Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23548 del 10/11/2011

Cassazione civile sez. II, 10/11/2011, (ud. 06/10/2011, dep. 10/11/2011), n.23548

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 4494/2006) proposto da:

– P.F.P. (c.f. (OMISSIS));

– B.S. (c.f. (OMISSIS));

– PE.Ca. (c.f. (OMISSIS));

tutti rappresentati e difesi, in forza di procura a margine del

ricorso, dall’avv. Poliziotto Salvatore ed elettivamente domiciliati

presso lo studio del medesimo in Enna, via Roma n. 135 – ex lege

presso la Cancelleria della Suprema Corte;

– ricorrenti –

contro

Comune di ENNA (c.f. (OMISSIS));

In persona del sindaco pro-tempore dr. A.G.,

autorizzarti a stare in giudizio con decreto della giunta municipale

8/2/2006 rappresentato e difeso, in virtù di procura a margine del

controricorso, dall’avv. Gagliardi Giuseppe ed elettivamente

domiciliato presso lo studio del predetto in Enna, via Grimaldi n. 8

– ex lege presso la Cancelleria della Suprema Corte;

– contro ricorrente e ricorrente incidentale condizionato –

avverso la sentenza 143/05 della Corte d’Appello di Enna, pubb.ta il

4/06/05;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del

6/10/2011 dal Consigliere Dott. Bruno Bianchini;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. SCARDACCIONE E., che ha concluso per il rigetto del

ricorso principale e l’assorbimento del ricorso incidentale

condizionato.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Presidente del Tribunale di Enna, con decreto 178/1990, ingiunse al Comune di tale città di pagare all’architetto P. F.P. ed agli ingegneri B.S. e P. C. l’importo di lire 285.606.077 oltre interessi e spese, quali onorari loro spettanti a seguito dell’incarico, affidato con disciplinare del luglio 1984, di redigere il piano particolareggiato e di recupero della zona 1 dell’indicato Comune.

L’ente territoriale propose opposizione assumendo che il compenso pattuito era stato di lire 80 milioni – di cui residuava il pagamento del restante 40%, essendo stata l’altra parte già pagata al momento del conferimento dell’incarico -, espressamente qualificato come “omnicomprensivo” e quindi senza che potessero applicarsi le tariffe professionali, come invece richiesto dagli ingiungenti; eccepì comunque l’inadempimento degli opposti che avrebbero completato l’incarico in violazione dei termini fissati nella convenzione, svolgendo domanda affinchè fossero condannati al risarcimento dei danni subiti.

A loro volta gli opposti, costituendosi, da un lato sostennero il carattere solo indicativo e presuntivo dell’importo di lire 80 milioni, indicato nella convenzione, non essendo all’epoca ancora neppure determinata l’ampiezza della zona oggetto della futura progettazione; sottolinearono altresì che nella medesima convenzione vi era un espresso riferimento all’utilizzo delle tariffe professionali nella liquidazione; negarono infine ogni inadempimento.

L’adito Tribunale, pronunziando sentenza n. 219/1997, respinse l’opposizione, accedendo alle prospettazioni degli opposti.

La Corte di Appello di Caltanissetta, con decisione n. 143 del 2005, riformò detta pronunzia, in accoglimento dell’appello del Comune, condannando quest’ultimo a pagare il 40% della minor somma di Euro 41.316,55 oltre accessori (e detratti gli eventuali acconti ricevuti), dando della convenzione intervenuta con l’ente territoriale un’interpretazione conforme a quella esposta originariamente nell’opposizione, sulla base dell’osservazione che il dichiarato carattere presuntivo della somma colà prevista a titolo di corrispettivo, era da mettere in relazione all’indeterminatezza – al tempo – dell’oggetto della prestazione professionale e che, per altro verso, avrebbe dovuto attribuirsi valenza decisiva, nell’interpretazione della volontà delle parti, alla sottolineata omnicomprensività del compenso.

Negò altresì la Corte di merito che potesse ravvisarsi una nullità nella convenzione là dove indicava un corrispettivo inferiore ai minimi di tariffa, essendo stato lo stesso liberamente pattuito tra le parti.

Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso P. e gli altri professionisti sulla base di cinque motivi;

il Comune ha resistito con controricorso, svolgendo altresì ricorso incidentale condizionato sulla base di due motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Vanno riuniti i ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza.

1 – Con il primo motivo viene denunciata la “violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1362, 1363, 1366, 1369 e 1370 c.c. nonchè l’omessa o, comunque, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5”, in relazione all’interpretazione dell’art. 9 del disciplinare di incarico là dove la Corte nissena aveva attribuito carattere inderogabile alla previsione di spesa.

