Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23545 del 10/11/2011

Cassazione civile sez. II, 10/11/2011, (ud. 30/09/2011, dep. 10/11/2011), n.23545

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2474/2006 proposto da:

I.C.E. C.F. (OMISSIS) elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA SALLUSTIO 9, presso lo studio

dell’avvocato SPALLINA BARTOLO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PALERMO GIANFRANCO;

– ricorrente –

contro

C.D.V.M.G. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LAURA MANTEGAZZA 24, presso

STUDIO GARDIN MARCO, i rappresentata e difesa dall’avvocato GARGANO

RAFFAELE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 868/2005 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 16/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/09/2011 dal Consigliere Dott. VINCENZO MAZZACANE;

udito l’Avvocato Spallina Bartolo difensore della ricorrente che ha

chiesto di riportarsi agli atti depositati;

udito l’Avv. Gargano Raffaele difensore della controricorrente che si

riporta anch’egli;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto pubblico per notaio Pietro Speranza del 12-12-1991 I.E. donava a C.M.G., nipote del coniuge della donante, la nuda proprietà di un immobile urbano sito in (OMISSIS); con lo stesso atto la donante riservava l’usufrutto per sè e, per il tempo successivo alla sua morte, per il proprio coniuge C.I.M..

Premorto alla donante il coniuge, la I. con due missive rispettivamente del 29-1-1996 e del 4-6-1997 indirizzate alla donataria rappresentava a quest’ultima lo stato di solitudine in cui versava dopo la morte del marito, le sue infermità, l’esiguità dei propri redditi, e soprattutto manifestava l’esigenza di avere moralmente e fisicamente presso di sè la donataria per ragioni di assistenza.

La I. poi in data 3-11-1997 conveniva in giudizio dinanzi ai Tribunale di Bari la C. chiedendo revocarsi la suddetta donazione ex art. 801 c.c. ritenendo ricorrente l’ipotesi dell’ingiuria grave di cui alla norma ora citata, concretatasi nello stato di abbandono e solitudine, morale e fisica, in cui versava la donante.

Costituendosi in giudizio la convenuta eccepiva la decadenza dall’azione poichè, essendo stato il giudizio introdotto il 3-11- 1997, era trascorso il termine annuale di decadenza per la proposizione dell’azione stessa decorrente dalla completa conoscenza, da parte della donante, della causa di ingratitudine, già ampiamente nota alla I. dall’epoca della prima missiva del 29-1-1996, come rivelato dal suo contenuto; chiedeva inoltre nel merito il rigetto della domanda attrice in quanto la fattispecie non integrava l’ipotesi di ingiuria grave nei confronti della donante.

Il Tribunale adito con sentenza del 1-3-2001 rigettava la domanda ritenendo essersi verificata la decadenza dall’azione, e comunque escludendo la ricorrenza dell’ingiuria grave prevista dall’art. 801 c.c..

Proposta impugnazione da parte della I. cui resisteva la C. che proponeva altresì appello incidentale la Corte di Appello di Bari con sentenza del 16-9-2005 ha rigettato entrambe le impugnazioni.

Per la cassazione di tale sentenza la I. ha proposto un ricorso articolato in tre motivi cui la C. ha resistito con controricorso; le parti hanno successivamente depositato delle memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 802 c.c., comma 1 anche in relazione agli artt. 1324, 1362 e segg., 2697, 2727 e 2735 c.c. e artt. 115 e 116 c.p.c. nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto l’inammissibilità dell’azione proposta sul rilievo che già all’epoca della prima missiva del 29-1-1996 la donante, nell’esternare la propria solitudine con conseguente richiesta della presenza della donataria, nonchè nel riferirsi all’antica acrimonia sussistente tra la stessa donante ed i parenti del marito, era in grado di constatare se la condotta della C. integrasse gli estremi dell’ingiuria grave.

La ricorrente assume che il giudice di appello è giunto a tale conclusione sulla base di elementi neutri ai fini del decidere (quali la solitudine della donante, la richiesta della presenza della donataria, l’acrimonia con i parenti del marito), svolgendo quindi un ragionamento non corretto sul piano logico-giuridico, considerato che sul punto era stato formulato uno specifico motivo di appello con il quale era stato addebitato al giudice di primo grado di avere ingiustificatamente enfatizzato la missiva del 29-1-1996, finalizzata esclusivamente ad una richiesta di aiuto alla C., senza alcuna specifica contestazione di comportamenti idonei ad integrare l’ingiuria grave; nello stesso senso la I. aggiunge che non è stato considerato che con la suddetta missiva l’esponente per la prima volta si era rivolta alla donataria con una richiesta di aiuto, circostanza inconciliabile con una pretesa acquisita consapevolezza di una pregressa condotta della C. integrante gli estremi dell’ingiuria grave.

