Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23546 del 27/08/2021

Cassazione civile sez. VI, 27/08/2021, (ud. 20/05/2021, dep. 27/08/2021), n.23546

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 35933-2019 proposto da:

L.M., elettivamente domiciliata presso la cancelleria della

CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIOVANNI DE NOTARIIS;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE della PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato

CLEMENTINA PULLI, che lo rappresenta e difende unitamente agli

avvocati PATRIZIA CIACCI, MANUELA MASSA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 27/2019 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 22/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 20/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCO

BUFFA.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. Con sentenza. del 22.5.19 la Corte d’appello di Campobasso ha confermato la sentenza del tribunale della stessa sede che aveva rigettato l’opposizione della sig.ra L. ad decreto ingiuntivo con il quale l’INPS aveva chiesto la restituzione dell’indennità di accompagnamento indebitamente corrisposta (in quanto corrisposta sulla base di altra sentenza di primo grado, poi annullata).

2. Avverso tale sentenza ricorre l’assistito per 4 motivi, cui resiste l’INPS con controricorso.

3. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti.

4. Con il primo motivo di ricorso si lamenta nullità della sentenza per assenza di motivazione.

5. Con il secondo motivo si lamenta violazione dell’art. 2909 c.c., per essere stata l’indennità di accompagnamento già oggetto di giudizio (che aveva visto dapprima il riconoscimento della prestazione nei confronti della Regione Molise e del Ministero dell’Economia, quindi il diniego della prestazione divenuto definitivo nel 2013), nel quale l’INPS non aveva richiesto la restituzione di quanto pagato (questione ritenuta dal ricorrente deducibile ma non dedotta e quindi coperta dal giudicato).

6. Con il terzo motivo si lamenta violazione delle norme sulla legittimazione attiva a ripetere la prestazione per il periodo antecedente la L. n. 248 del 2005, essendo all’epoca legittimato nel giudizio di invalidità il Ministero dell’Interno e non l’INPS.

7. Con il quarto motivo si lamenta violazione della L. n. 88 del 1989, art. 52, e vizio di motivazione della sentenza impugnata, per aver affermato che i limiti alla ripetizione dell’indebito non riguardano l’assistenza.

8. Dagli atti risulta che – nell’ambito di altro giudizio instaurato dall’assistita nei confronti della Regione Molise e del Ministero dell’Economia – una sentenza di primo grado del 2008 aveva riconosciuto l’indennità di accompagnamento in favore della sig.ra L.. A seguito di tale sentenza era stata emesso decreto della Regione che riconosceva la prestazione. Sulla base di tale decreto l’INPS – estraneo fin lì al giudizio, ma divenuto competente ex lege in materia per il pagamento delle prestazioni di invalidità civile, quale ente erogastore subentrato al Ministero dell’Interno, del pari non evocato nel suddetto giudizio – aveva provveduto alla liquidazione delle somme.

9. L’anzidetta sentenza era stata poi annullata in appello con retrocessione in primo grado per violazione del litisconsorzio necessario dell’INPS (sicché nessun giudicato favorevole all’assistito si era formato).

10. Il giudizio – ripreso come detto dal primo grado – si concludeva con il rigetto della pretesa azionata per difetto del requisito sanitario; la sentenza di primo grado, sfavorevole all’assistita, veniva quindi confermata in appello da sentenza divenuta definitiva nel 2013.

11. Nel corso del detto giudizio, che aveva ad oggetto la spettanza della prestazione e non anche la restituzione delle somme pagate sulla base del titolo giudiziale poi annullato, l’INPS non solo non chiedeva di ripetere l’indebito, ma continuava anzi a pagare la prestazione, la quale non aveva più titolo nella prima sentenza di primo grado (già annullata), ma nel decreto della Regione (che non era stato mai revocato).

12. Una volta definito (negativamente) con giudicato il giudizio sulla spettanza della prestazione, l’INPS chiedeva con decreto ingiuntivo la restituzione delle somme indebitamente pagate (relative a periodo di quasi otto anni, 1/3/04-28/2/12).

13. Avverso tale decreto faceva opposizione l’assistita, opposizione rigettata sia in prime cure, che in appello con la sentenza qui impugnata.

14. Mentre le questioni sollevate con i primi tre motivi non pongono particolari problemi alla luce della giurisprudenza di questa Corte (si veda la proposta del relatore), in relazione al quarto motivo di ricorso le parti controvertono in ordine alla ripetibilità delle somme percepite dall’assistita nelle more del primo giudizio, ed in particolare circa l’applicabilità alla materia assistenziale del principio dell’irripetibilità dell’indebito di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 52.