1/a – Quanto al principio di letteralità – art. 1362 cod. civ. – la Corte distrettuale, pur in presenza di una formulazione complessiva non perspicua, avrebbe omesso di dar risalto al tenore letterale della clausola secondo la quale “le competente tecniche, onorati e spese, presunte e determinate come sopra, ammontano a L. 80.000.000” in cui il termine “presunto” non poteva che indicare il carattere solo provvisorio della quantificazione e non poteva far dimenticare che nel periodo precedente dell’anzidetta clausola si era stabilito che “l’onorario e le spese sono determinati in base ai parametri suggeriti dal Ministero dei Lavori Pubblici con circolare n. 22/SG/V del 10 febbraio 1976 e precisamente degli artt. 8 e 9 della tabella B della tariffa professionale per le prestazioni urbanistiche, adottata dai Consigli Nazionali degli ingegneri e degli Architetti con gli aggiornamenti proposti dal Ministero dei Lavori Pubblici con la circolare sopra citata…” di tal che il richiamo alle tariffe vigenti rendeva evidente il collegamento della futura determinazione del compenso non già ad una somma prefissata – ed in violazione delle tariffe (su cui vedi infra) – ma a quella che, sulla base delle tariffe medesime, fosse risultata dovuta.

1/b – Quanto al principio di interpretazione sistematica – art. 1363 cod. civ. – la Corte di merito avrebbe dovuto ricostruire la volontà negoziale sulla base del complessivo tenore del regolamento negoziale – anche in considerazione del fatto che per le prestazioni urbanistiche non sarebbe consentito il compenso forfettario o a discrezione – dal quale sarebbe emerso che solo attribuendo carattere provvisorio alla determinazione del compenso in lire 80 milioni si sarebbe potuto render compatibile la previsione della omnicomprensività dell’anzidetto importo con il ripetuto richiamo alla sua determinazione sulla base delle tariffe professionali e con la circostanza – extratestuale ma utile ai fini ermeneutici – che al momento del conferimento dell’incarico non sarebbe stata valutata, neppure in via di massima, la superficie interessata dal progetto, costituente il presupposto per la determinazione del compenso; del pari avrebbe urtato con la predeterminazione del compenso anche il fatto, emergente da altro procedimento tra le medesime parti ed avente ad oggetto il pagamento della prima tranche del corrispettivo, che il compenso complessivo sarebbe stato pari ad una somma di gran lunga maggiore rispetto a quella concordata; ulteriore argomento extratestuale al fine di determinare l’ineludibilità dell’interpretazione patrocinata dai ricorrenti riposerebbe sia sul fatto che l’incarico per circa quattro anni non aveva potuto essere svolto, non avendo l’amministrazione locale fornito agli stessi gli elaborati aero fotogrammetrici e catastali necessari per la delimitazione dell’area; sia sulla circostanza che il Comune committente avrebbe previsto l’identico compenso per tutti i gruppi di professionisti incaricati della redazione dei piani di recupero concernenti le varie zone della città, benchè le stesse presentassero superfici e caratteristiche diverse.

1/c – Quanto alla dedotta pretcrmissionc del criterio di interpretazione di buona fede la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che i professionisti avrebbero potuto, adottando la diligenza dell’uomo medio, fare ragionevole affidamento sulla misura del loro compenso in base alle concrete circostanze sussistenti all’atto della sottoscrizione del disciplinare – mancata delimitazione dell’area oggetto di progettazione – e da ciò trarre il convincimento che in ogni caso non sarebbe stato esaustivo un compenso forfettario, rispetto alla loro futura opera di progettazione, con l’ulteriore conseguenza dell’esclusivo risalto al riferimento alle tariffe professionali.

1/d – Quanto alla erronea decisione – che sarebbe invece risultata necessaria per la presenza di espressioni di volontà negoziale polisensi – di non privilegiare l’interpretazione più conveniente alla natura ed all’oggetto del contratto – art. 1369 cod. civ. – deducono i ricorrenti che la Corte di appello avrebbe dovuto adottare una interpretazione che mantenesse l’applicabilità delle tariffe professionali, introdotte con atto avente forza di legge.

1/e – Quanto infine alla violazione dell’art. 1370 cod. civ. – per cui le clausole inserite nelle condizioni generali del contratto o in moduli o formulari predisposti da uno solo dei contraenti, le stesse debbono essere interpretate, nel dubbio, in favore dell’altro – assumono i ricorrenti che avrebbe dovuto essere privilegiata l’interpretazione della volontà negoziale nel senso di ritenere applicabili le tariffe professionali.

2 – Il complesso motivo sopra esposto è infondato.

