Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23547 del 10/11/2011

Cassazione civile sez. II, 10/11/2011, (ud. 06/10/2011, dep. 10/11/2011), n.23547

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

M.F. C.F. (OMISSIS), R.E. C.F.

(OMISSIS) IN PROPRIO EX ART. 86 c.p.c., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA A MORDINI 14, presso lo studio dell’avvocato

GRAZIANI SANDRA, rappresentati e difesi dagli avvocati ROGNONI

ERNESTO, MAGGIORELLI FABIO;

– ricorrenti –

contro

L.M. TITOLARE DELL’OMONIMA DITTA INDIVIDUALE, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE LIEGI 4 9, presso lo studio dell’avvocato

ARNULFO CARLO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 349/2005 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 12/04/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2011 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

M.F. e R.E. convenivano dinanzi al Tribunale di Genova L.M., titolare della omonima ditta individuale, chiedendo che venisse accertato il suo inadempimento alle obbligazioni assunte nei confronti degli attori in relazione alla installazione di un impianto telefonico. Essi chiedevano, inoltre, la condanna del convenuto alla restituzione delle somme percepite quale corrispettivo della fornitura, nonchè al risarcimento dei danni.

Nel costituirsi, il L. eccepiva in via preliminare la decadenza dalla garanzia e la prescrizione del diritto ex adverso azionato. Nel merito, il convenuto contestava di avere installato l’impianto telefonico nello studio degli attori, affermando di essersi limitato a fornire alcuni apparecchi telefonici e di averli collegati all’impianto preesistente. Egli sosteneva, pertanto, che nessun addebito poteva essergli mosso in relazione all’impianto, e che gli apparecchi installati erano adatti alle esigenze dello studio come rappresentategli dai committenti al momento della firma del primo ordine. Il convenuto, inoltre, si dichiarava estraneo ad eventuali vizi degli apparecchi telefonici, che erano stati forniti dalla Telecom, sostenendo che di tanto avrebbe dovuto rispondere il produttore. Egli, infine, chiedeva in via riconvenzionale la condanna degli attori al pagamento della somma di L. 816.800, a titolo di corrispettivo per le prestazioni di cui alle fatture indicate nella comparsa di costituzione.

Con sentenza del 12-9-2001 il Tribunale adito rigettava la domanda principale degli attori; dichiarava il L. tenuto alla restituzione della sola somma di L. 600.000, oltre interessi legali, in relazione al minor valore della merce sostituita; in accoglimento della domanda riconvenzionale, dichiarava gli attori tenuti al pagamento della somma di L. 816.800, oltre interessi legali;

condannava gli attori alla rifusione delle spese sostenute dal convenuto.

Con sentenza depositata il 12-4-2005 la Corte di Appello di Genova rigettava l’appello proposto avverso tale pronuncia dagli attori, condannando gli appellanti al pagamento delle spese del grado.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono il M. e il R., sulla base di sei motivi.

Il L. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c., dell’art. 1453 c.c. e segg., dell’art. 1494 c.c. e segg., art. 2697 c.c., artt. 100, 112, 115 e 116 c.p.c., nonchè dei principi in materia di prova, e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Sostengono che la Corte di Appello ha errato nel ritenere che, poichè gli attori avevano accettato la sostituzione dell’impianto telefonico, i medesimi non avevano interesse alla pronuncia di inadempimento del L. alla prima fornitura, nè potevano ottenere alcuna condanna risarcitoria. Rilevano che gli istanti avevano specificamente dedotto ed offerto di provare i danni subiti a seguito del primo inadempimento del convenuto, ed avevano interesse ad ottenere una pronuncia che riconoscesse l’inadempimento della controparte e condannasse il L. al risarcimento di tali danni. Fanno presente di aver chiesto che si procedesse alla quantificazione dei danni anche attraverso consulenza tecnica d’ufficio. Sostengono, in ogni caso, che, date le evidenti difficoltà di quantificazione dei danni derivati all’utente da disturbi sulle linee e sull’impianto telefonico, gli stessi ben potevano essere quantificati in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c. Il motivo è infondato.

Dalla ricostruzione in fatto della vicenda operata dalla Corte di Appello si evince che, a seguito della denuncia dei vizi effettuata il 19-10-1994 dallo studio M., tra il 23-3-1995 e il 3-4- 1995 il L. ha provveduto alla sostituzione del centralino e dei due cordless oggetto della prima fornitura.