Infine la ricorrente deduce l’inconsistenza logica degli ulteriori rilievi in base ai quali la Corte territoriale ha ravvisato l’intervenuta consapevolezza, sempre all’epoca della citata missiva, da parte della donante, dell’ingratitudine della donataria, per essere da un lato irrilevante l’acrimonia della I. nei confronti dei parenti del marito, e dall’altro lato illogica la presunzione dell’acrimonia nei confronti della donataria quale conseguenza di essere quest’ultima appartenente alla famiglia del defunto marito della donante.

Con il secondo motivo la I., deducendo ulteriore violazione dell’art. 802 c.c. ed omessa e comunque insufficiente motivazione, sostiene che erroneamente la sentenza impugnata ha respinto il terzo motivo di appello, affermando che la censura in esso contenuta non segnalava in che modo ed in quale parte la lettera del 4-6-1997 e la citazione introduttiva contenessero elementi conoscitivi di “fatti ulteriori” rispetto a quelli contenuti nella missiva del 29-1-1996;

in realtà con tale motivo di appello era stato evidenziato come l’ingiuria grave avrebbe dovuto essere configurata nel comportamento della donataria, rimasta assolutamente insensibile alla situazione di abbandono e di degrado morale in cui la donante era venuta a trovarsi, situazione che l’aveva spinta a formulare insistenti richieste di aiuto e soprattutto di conforto morale; pertanto solo a seguito del predetto comportamento di insensibilità la I. aveva potuto avere effettiva e definitiva contezza del comportamento ingrato della C., così integrandosi quei “fatti ulteriori” che la Corte territoriale non ha saputo ricercare e ravvisare.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente per ragioni di connessione, sono fondate.

La Corte territoriale ha evidenziato che dalla lettura della missiva del 29-1-1996 inviata dalla I. alla C. emergeva con chiarezza sia la disaffezione della donataria nei confronti della donante, sia la solitudine di costei, sia la sua richiesta di presenza della donataria, ma anche nel contempo l’antica acrimonia che la I. nutriva verso i parenti del marito (tra cui anche la C.), ai quali rimproverava condotte meschine nonostante la sua generosità e dai quali si era ritenuta insolentita; pertanto la donante già all’epoca di tale prima lettera aveva potuto rendersi conto se la condotta della C. integrasse gli estremi dell’ingiuria grave, essendo già in grado di conoscere il comportamento asseritamele ingiurioso della donataria e la difficoltà dei rapporti con la stessa.

Il giudice di appello, inoltre, nell’esaminare il terzo motivo di gravame con il quale l’appellante aveva dedotto di aver avuto contezza dell’ingiuria grave della C. nei propri confronti solo all’epoca della missiva del 4-6-1997 valutando addirittura la condotta della controparte successiva all’introduzione del presente giudizio, ha rilevato la genericità della censura nella parte in cui non segnalava in che modo ed in quale parte tale ultima lettera e la citazione introduttiva contenessero elementi conoscitivi di fatto ulteriori rispetto a quelli già ravvisabili nella missiva del 29-1- 1996.

Orbene il convincimento della Corte territoriale non può essere condiviso per il decisivo rilievo che dalle argomentazioni sopra richiamate non risulta chiarito quali inequivocabili elementi contenesse la lettera del 29-1-1996 dai quali trarre la conclusione della piena consapevolezza da parte della I. di fatti ascrivibili alla C. che legittimassero la revoca della suddetta donazione per ingiuria grave.

Invero il generico riferimento all’acrimonia che la donante nutriva per i parenti del marito o la disaffezione della donataria nei confronti della I. non integrano all’evidenza gli estremi dell’ingiuria grave che ai sensi dell’art. 801 c.c. legittima la revoca della donazione, consistente in un qualsiasi atto o comportamento il quale leda in modo rilevante il patrimonio morale del donante, e palesi per ciò solo un sentimento di avversione da parte del donatario.

In proposito si osserva non solo che non sono stati indicati i presunti atti o comportamenti riconducibili alla C. che avrebbero configurato una ingiuria grave verso la donante, ma che anzi la richiesta di assistenza formulata dalla I. nei confronti della donataria nella missiva del 29-1-1996, di cui pure il giudice di appello ha dato atto, contraddice il convincimento espresso nella sentenza impugnata, in quanto evidenzia che la donante confidava ancora che le proprie sollecitazioni in tal senso avrebbero potuto essere accolte dalla C., circostanza che smentisce l’assunto di una pretesa consapevolezza già in allora da parte dell’attuale ricorrente di un comportamento della donataria integrante gli estremi dell’ingiuria grave, consapevolezza invece raggiunta solo all’esito dell’inerzia manifestata dalla C. alla suddetta richiesta di assistenza, ciò che spiega la successiva lettera del 4-7-1997 e poi l’introduzione del presente giudizio;

pertanto “ter” argomentativo seguito dalla Corte territoriale si rivela insanabilmente sia carente sia contraddittorio.