2/a – Invero va innanzi tutto messo in evidenza che nel riportare il testo della clausola da sottoporre a vaglio critico le parti ricorrenti omettono di riprodurne proprio la parte che, per il giudice dell’appello, ne costituiva l’aspetto determinante a giustificare il risultato interpretativo (“…Le competente tecniche sopra citate sono omnicomprensive e vengono considerate remunerative a tutti gli effetti”); tale carenza espositiva si traduce in un vizio logico atteso che non può condursi una minuta analisi sul significato – che i ricorrenti stessi definiscono contraddittorio – tra due proposizioni facenti parte della stessa clausola negoziale, se non si operi il confronto tra le stesse, riducendosi altrimenti il prospettato vizio interpretativo in una non consentita contrapposizione della propria con la valutazione della portata della clausola recata dalla sentenza.

2/b – Non sussistono comunque le lamentate deviazioni alle norme di ermeneutica: va innanzi tutto evidenziato che, non essendosi riportato il testo integrale del disciplinare d’incarico non vi è modo di appurare – ed il Comune recisamente lo nega – se lo stesso sia stato predisposto unilateralmente o non sia piuttosto frutto di intese precedenti con i professionisti che avrebbero concordato una somma forfettaria per l’intera loro opera; dunque non sussiste la violazione dell’art. 1370 cod. civ.; in secondo luogo l’interpretazione conservativa, disciplinata dall’art. 1369 cod. civ. attiene alla funzione del contratto – che deve appunto essere mantenuta ma non fornisce alcun canone per decidere quale, tra le varie interpretazioni del testo negoziale che pur sempre consentirebbero di mantenere la funzione e l’oggetto contrattuale – sia quella preferibile, di tal che i ricorrenti stessi finalizzano detto canone ermeneutico al mantenimento dell’applicazione delle tariffe professionali; seguendo la stessa logica, non può invocarsi la deroga al canone della buona fede – canone comunque sussidiario – nel momento in cui si stabilisce arbitrariamente come parametro dello stesso il mantenimento delle tariffe, sostituendosi il quod demostrandum sit con il presupposto della ricerca ermeneutica;

intimamente contraddittorio è poi invocare il canone della chiarezza del dato letterale – unilateralmente scrutinato, come si è avuto modo di mettere in evidenza – e allo stesso tempo, assumere la necessità – pretermessa dalla Corte distrettuale – di interpretare le clausole le une per mezzo delle altre, non considerando che l’art. 1363 cod. civ. istituisce un raffronto tra le clausole direttamente oggetto di interpretazione ed altre, non oggetto dell’attività interpretativa ma connesse alle prime: i ricorrenti invece assumono l’integrazione ermeneutica tra le medesime clausole in scrutinio; in ogni caso, assumendo rilievo l’intero testo della convenzione, si è violato anche il principio di autosufficienza del motivo, non riportandone l’intero contenuto – e non solo la clausola n. 9 -;

quanto infine alla violazione del canone primario di cui all’art. 1362 cod. civ., la valutazione della Corte del merito ha preso spunto da un dato letterale della pattuizione (quello sopra esposto sub 2/e), dandovi rilievo preminente rispetto al richiamo alle tariffe, adottando una compiuta sistemazione logica all’apparente aporia (cfr.

fol 4 della gravata decisione) rispetto al richiamo alle tariffe professionali: in questa prospettiva perde di rilievo e significanza il fatto che all’epoca dell’incarico non fossero ancora state identificate le aree oggetto di futura progettazione.

3 – Con il secondo motivo, viene lamentata la “violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 115 c.p.c. nonchè omessa o, comunque insufficiente e contraddittoria motivazione su usi punto decisivo della controversia, prospettato dalle parti, ex art. 360 c.p.c., n. 5” per aver omesso, il giudice dell’appello, di considerare che il compenso stabilite) nel 1984 avrebbe dovuto essere aggiornato in base agli indici di rivalutazione delle tariffe urbanistiche vigenti all’epoca della presentazione degli elaborati.

3/a – Il motivo è inammissibile perchè i ricorrenti non hanno riproposto il testo del ricorso monitorio nè il completo testo della convenzione dalla quale traggono titolo della propria pretesa nè tanto meno le proprie difese in appello, al fine di consentire alla Corte di valutare la novità o meno della relativa questione – della quale peraltro non risulta traccia nella narrativa del fatto operata nella censurata decisione di appello-.

3/b – Se poi con tale mezzo le parti ricorrenti volessero sottoporre a critica un diverso aspetto della questione, sottolineando che, comunque avrebbero avuto diritto per legge alla rivalutazione dei propri compensi – secondo quanto disposto dai decreti ministeriali attuativi delle tariffe – neppure allora la censura sarebbe ammissibile perchè, come visto, la somma indicata come corrispettivo per l’opera da prestare era “omnicomprensiva”; del pari indimostrato sarebbe stato l’ulteriore presupposto della richiesta, vale a dire il colpevole ritardo dell’amministrazione nel porre a disposizione gli elaborati tecnici.