Correttamente, pertanto, i giudici di merito, nel dare atto che gli attori hanno accettato senza riserve tale sostituzione e non hanno provato di aver subito alcun danno in conseguenza di essa, hanno ritenuto che i predetti non avevano alcun interesse all’accertamento dell’inadempimento del L. al primo contratto.

Tale decisione è pienamente conforme al principio costantemente affermato da questa Corte, secondo cui l’interesse ad agire, previsto quale condizione dell’azione dall’art. 100 c.p.c., richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, poichè il processo non può essere utilizzato solo in previsione della soluzione in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche (tra le tante v. Cass. 28-6-2010 n. 15355; Cass. 23-12-2009 n. 27151; Cass. 23-11-2007 n. 24434; Cass. 18-4-2002 n. 5635).

Le doglianze mosse riguardo alla mancata ammissione della prova testimoniale diretta a provare i danni subiti a seguito del primo inadempimento sono inammissibili per difetto dei requisiti di specificità ed autosufficienza, non avendo i ricorrenti provveduto a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi da escutere, si da porre questa Corte in condizione di valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto.

I rilievi svolti in ordine alla mancata ammissione di consulenza tecnica d’ufficio volta alla quantificazione dei danni sono generici e, comunque, infondati.

Come è noto, infatti, la consulenza tecnica d’ufficio è un mezzo istruttorio sottratto alla disponibilità delle parti ed affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, e non costituisce un mezzo sostitutivo dell’onere della prova, ma solo uno strumento istruttorio finalizzato ad integrare l’attività del giudice per mezzo di cognizioni tecniche con riguardo a fatti già acquisiti.

I ricorrenti, infine, non possono dolersi della mancata liquidazione dei danni in questione in via equitativa.

Il potere riconosciuto al giudice dall’art. 1226 c.c. di liquidare con valutazione equitativa il danno che non può essere provato nel suo preciso ammontare, infatti, presuppone la prova in concreto della esistenza del danno; prova che, nella specie, non è stata fornita dagli attori.

2) Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., artt. 184, 187, 244 c.p.c., nonchè dei principi in tema di onere di prova, e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Sostengono che la Corte di Appello ha errato nel ritenere che nessuna denuncia di vizi o anomalie del funzionamento degli impianti era stata effettuata dagli attori nel periodo dal 3-4- 1995 al 10-7-1996 e che, pertanto, era intervenuta la decadenza prevista dall’art. 1495 c.c. e, comunque, la prescrizione delle azioni proposte. Deducono che gli esponenti avevano offerto di provare che, dopo la sostituzione del primo impianto telefonico (marzo 1995), si erano verificati ancora disturbi e problemi alle linee, e che tale problemi erano stati contestati ai primi di aprile 1995. Sostengono che, contrariamente a quanto affermato dai giudici del gravame, i capitoli di prova articolati erano ammissibili e rilevanti. Aggiungono che la Corte di merito non ha tenuto conto del fatto che il L., attraverso il tecnico incaricato, aveva riconosciuto che anche il secondo impianto aveva problemi di funzionamento.

Il motivo non è meritevole di accoglimento.

Attraverso le censure proposte, i ricorrenti chiedono, in buona sostanza, una valutazione alternativa rispetto a quella compiuta dalla Corte di Appello, la quale, con apprezzamento in fatto non sindacabile in questa sede, ha accertato che la prima denuncia scritta di vizi successiva alla sostituzione (avvenuta il 3-4-1995) è stata effettuata il 10-7-1996. In tal modo, peraltro, si sollecita a questa Corte l’esercizio di poteri di cognizione che non le competono, finendosi con richiedere una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.

In particolare, si osserva che i giudici del gravame hanno correttamente ritenuto inammissibile, per la sua assoluta indeterminatezza, il capitolo di prova orale dedotto sul punto dagli attori, avendo dato atto che il medesimo non conteneva alcuna specificazione nè della persona che avrebbe eseguito La contestazione nè del destinatario della stessa, nè delle circostanze temporali in cui la comunicazione sarebbe stata eseguita.

La validità della decisione resa al riguardo non può essere scalfita dalle doglianze mosse dai ricorrenti, i quali, anche in tal caso, si sono limitati a sostenere in termini del tutto generici l’ammissibilità e rilevanza della prova testimoniale articolata, senza trascrivere il contenuto dei capitoli e indicare i testi di cui avevano chiesto l’escussione.