15. In proposito, occorre rilevare che la procedura di recupero dell’indebito pensionistico è regolata della L. n. 88 del 1989, art. 52, come autenticamente interpretato dalla L. n. 412 del 1991, art. 13. Della prima Disp. citata, il comma 2, prevede una sanatoria in favore del pensionato che abbia percepito somme non dovute, poiché “… non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato”. La L. n. 412 del 1991, art. 13, interpreta la predetta norma specificando che “Le disposizioni di cui alla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 52, comma 2, si interpretano nel senso che la sanatoria ivi prevista opera in relazione alle somme corrisposte in base a formale, definitivo provvedimento… che risulti viziato da errore di qualsiasi natura imputabile all’ente erogatore, salvo che l’indebita percezione sia dovuta a dolo dell’interessato.

16. Questa Corte ha già affermato l’applicabilità della norma anche alla materia dell’indebito assistenziale nei confronti dell’INPS: in particolare, Sez. 6 – L, Ordinanza n. 13223 del 30/06/2020 (Rv. 658116 – 01) ha precisato che, in tema di indebito assistenziale, in luogo della generale ed incondizionata regola civilistica della ripetibilità, trova applicazione, in armonia con l’art. 38 Cost., quella propria di tale sottosistema, che esclude la ripetizione, quando vi sia una situazione idonea a generare affidamento del percettore e la erogazione indebita non gli sia addebitabile. Ne consegue che l’indebito assistenziale, per carenza dei requisiti reddituali, abilita alla restituzione solo a far tempo dal provvedimento di accertamento del venir meno dei presupposti, salvo che il percipiente non versi in dolo, situazione comunque non configurabile in base alla mera omissione di comunicazione di dati reddituali che l’istituto previdenziale già conosce o ha l’onere di conoscere (Nello stesso senso anche Sez. L, Sentenza n. 31372 del 02/12/2019, Rv. 655991 – 01).

17. Il problema peculiare posto dalla presente controversia (sebbene le parti non abbiano preso espressa posizione sul punto) attiene però all’applicabilità della disciplina dei limiti legali alla ripetizione dell’indebito a fattispecie in cui il pagamento è avvenuto sulla base di provvedimento amministrativo di riconoscimento della prestazione emesso all’esito di sentenza di primo grado poi annullata, ed in cui il pagamento continua ad essere effettuato per anni anche dopo il venir meno dell’originario titolo giudiziale e permanendo invece il titolo amministrativo.

18. Questa Corte ha invero già affermato (Sez. L, Sentenza n. 11208 del 17/07/2003, Rv. 565223 – 01) che la disciplina relativa ai pagamenti di indebiti previdenziali, con i relativi limiti alla ripetibilità, trovando causa in un errore dell’Istituto, non è applicabile in relazione ai pagamenti effettuati sulla base di un provvedimento emesso dal giudice a titolo provvisionale e successivamente revocato, né a quelli effettuati in esecuzione di sentenze non passate in giudicato, riformate in sede di impugnazione, essendo in tal caso l’obbligo fondato sull’art. 336 c.p.c., comma 2, e sull’assoggettamento del percettore (indipendentemente dal suo dolo) al rischio dell’attuazione della tutela giurisdizionale invocata.

19. Per altro verso, si è detto (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 4600 del 19/02/2021, Rv. 660639 – 01) che, in materia di prestazioni assistenziali indebite, nell’ipotesi di erogazione dell’indennità di accompagnamento in difetto “ab origine” di tutti i requisiti, trova applicazione non già la speciale disciplina dell’indebito previdenziale, bensì quella ordinaria dell’indebito civile di cui all’art. 2033 c.c. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto ripetibili, secondo l’ordinaria disciplina civilistica, i ratei dell’indennità di accompagnamento erogati sulla base di un errore, compiuto nel decreto prefettizio, comunque noto alla richiedente, essendo stato alla medesima tempestivamente comunicato dalla commissione medica il verbale attestante il mancato riconoscimento dei requisiti necessari per il conseguimento del beneficio).