4 – Con il terzo motivo viene fatta valere la “violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3; dell’art. 1419 c.c.; della L. 5 maggio 1976, n. 340, art. unico e dell’art. 2233 c.c. nonchè omessa o, comunque, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5” per non aver dichiarato, la Corte territoriale, la nullità del disciplinare per violazione dei minimi di tariffa.

4/a – Il motivo è infondato in quanto, da un lato, non si è parametrato il compenso esattamente alle tariffe professionali ma da esse si è tratto spunto, assieme ad altri elementi, per determinarlo; in secondo luogo la Corte non vede motivo per derogare al proprio precedente (Cass. 21235/2009) secondo il quale il compenso per le prestazioni professionali va determinato in base alla tariffa ed adeguato all’importanza della stessa, solo nel caso in cui non sia stato liberamente pattuito; in particolare la violazione dei minimi tariffari non comporta la nullità della relativa pattuizione in quanto trattatisi di precetti non riferibili ad un interesse generale ma solo della categoria professionale.

5 – Con il quarto motivo è denunciata la “violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, della L. 2 marzo 1949, n. 143, art. 9 nonchè omessa motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5 per non aver applicato la Corte di appello, alla somma liquidata in favore dei ricorrenti, gli interessi al saggio ufficiale di sconto stabilito dalla Banca d’Italia, come stabilito dalla L. n. 143 del 1949 nè aver determinato la decorrenza dei medesimi.

5/a – La censura è parzialmente inammissibile in quanto la Corte distrettuale si è limitata, sul punto, a ridurre la base di calcolo sulla quale computare il 40% chiesto dai ricorrenti, ferme restando le altre statuizioni in merito agli accessori del credito; se dunque i ricorrenti lamentano un’omessa specificazione della misura degli stessi, avrebbero dovuto innanzi tutto riprodurre il testo del ricorso monitorio, il conseguente decreto; la pronunzia di primo grado, la propria comparsa di costituzione in appello, al fine di consentire alla Corte un utile scrutinio in merito alla omissione della quale si controverte e di valutare se, con la dizione “interessi legali” i giudici del merito avessero comunque inteso far riferimento alla misura degli accessori spettanti al professionista secondo la legislazione speciale.

5/b – E’ invece fondata la doglianza relativa all’omessa indicazione della decorrenza degli interessi che, a mente della L. n. 149 del 1949, art. 9, decorrono ex lege dal sessantunesimo giorno dalla comunicazione della parcella; detta decorrenza, in mancanza di prova circa la data di invio della parcella medesima, va fissata in quella della notifica del decreto ingiuntivo, primo atto di costituzione in mora; trattandosi di criterio per la cui determinazione non sono necessari ulteriori accertamenti, lo stesso consente, à sensi dell’art. 384 c.p.c. di non operare la cassazione con rinvio ma di decidere nel merito nel senso appena esposto.

6 – Con il quinto motivo viene fatta valere la “violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 390 c.p.c., n. 3” assumendosi che l’accoglimento della contestata interpretazione del disciplinare avrebbe comportato il rigetto dell’appello e la conscguente riforma della ritenuta compensazione delle spese: non essendosi verificato il presupposto non ne può derivare la conseguenza esposta nel motivo.

7 Ilprimo motivo di ricorso incidentale – diretto a far emergere l’errore della decisione della Corte di Appello di non considerare inadempienti i ricorrenti per il ritardo con il quale avrebbero consegnato gli elaborati progettuali – è assorbito dal rigetto del primo motivo – punto 1/b ultima parte – del ricorso principale, nella parte in cui invece si imputava al Comune il ritardo in questione.

8 – Il secondo motivo di ricorso incidentale si censura la decisione della Corte nissena di compensare le spese dei due gradi di giudizio sulla sola considerazione della natura dei rapporti dedotti in giudizio: il motivo è infondato in quanto la motivazione si riassume nella riscontrata difficoltà di interpretazione del disciplinare che, appunto, incide sulla natura dei rapporti dedotti.

9 – Sussistono giusti motivi, rinvenibili nell’esito del giudizio, per compensare le spese del presente giudizio.

PQM

LA CORTE DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi; rigetta i primi tre motivi, nonchè il quinto, di quello principale ed il ricorso incidentale; accoglie il quarto motivo del ricorso principale, cassa in relazione alla relativa censura la sentenza impugnata e, pronunziando nel merito, determina la decorrenza degli interessi dalla data della notifica del decreto ingiuntivo. Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dell’intero processo.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 6 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2011

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