e significatività. Il terzo motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 1655,2697,2727,2555 e 2562 c.c., nonchè dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Viene censurata la prova dell’affidamento dell’appalto, basata sulla deposizione testimoniale di tale G.G..

2.1. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso vanno esaminati unitamente, in quanto connessi, e sono entrambi del tutto infondati. Essi si connotano, nelle rispettive rubriche, come censure di vizi di violazione e falsa applicazione della legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma alla compilazione di lunghi elenchi di norme di diritto, sostanziali e processuali, asseritamente violate, non si accompagna la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con tali norme regolatrici della fattispecie. Piuttosto, entrambe le censure si riducono in considerazioni circa il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove da parte della Corte di merito, considerazioni che non danno però luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabili neppure nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il quale attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio.

La Corte d’Appello, sulla base di apprezzamento di fatto delle risultanze probatorie testimoniali, ha motivatamente reputato raggiunta la prova sia della conclusione del contratto d’appalto riferibile alla società, sia dell’effettiva esecuzione delle opere di cui l’appaltatore richiede il corrispettivo. Ritenuta così provata l’entità e la consistenza delle opere, la Corte d’Appello si è correttamente avvalsa del potere di determinare il corrispettivo dell’appalto ex art. 1657 c.c.. I giudici dell’appello hanno altresì accertato che i lavori edili erano stati svolti in forza di regolare concessione edilizia, sicchè il contratto di appalto non poteva dirsi nullo, e l’appaltatore ben poteva, perciò, pretendere il corrispettivo dovutogli.

Con il secondo ed il terzo motivo di ricorso, D.P.G. rimette in discussione l’apprezzamento in fatto della Corte di Bari, tratto dalla coerente analisi degli elementi di valutazione disponibili, e contrappone una diversa ricostruzione delle vicende. L’apprezzamento dei fatti e delle prove è, tuttavia, sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

3. Il quarto motivo di ricorso denuncia, infine, la violazione degli artt. 1224 e 2697 c.c., quanto alla decorrenza degli interessi, che, a dire del ricorrente, dovrebbe prodursi soltanto dal deposito della sentenza, essendo stato il corrispettivo determinato dal giudice. Si contesta pure di dovere la rivalutazione liquidata dal giudice d’appello, in quanto coperta dagli interessi legali.

3.1. Anche quest’ultimo motivo non è specificamente correlato al contenuto decisorio della sentenza impugnata, ed è comunque del tutto infondato. La Corte d’Appello di Bari ha attribuito al creditore gli interessi legali (senza precisarne la decorrenza), nonchè il maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2, “laddove, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali”, rimettendo la possibile determinazione di tale maggior danno anche all’eventuale sede esecutiva.

Ora, nel contratto di appalto, l’obbligazione del committente ha come oggetto originario sempre la prestazione di una somma di danaro, la cui misura – ancorchè non determinata, ma determinabile dal giudice ai sensi dell’art. 1657 c.c., come nel caso di specie, – costituisce debito di valuta e non di valore, con la conseguenza che essa dà luogo, in caso di mora, alla corresponsione degli interessi nella misura legale, dovuti con decorrenza dall’intimazione di pagamento, ovvero dalla proposizione della domanda da parte dell’appaltatore, indipendentemente da ogni prova del pregiudizio subito, salvo che dimostri il maggior danno ai sensi dell’art. 1224 c.c., comma 2, invero spettante a qualunque creditore di obbligazione di valuta il quale ne chieda il risarcimento, e determinato in via presuntiva nell’eventuale differenza, durante la mora, tra il tasso di rendimento medio annuo netto dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi e il saggio degli interessi legali (cfr. Cass. Sez. U, 16/07/2008, n. 19499).

4. Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente M.G. le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo. Non occorre invece regolare le spese processuali per l’altro intimato Ma.Ga., il quale non ha svolto attività difensive.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il all’art. 13, comma 1 – quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 28 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2017

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