Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2355 del 02/02/2010

Cassazione civile sez. III, 02/02/2010, (ud. 25/11/2009, dep. 02/02/2010), n.2355

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – rel. Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17394/2005 proposto da:

ELCAM SPA (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell’avvocato BOZZI GIUSEPPE, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BOZZI ALDO con delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MIN ECONOMIA FINANZE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3465/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA, Prima

Sezione Civile, emessa il 14/05/2004; depositata il 26/07/2004;

R.G.N. 3854/1999;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/11/2009 dal Consigliere Dott. PETTI Giovanni Battista;

udito l’Avvocato ALDO BOZZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MARINELLI Vincenzo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con citazione del 16 ottobre 1996 la società ELCAM SISTEMI S.R.L. convenne dinanzi al tribunale di Roma il Ministero delle Finanze e ne chiese il rimborso della somma di L. 20.500.000 indebitamente versati a titolo di tassa annuale di concessione governativa per la iscrizione della società nel registro delle imprese, per gli anni 1985-1992. Il Tribunale di Roma nel contraddittorio tre le parti, con sentenza del 6 novembre 1998 accoglieva in parte la domanda e condannava il Ministero a restituire la minor somma di L. 3.500.000 oltre interessi tributari ed al 30% delle spese di lite, compensate nel resto.

2. La decisione era appellata dalla Elcam che ne chiedeva la riforma nel punto in cui il tribunale aveva applicato la decadenza triennale del diritto al rimborso dalla data del pagamento e negava il rimborso delle tasse pagate per gli anni 1988-1991. Restava contumace l’Amministrazione delle Finanze.

3. La Corte di appello di Roma, con sentenza del 26 giugno 2004 così decideva: rigetta l’appello, nulla per le spese. Per quanto qui ancora interessa la Corte di appello riteneva inammissibile la produzione delle istanze di rimborso, non prodotte in primo grado.

4. Contro la decisione ricorre la ELCAM SPA (succeduta alla srl) sulla base di quattro motivi. Non resiste il Ministero della economia e delle finanze. La ricorrente ha depositato memorie. Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso non merita accoglimento in ordine ai dedotti motivi, che per chiarezza vengono così riassunti:

nel primo complesso motivo si censura, come error in procedendo, error in iudicando e vizio della motivazione, la esclusione della produzione delle istanze di rimborso, che avrebbero dovuto essere ammesse in quanto indispensabili, essendo capaci di determinare un positivo accertamento dei fatti di causa, e ciò con riferimento al dictum delle sezioni unite civili 20 aprile 2005 n. 8203.

Nel secondo complesso motivo si deduce ancora error in procedendo, in iudicando e vizio della motivazione, sempre sul punto in cui la Corte ammette che il tema decidendi concerne la tempestività delle domande di rimborso, ma poi, contraddicendosi, viene a negare la indispensabilità dei documenti tardivamente prodotti.

Nel terzo complesso motivo, sempre per error in procedendo, in iudicando e per vizio della motivazione, si denuncia la condotta della Pubblica amministrazione, come contraria all’obbligo di lealtà e di imparzialità sancito dall’art. 97 Cost., comma 1, nonchè degli obblighi imposti dalle leggi speciali (L. 4 gennaio 1968, n. 15, art. 10, comma 2 e L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 18 commi 2 e 3) alle Amministrazioni pubbliche di pretendere la produzione di atti o documenti che sono già nella disponibilità della PA o di altri pubblici uffici. (ff 13 a 23 del ricorso).