Con il terzo motivo la ricorrente, deducendo violazione degli artt. 800 e 801 c.c. anche in relazione all’art. 2 Cost., censura la sentenza impugnata per aver escluso la sussistenza dell’ingiuria grave nell’ipotesi del donatario che consapevolmente, pur potendo intervenire, lasci il donante in una situazione di indecoroso abbandono e di degrado morale prima ancora che materiale, e per aver omesso nella fattispecie ogni accertamento sui fatti al riguardo addebitati alla C. e da quest’ultima comunque non contestati in giudizio.

La I. sostiene che, contrariamente all’assunto del giudice di appello, l’ingiuria grave non deve ravvisarsi esclusivamente come conseguenza di una condotta commissiva, ma anche nella voluta omissione di quell’assistenza, necessaria sotto il profilo esistenziale, invocata nella specie dalla donante per ovviare ad una condizione di assoluto degrado, incompatibile con le sue primarie esigenze di vita e con la sua dignità di persona, lesa ed offesa dall’insensibilità dai soggetto a suo tempo gratificato e patrimonialmente arricchito; tale conclusione era legittimata da una interpretazione del concetto di ingiuria grave previsto dall’art. 801 c.c. in conformità dell’art. 2 Cost., norma fondamentale di tutela dei diritti inviolabili della persona, e dei principi di solidarietà da cui essa trae ispirazione.

La censura è infondata.

Il giudice di appello ha ritenuto che l’indisponibilità della donataria ad assistere la donante ed a venire incontro alle sue esigenze di assistenza lasciandola così in una situazione di abbandono e di solitudine non configuravano gli estremi dell’ingiuria grave prevista dall’art. 801 c.c., non sostanziandosi in alcun atto di aggressione al patrimonio morale della I., e che d’altra parte tale comportamento della C. doveva essere inquadrato nel degrado dei rapporti personali intercorrenti tra la donante ed i familiari del marito, tra cui la donataria, contrassegnati da antica acrimonia e disaffezione.

Tale convincimento è corretto ed immune dai profili di censura sollevati dalla ricorrente, posto che il rifiuto della C. di prestare qualsiasi forma di aiuto e di assistenza alla I., che aveva fatto reiterate richieste in tal senso, non integra gli estremi dell’ingiuria grave quale presupposto necessario per la revocabilità di una donazione per ingratitudine, essendo al riguardo necessario un comportamento suscettibile di ledere in modo rilevante il patrimonio morale del donante ed espressivo di un reale sentimento di avversione da parte del donatario tale da ripugnare alla coscienza comune (Cass. 5-4-2005 n. 7033; Cass. 28-5-2008 n. 14093; Cass. 31-3- 2011 n. 7487); nella specie del resto la ricorrente non contesta almeno specificamente i sentimenti di ostilità e di disaffezione esistenti tra le parti ed in genere tra la I. ed i parenti del marito, cosicchè correttamente la Corte territoriale ha valutato il comportamento omissivo della C. in tale più ampio contesto;

al riguardo infatti questa Corte ha affermato che l’ingiuria grave di cui all’art. 801 c.c., non può essere desunta da singoli accadimenti che, pur risultando di per sè censurabili, per il contesto in cui si sono verificati e per una situazione oggettiva di aspri contrasti esistenti tra le parti, non possono essere ricondotti ad espressione di quella profonda e radicata avversione verso il donante che costituisce il fondamento della revocazione della donazione per ingratitudine (Cass. 24-6-2008 n. 17188).

Infine si osserva l’ininfluenza del richiamo comunque generico della ricorrente ai principi solidaristici sottesi all’art. 2 Cost. una volta che, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, nella specie la domanda proposta non è basata su eventuali obblighi alimentari della donataria nei confronti della donante ai sensi dell’art. 437 c.c. (obblighi comunque irrilevanti nella fattispecie, considerato il mancato richiamo di tale norma nell’art. 801 c.c., cosicchè il rifiuto degli alimenti da parte del donatario assume rilievo, ai fini della revocazione della donazione per ingratitudine, soltanto se opposto da persona che sia già obbligata a prestarli in virtù di un rapporto di parentela o di affinità con il donante), e che la donazione per cui è causa non era sottoposta ad alcun “modus”.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato; ricorrono giusti motivi, avuto riguardo alla natura della controversia, per compensare interamente tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese di giudizio.

Così deciso in Roma, il 30 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2011

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