20. Infine, va ricordato che Cass. Sez. L, sentenza n. 12323 del 18/5/2018 (non massimata) ha ritenuto che la restituzione della somma, pagata in ottemperanza ad una sentenza di merito provvisoriamente esecutiva, non possa essere riportata alla fattispecie legale della condictio indebiti disciplinata dall’art. 2033 c.c., differente per natura e per funzione (v., anche Cass. 17 dicembre 2010, n. 25589, Cass. 18 giugno 2009 n. 14178), e che l’azione di ripetizione di somme pagate, in esecuzione della sentenza d’appello successivamente cassata ovvero di sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva successivamente riformata in appello ovvero a seguito di giudizio di rinvio, non si inquadra nell’istituto previsto dall’art. 2033 c.c., concernente un pagamento eseguito nell’ambito un rapporto privatistico, pur se erroneamente ritenuto, e non nell’ottemperanza di un atto pubblico autoritativo, sia perché si ricollega ad un’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale precedente alla sentenza, sia perché il comportamento dell’accipiens non si presta a valutazioni di buona o mala fede, non venendo in rilievo stati soggettivi rispetto a prestazioni eseguite, e ricevute, nella comune consapevolezza della rescindibilità del titolo e della provvisorietà dei suoi effetti; si è anche aggiunto che la condictio indebiti presuppone l’assenza della causa giustificativa dell’avvenuto pagamento, indipendentemente dal fatto che tale carenza giustificativa sia ravvisabile a priori o a posteriori laddove la riforma della sentenza provvisoriamente esecutiva si ricollega all’esigenza di restaurazione della situazione patrimoniale precedente alla sentenza (cfr. Cass. 17 dicembre 2010, n. 25589; Cass. n. 14178 del 2009 cit.).

21. Per converso, si rileva che nel caso il pagamento della prestazione non è stato fatto in pura e semplice esecuzione (se del caso con riserva) della sentenza di primo grado (poi annullata), ma sulla base di decreto dell’amministrazione competente (all’epoca altra amministrazione) che (sia pur all’esito della sentenza) ha riconosciuto direttamente la titolarità della prestazione; in altri termini, alla ricorrente la prestazione è stata erogata dall’INPS non sulla base della sentenza suddetta (resa in giudizio inter alios ed infatti poi annullata), ma sulla base di un provvedimento amministrativo formale della Regione, provvedimento che non si limitava a disporre il pagamento ma riconosceva direttamente il diritto alla prestazione; inoltre, non ricorreva alcuna situazione di dolo da parte dell’interessata che percepiva somme relative a prestazione riconosciuta da provvedimento amministrativo (ed all’epoca riconosciute anche dalla sentenza di primo grado).

22. Per altro verso, la prestazione è stata pagata anche dopo che la sentenza di primo grado (all’esito della quale era stato emesso il decreto citato) era stata annullata, ed i pagamenti sono continuati senza alcuna riserva anche durante il lungo periodo di svolgimento del giudizio di merito nelle diverse fasi (ed anche dopo la nuova sentenza di primo grado di rigetto della domanda).

23. Quanto detto implica che, sia per il suo contenuto specifico, sia per il mantenimento di efficacia del decreto di riconoscimento della prestazione, l’atto amministrativo può essere riguardato come avente una sua autonomia, sin dall’origine o comunque dal momento in cui la sentenza è venuta meno. Ne conseguirebbe che il pagamento indebito della prestazione (come detto sin dall’origine o, quanto meno, dall’annullamento della sentenza di primo grado e per tutto il tempo del giudizio di merito successivo fino al giudicato) è avvenuto sulla base non di titolo giurisdizionale provvisionale, ma sulla base di atto amministrativo avente autonomia, come tale in grado di fondare l’errore dell’amministrazione e, per altro verso, di escludere la consapevolezza della precarietà dell’assistita dell’attribuzione e dunque il dolo dell’assistita.

24. La particolarità del caso richiede dunque di esaminare il problema dell’applicabilità dei limiti legali alla ripetizione dell’indebito assistenziale ove il pagamento sia avvenuto sulla base di titolo amministrativo emesso sì all’esito di pronuncia giurisdizionale (poi venuta meno) ma avente profili, più o meno ampi, di autonomia (originaria o, comunque, sopravvenuta) rispetto al titolo giudiziale provvisionale all’esito del quale è stato emesso.

25. Il Collegio, dunque, ritiene che non sussistano le condizioni per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio e, di conseguenza, ravvisa la necessità della trattazione della causa in pubblica udienza, previa trasmissione alla Quarta Sezione.

P.Q.M.

La Corte, ritenuto che non ricorrono i presupposti per la trattazione con il rito camerale ex art. 380 bis c.p.c., dispone la trasmissione degli atti alla Sezione Quarta.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 20 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2021

 

 

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