Nel quarto complesso motivo si propone dapprima censura per error in procedendo, in iudicando e vizio della motivazione per essere la eccezione di decadenza dedotta dalla PA inesistente, in relazione ad una domanda fondata sul diritto comunitario, con la violazione delle relative norme (precisate a ff 22 e 23 del ricorso). Si pone quindi questione pregiudiziale Europea qualora la Corte di Cassazione avesse dubbi in ordine alla applicazione di precedenti della Corte di Giustizia sul tema della tassa dichiarata incompatibile con il diritto comunitario e sul tema del giusto processo ai sensi dell’art. 6, commi 1 e 2 della CEDU. In senso contrario si osserva, quanto alla questione pregiudiziale (quarto motivo) che non ricorrono le condizioni per sollevarla, sul rilievo che il termine triennale di decadenza previsto dalla legge italiana per il rimborso di quanto pagato per la tassa annuale di concessione governativa per la iscrizione del registro delle imprese, ha portata generale e non appare incompatibile con i principi di diritto comunitario, giacche il diritto comunitario non vieta allo Stato membro di apporre alle azioni di ripetizione dei tributi riscossi in sua violazione un termine di decadenza derogatorio del normale termine di prescrizione (cfr. in termini Cass. sez. 1^ 22 maggio 1999 n. 4991 e successive conformi sino a 2 luglio 2009 n. 15526). Neppure sussiste la violazione delle regole del giusto processo dinanzi alla Corte di Strasburgo, ai sensi del citato art. 6 della CEDU, sul rilievo che la società ha avuto amplia possibilità di difesa, sia nella fase del merito, sia in questa di legittimità, ferme restando le regole e le preclusioni processuali sulla produzione tempestiva di documenti, ai sensi delle norme processuali richiamate correttamente dalla Corte di appello.

Quanto ai primi tre motivi, che ruotano in ordine al tema centrale del superamento della preclusione per tardività (anche in relazione alle regole di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c. e del successivo art. 345 c.p.c. per la produzione di nuovi documenti nel giudizio di appello) con riferimento al potere discrezionale del collegio in ordine alla indispensabilità ai fini della decisione, deve osservarsi, in sede preliminare che resta fermo il principio secondo cui i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, statuizioni e questioni che già abbiano formato oggetto di contraddittorio e che siano già comprese nel tema decidendum del giudizio di merito, quale fissato dalle deduzioni e dalle richieste delle parti. Orbene tale tema risulta delimitato dalla Corte di appello, nel punto del paragrafo 1 della parte motiva, dove si precisa che in ordine alla domanda di restituzione dell’indebito la lite si incentra in appello esclusivamente sulla prova della presentazione della istanza di rimborso nel termine triennale di decadenza previsto dal D.P.R. n. 641 del 1972, art. 13, prova parzialmente fallita in primo grado per la mancata produzione delle istanze di rimborso. Appare allora evidente che i tre motivi del ricorso, presentino un profilo di inammissibilità, in quanto allargano il tema decidendum rispetto alle conclusioni svolte in appello (essendo contumace la PA) che invece la Corte delimita e considera con una ratio decidendi coerente e aderente alle regole procedurali anche in tema di esercizio del potere discrezionale in ordine alla cd. indisponibilità dei mezzi di prova (cfr. ff 5 e 6 della motivazione), rilevando peraltro che la decadenza è rilevabile d’ufficio (cfr. Cass n. 4376 del 2000).

In definitiva la formulazione complessa dei motivi, senza che sia possibile esaminarne la specificità in ordine alle varie censure, impedisce a questa Corte di considerare l’autonomia e la specificità delle censure, in relazione alla ratio decidendi chiaramente espressa dalla Corte di appello, che tiene conto di un deficit di allegazione, imputabile unicamente alla difesa della parte ricorrente.

Resta dunque incensurabile la motivazione che esclude la ammissibilità dei documenti non prodotti nel giudizio di primo grado, posto che la parte non ha dimostrato di non averli potuti produrre in quella fase e causa ad essa non imputabile, e che la Corte di appello, nell’applicare la preclusione della norma processuale vigente (art. 345 c.p.c. nel testo novellato) ha ritenuto tali documenti non indispensabili ai fini della decisione. (Cfr.

Cass. SU 20 aprile 2005 n. 8203 che espressamente considera il prudente apprezzamento del giudice in ordine alle due condizioni richieste dall’art. 345 c.p.c., comma 3 e vedi anche Cass 2007 n. 14766).

Il ricorso dev’essere pertanto rigettato in quanto infondato; nulla per le spese del giudizio di cassazione non avendo resistito il Ministro dell’economia e delle finanze.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso, nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2010

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