Legittimamente, pertanto, la Corte di Appello, una volta escluso (per le ragioni che si esporranno ai successivi punti 3 e 4) che si trattasse di vizi occulti o di consegna di aliud pro alio., ha ritenuto la decadenza degli acquirenti dalla garanzia ex art. 1495 c.c., essendo ampiamente decorso, al momento della denuncia dei difetti di funzionamento degli apparecchi oggetto della seconda fornitura, il termine di otto giorni previsto da tale norma.

Allo stesso modo, correttamente i giudici del gravame hanno rilevato che, anche a prescindere dalla decadenza, l’azione di garanzia è da considerare prescritta, ai sensi dello stesso art. 1495 c.c., essendo stata proposta oltre un anno dalla consegna e non avendo gli attori dimostrato di aver posto in essere validi atti interrottivi della prescrizione.

3) Con il terzo motivo i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione dell’art. 1490 c.c. e segg., art. 1495 c.c. e segg. e dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Deducono che la Corte di Appello ha errato nel ritenere che le anomalie e difformità contestate dagli attori con raccomandata del 10-7-1996 non costituivano un quid novi e, quindi, un vizio occulto. Affermano, infatti, che con la denuncia del 10-7-1996 essi hanno contestato circostanze nuove, apprese solo in occasione del trasloco dello studio, e che ingeneravano gravi anomalie, del tutto ignote ed occultate agli attori. Rilevano, pertanto, che la scoperta di tali vizi, avvenuta in occasione del trasloco dello studio, e la loro immediata denuncia non potevano comportare alcuna decadenza e prescrizione, come erroneamente ritenuto dalla Corte di merito.

Anche tale motivo deve essere disatteso, proponendo sostanziali censure di merito in ordine all’apprezzamento espresso dalla Corte di Appello, la quale, con motivazione esaustiva e immune da vizi logici e come tale non sindacabile in sede di legittimità, ha escluso che i difetti denunciati con la raccomandata del 10-7-1996 costituissero vizi nuovi ed occulti.

4) Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1453 c.c. e dell’art. 1490 c.c. e segg. e l’omessa ed erronea motivazione su un punto decisivo della controversia. Deducono che la Corte di Appello ha errato nel ritenere che la dedotta inidoneità dell’impianto telefonico non ingenerava un’ipotesi di aliud pro alio, sottratta ai termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c.. Sostengono, infatti, che il L. aveva consegnato impianti ed attrezzature telefoniche completamente diversi da quelli garantiti e, comunque, inidonei all’uso pattuito, in quanto il centralino telefonico era inidoneo a sostenere le linee telefoniche dell’ufficio, i telefoni cordless e la relativa antenna non avevano la portata promessa (2 km.), l’impianto telefonico e gli apparecchi non erano utilmente trasferibili in altro luogo.

Il motivo è infondato.

Giova rammentare che in tema di compravendita, secondo la giurisprudenza di questa Corte, si ha vizio redibitorio oppure mancanza di qualità essenziali della cosa consegnata al compratore qualora questa presenti imperfezioni concernenti il processo di produzione o di fabbricazione che la rendano inidonea all’uso cui dovrebbe essere destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, ovvero appartenga ad un tipo diverso od ad una specie diversa da quella pattuita; si ha, invece, consegna di aliud pro alio, che da luogo all’azione contrattuale di risoluzione o di adempimento, ai sensi dell’art. 1453 c.c., svincolata dai termini di decadenza e prescrizione previsti dall’art. 1495 c.c., qualora il bene venduto sia completamente diverso da quello pattuito in quanto, appartenendo ad un genere diverso, si riveli funzionalmente del tutto inidoneo ad assolvere la destinazione economico-sociale della “res” venduta e, quindi, a fornire l’utilità richiesta (Cass. 7-3-2007 n. 5202; Cass. 18-5-2011 n. 10918).

Nel caso in esame la Corte di Appello, muovendosi nel solco di tali principi, ha correttamente escluso la sussistenza di un’ipotesi di aliud pro alio, avendo accertato, in punto di fatto, che non vi era alcuna differenza strutturale o funzionale tra la res tradita e quella oggetto di pattuizione, bensì, al più, solo un difetto di funzionamento delle apparecchiature fornite.

Non sussiste, pertanto, la denunciata violazione di legge; nè sono ravvisabili i dedotti vizi di motivazione, avendo i giudici del gravame dato sufficiente conto delle ragioni del loro convincimento, con argomentazioni congrue e non contraddittorie.

Anche in tal caso, le censure dei ricorrenti, basate sulla prospettazione di una diversa ricostruzione fattuale della vicenda, celano il reale intento di ottenere una non consentita rivisitazione degli atti ed una diversa e più favorevole valutazione delle emergenze processuali. Il tutto in contrasto con il fermo principio secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano essere riesaminati elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi.

