Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23548 del 20/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 20/09/2019, (ud. 09/05/2019, dep. 20/09/2019), n.23548

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Presidente –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27462/2018 R.G. proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ATTILIO

REGOLO 19, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE LIPERA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

V.R., da considerarsi, in difetto di elezione in ROMA,

per legge domiciliato ivi, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO PETRALIA;

– controricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6860/2018 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di

ROMA, depositata il 20/03/2018;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 17/01/2019 dal Consigliere Dott. Franco DE STEFANO.

Fatto

RILEVATO

che:

M.A. ricorre, affidandosi ad un ricorso articolato su due motivi e notificato a partire dal 19/09/2018, per la revocazione della sentenza n. 6860 del 20/03/2018 di questa Corte suprema di cassazione, con cui è stato respinto il suo ricorso, su quattro motivi, contro la sentenza n. 1555/14 della Corte d’appello di Catania, di conferma del rigetto della sua domanda risarcitoria proposta contro V.R. ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze in relazione a danni da lui pretesi per le affermazioni rese dal primo, quale comandante della seconda compagnia di Catania della Guardia di Finanza, in una relazione di servizio a suo carico, che aveva dato luogo a processo penale nei confronti dello stesso M. per i reati di favoreggiamento personale, omessa denuncia di reato e rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio;

in particolare, questa Corte ha: disatteso il primo motivo, non solo perchè inammissibile nella parte in cui si risolveva in una censura sull’apprezzamento delle prove da parte della Corte d’appello, ma anche perchè questa si era correttamente attenuta ai principi in tema di responsabilità da denuncia penale, che esigevano, per fondare la responsabilità del denunciante in caso di assoluzione dell’imputato, la prova degli elementi oggettivi e soggettivi del delitto di calunnia, evidentemente reputata non sussistente nella specie; dichiarato inammissibile il secondo motivo, formulato ai sensi del nuovo art. 360 c.p.c., n. 5, escludendo che integrasse il fatto storico da quella norma previsto la prospettazione della carenza di anche minima diligenza come fonte di responsabilità; infine dichiarato assorbite le altre due censure, sull’omessa pronuncia sull’erroneità della dichiarata prescrizione del diritto al risarcimento e sulla determinazione e quantificazione dei danni;

appare resistere con controricorso il solo V.;

è formulata proposta di definizione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1, come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197;

il ricorrente deposita memoria ai sensi del medesimo art. 380-bis, comma 2, u.p..

Diritto

CONSIDERATO

che:

preliminarmente, non rileva alcun ulteriore approfondimento sulla ritualità o completezza della notifica del ricorso per cassazione anche al Ministero, risultando superflua una sua eventuale rinnovazione (in applicazione dell’art. 331 c.p.c.), per i principi generali affermati da questa Corte fin da Cass. Sez. U. ord. 22/03/2010, n. 6826 (seguita, tra moltissime, da Cass. Sez. U. 22/12/2015, n. 25772), per l’evenienza della inammissibilità del ricorso (estesi a quella di manifesta infondatezza, tra molte, da Cass. 21/09/2015, n. 18478, o da Cass. 21/05/2018, n. 12515);

sempre in via preliminare, peraltro, deve escludersi la ritualità del controricorso del V., in quanto, una volta notificato a mezzo p.e.c. addì 08/11/2018, è stato depositato con piego raccomandato spedito il 03/12/2018 e cioè tardivamente, sicchè nessuna attività può qualificarsi ritualmente qui svolta dal detto intimato anche solo ai fini delle spese di lite, per essersi quella esaurita in un controricorso tardivamente depositato;

ciò posto, ricordato che con la memoria non è consentito colmare eventuali lacune originarie del ricorso, il ricorrente formula due motivi, rubricati: il primo, “correzione ex art. 391 bis c.p.c., in relazione all’art. 395 c.p.c., n. 4, per errore di fatto”; il secondo, “correzione ex art. 391 bis c.p.c., in relazione all’art. 395 c.p.c., n. 3”;

il primo motivo è radicalmente inammissibile, perchè il preteso errore (materiale, tale qualificazione derivando dall’invocata correzione, giammai applicabile al caso di errore revocatorio, oppure) revocatorio è indicato in una mancata rilevazione, dall’attenta lettura degli atti di causa, di tutti i fatti costitutivi del diritto al risarcimento;

ma, a parte l’assoluta e radicale inconfigurabilità di un errore materiale in senso stretto o proprio (alla stregua della consolidata giurisprudenza di legittimità sul punto in ordine ai suoi elementi essenziali), la doglianza si risolve allora in una non consentita sollecitazione a riconsiderare i motivi della decisione di questa Corte, che si sono incentrati sulla chiara inammissibilità in sede di legittimità di ogni rivalutazione degli apprezzamenti di fatto e sull’infondatezza della contestazione dell’orientamento in diritto applicato o della configurabilità di un fatto storico, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nella tesi dell’allora ricorrente;

al riguardo, l’elaborazione dell’errore revocatorio è talmente consolidata da imporre in questa sede un semplice richiamo integrale alla motivazione di Cass. Sez. U. 16/11/2016, n. 23306, ove ulteriori ed ampi richiami, alla cui motivazione basti qui un integrale rinvio: per escludere appunto che una lettura degli atti di causa intesa nel senso prospettato dall’odierno ricorrente integri giammai un errore revocatorio, cioè su fatti insuscettibili di diversa valutazione e per di più tale che sugli stessi, come invece è manifestamente accaduto nella specie, sia mancata la previa discussione tra le parti (richiesta dal testo stesso della norma per la rilevanza di un eventuale errore revocatorio);

il secondo motivo è radicalmente ed irrimediabilmente inammissibile, non essendo previsto, come risulta dalla lettera stessa della norma invocata, il mezzo di impugnazione – cioè il motivo di revocazione ivi indicato, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 3, (e quand’anche potesse configurarsi per i serissimi dubbi sulla decisività – come elaborata da questa Corte – dei documenti rinvenuti) – invocato nei confronti della sentenza resa dalla Corte suprema di cassazione ed al di fuori dell’ipotesi di decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., che, con ogni evidenza, qui non si configura;

infine, ancora una volta, nella parte in cui potesse invocare un errore materiale, il solo che per il vigente codice di rito può essere corretto, il ricorrente tralascia la pluridecennale elaborazione di questa Corte in tema di configurabilità di quell’errore, che esclude in radice che le doglianze formulate vi si possano ricondurre;

tali conclusioni sull’inammissibilità del ricorso sono corroborate dal contenuto della memoria (tra cui i passi all’inizio di pag. 4, al penultimo capoverso di pag. 5 e di pag. 6), in cui si insiste nell’invocazione di una attenta e scrupolosa lettura degli atti: ciò che conferma la sollecitazione ad una diversa valutazione di quelli, ben oltre i limiti consentiti nella presente sede di legittimità anche originariamente e tanto più in sede di pretesa revocazione; mentre, quanto al secondo motivo, inutilmente la stessa memoria si diffonde nell’illustrazione di pretesi presupposti di un vizio revocatorio ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 3, che è come già chiaramente prospettato nella memoria e come del resto risulta dalla sola lettura della norma – radicalmente escluso per le sentenze di Cassazione (che non pronuncino, come quella oggetto dell’odierno ricorso, nel merito);

il ricorso va allora dichiarato inammissibile, ma non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, qui non avendo svolto ritualmente attività difensiva alcuno degli intimati (quanto al V., per la tardività del deposito del controricorso);

va dato infine atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2019

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