5) Con il quinto motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 166, 167, 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., nonchè l’omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Sostengono che la Corte di Appello ha omesso di pronunciarsi sulla dedotta eccezione di tardività della domanda riconvenzionale proposta dal convenuto. Deducono che tale eccezione era fondata, ai sensi dell’art. 166 c.p.c., in quanto in primo grado il L. si era costituito oltre il termine di venti giorni prima dell’udienza e, quindi, la domanda riconvenzionale era tardiva e inammissibile. In ogni caso, nel merito, deducono che il credito fatto valere dal convenuto era relativo a prestazioni non ricompresse nella fornitura ed installazione dell’impianto e che, pertanto, ogni ulteriore pretesa di pagamento rispetto all’ordine iniziale avrebbe dovuto essere provata dal L..

Il motivo è privo di fondamento.

Contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, la Corte di Appello si è pronunciata sull’eccezione di tardi vita della domanda riconvenzionale, sollevata dagli appellanti, avendo dato atto, a pag.

17 della sentenza impugnata, della tempestiva proposizione di tale domanda.

L’esame diretto degli atti del giudizio di merito, consentito dalla natura (anche) processuale dei vizi denunciati, conferma la validità di tale giudizio. La domanda riconvenzionale dei convenuti, infatti, è stata proposta con comparsa di costituzione depositata il 7-2- 1997, nel rispetto del termine prescritto dall’art. 166 c.p.c. (venti giorni prima dell’udienza di comparizione del 27-2-1997, fissata nell’atto di citazione).

Per il resto, le doglianze mosse dai ricorrenti con il motivo in esame si traducono in inammissibili censure di merito avverso la valutazione espressa dalla Corte di Appello, secondo cui la domanda riconvenzionale di pagamento della somma di L. 816.000, proposta dal convenuto, si riferisce all’ultima tronche del prezzo, di cui gli attori in corso di causa hanno eccepito ma non dimostrato l’avvenuto pagamento.

6) Con il sesto motivo i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia. Sostengono che la Corte di Appello ha errato nel disattendere le censure mosse dagli appellanti in ordine al regolamento delle spese di primo grado, in quanto la parziale soccombenza reciproca e le riconosciute anomalie dell’impianto fornito di L. giustificavano la compensazione almeno parziale di tali spese. Deducono, inoltre, che la liquidazione di tali spese è eccessiva rispetto al valore della causa ed alla limitata attività effettuata.

Anche tale motivo deve essere disatteso.

Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza, in tema di regolamento delle spese processuali il sindacato della Corte di Cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa; mentre esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del Giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, e ciò sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (tra le tante v. Cass. 31-3-2006 n. 17457; Cass. 16-3-2006 n. 5828; Cass. 2-8-2002 n. 11537).

Nel caso di specie, pertanto, gli odierni ricorrenti, non essendo risultati totalmente vittoriosi, non possono dolersi della statuizione di condanna alle spese.

Devono essere, infine, ritenute inammissibili, per la loro genericità, le censure mosse in ordine alla misura delle spese liquidate in primo grado in favore del convenuto.

Si rileva, al riguardo, che la parte che intende impugnare per cassazione la liquidazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato ha l’onere della analitica specificazione delle voci della tariffa professionale che si assumono violate e degli importi considerati, al fine di consentirne il controllo in sede di legittimità senza bisogno di svolgere ulteriori indagini in fatto e di procedere alla diretta consultazione degli atti, giacchè la (eventuale) violazione delle tariffe professionali integra un’ipotesi di “error in iudicando” e non “in procedendo” (tra le tante, v. Cass. 16-2-2007 n. 3651; Cass. 11-2-2004 n. 2626; Cass. 10-10-2003 n. 15172; Cass. 9-4-2003 n. 5581).

Nel caso in esame tale onere non è stata adempiuto dai ricorrenti, i quali, nel contestare il giudizio espresso dalla Corte di Appello circa la genericità delle critiche rivolte con l’atto di appello riguardo all’eccessività degli oneri di lite liquidati in primo grado, hanno esposto solo il risultato finale della liquidazione di dette spese. Ciò impedisce a questa Corte di verificare l’eventuale violazione dei massimi previsti dalla tariffa professionale degli avvocati per onorari e diritti in vigore al tempo della liquidazione.

7) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese sostenute dal resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in Euro 600,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2011

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