Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2354 del 02/02/2010

Cassazione civile sez. III, 02/02/2010, (ud. 18/11/2009, dep. 02/02/2010), n.2354

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. CALABRESE Donato – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14201/2006 proposto da:

F.S., N.P., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA VALADIER 53, presso lo studio dell’avvocato NISSOLINO Laura, che

li rappresenta e difende unitamente all’avvocato CESCATTI LORENZA

giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

ENTE ECCLESIASTICO FIGLIE S. CAMILLO, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CARLO POMA 4, presso lo studio dell’avvocato GELLI Paolo,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DE ABBONDI

GIULIO giusta delega a margine del controricorso;

REALE MUTUA ASSICURAZIONI SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CONCA D’ORO 300, presso lo studio dell’avvocato BAFILE GIOVANNI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NICCOLINI ROMANO

giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti –

contro

M.G.;

– intimato –

sul ricorso 17785/2006 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LAZIO

20-C, presso lo studio dell’avvocato COGGIATTI CLAUDIO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato BUSANA FRANCO giusta

delega a margine del controricorso con ricorso incidentale;

– ricorrente –

contro

F.S., N.F.P., ENTE ECCLESIASTICO FIGLIE

S. CAMILLO, REALE MUTUA ASSIC SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 91/2005 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

emessa il 12/12/2003, depositata il 19/03/2005; R.G.N. 1533/1999;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

18/11/2009 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;

udito l’Avv. Laura NISSOLINO;

udito l’Avv. Giovanni BAFILE;

udito l’Avv. Enzo GIARDIELLO per delega Avv. Paolo GELLI;

udito l’Avv. Claudio COGGIATTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per previa riunione dei

ricorsi: accoglimento del ricorso principale, con esclusione del 1^

motivo; assorbimento del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione del dicembre 1999 F.S. e N.P. convenivano dinanzi al Tribunale di Trento M.G., medico dipendente dell’ente ecclesiastico Figlie di S. Camillo, ospedale generale di zona “(OMISSIS)”, unitamente a quest’ultimo, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni morali – anche per violazione dell’art. 328 c.p., nei confronti del M. – materiali e psicofisici, diretti e riflessi, conseguenti alla nascita della figlia affetta da infezione prenatale da CMV con calcificazioni endonomiche ed endocraniche e microcefalia. Deducevano in particolare che il M., ginecologo che aveva seguito la N. anche per le due precedenti gravidanze, a decorrere dal primo risultato delle analisi, appresa il (OMISSIS) l’infezione recente di CMV, e per tutta la durata della gravidanza, l’aveva rassicurata sulle condizioni di salute del feto, continuando a prescriverle ecografie ed analisi sierologiche, malgrado queste fossero tutte confermative dell’infezione, e l’indagine ecotomografica del maggio 1996 avesse evidenziato che la biometria cefalica della nascitura era inferiore alla norma e quella del (OMISSIS) che la crescita era ai limiti inferiori di essa. Pertanto erano stati violati i diritti della N., che non avrebbe voluto un figlio malformato, di scelta e autodeterminazione, perchè se correttamente informata avrebbe potuto ricorrere o alla L. n. 194 del 1978, art. 4 o alla L. n. 194 del 1978, art. 6. L’informazione da parte del medico ne caratterizza la prestazione secondo la L. n. 833 del 1978, art. 2 e l’art. 39 del codice deontologico del 1989, anche al fine di rendere meno brutale la scoperta della realtà, e la relativa omissione integra il reato di cui all’art. 328 c.p..

Il Tribunale di Trento, rilevato che il laboratorio aveva diagnosticato il (OMISSIS) alla N. una “recente” infezione da CMV; che i successivi esami l’avevano confermata; che soltanto l’ecografia del (OMISSIS) aveva evidenziato la biometria cefalica inferiore alla norma del feto; accertato che il M. si era limitato ad informare la N. del minimo rischio per il feto come se si trattasse di reinfezione, senza osservare l’obbligo di informarla che l’infezione poteva invece anche esser primaria, con maggiori probabilità di rischio per il feto, ravvisava il reato di cui all’art. 328 c.p., e conseguentemente lo condannava a risarcire a ciascuno degli attori Euro 40 mila per danno morale. Respingeva invece la richiesta di risarcimento degli altri danni perchè alla data del (OMISSIS) la gestazione era al 94esimo giorno e quindi non era possibile l’interruzione della gravidanza ai sensi della L. n. 194 del 1978, art. 4, mentre non essendovi, con un giudizio ex ante, la prova di un grave pericolo di compromissione della salute della N. se avesse conosciuto l’eventuale maggior rischio del feto, respingeva le domande di risarcimento degli altri danni per mancanza di nesso causale con l’incompleta informazione.

Entrambe le parti interponevano appello.

Con sentenza del 19 marzo 2005 la Corte di appello di Trento, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva l’appello del M. e respingeva quello dei coniugi F. sulle seguenti considerazioni: 1) nel comportamento del M. non era ravvisabile il reato di rifiuto di atti di ufficio poichè alla data del primo contatto con la N., avvenuto il (OMISSIS), allorchè la stessa era al secondo mese di gravidanza ultima mestruazione (OMISSIS) – dalle analisi di routine e dall’ecografia del (OMISSIS) nulla era emerso; 2) il (OMISSIS) era stata effettuata una seconda ecografia ed il (OMISSIS) era stato eseguito un altro prelievo ematico per accertare tra l’altro l’esistenza di anticorpi per il CMV ed il (OMISSIS) il M. ebbe contezza di tale infezione, ma non se era primaria, ossìa contratta per la prima volta, e quindi altamente rischiosa per il feto, o secondaria, ossia contratta per la seconda volta o cronicizzata, e quindi di scarso rischio per lo stesso; 3) incontroversa la richiesta di informazioni da parte della N. al M. sul significato da attribuire a tale infezione e che non furono fornite, perchè è provato che egli ha escluso che potesse trattarsi di infezione primaria, mancava però la prova dell’elemento psicologico del delitto – che deve esser doloso ai sensi dell’art. 328 c.p. – alla data del (OMISSIS) perchè non era possibile sapere, in base ad una sola analisi, se l’infezione era primaria o secondaria, dato che la N. aveva altri due figli e l’infezione da CMV può esser trasmessa dai bambini, e quindi non era automatica la conseguenza che il feto sarebbe nato malformato, e non poteva esser configurabile l’omessa informazione fino a quando non vi era una ragionevole certezza o un elevato grado di probabilità di tale rischio, per non ingenerare allarmismi ed indurre scelte traumatiche; per questo, dopo l’esito della prima analisi, il M. aveva disposto l’ecografia di secondo livello, mentre soltanto ulteriori esami, di non immediata esecuzione, avrebbero consentito di acquisire elementi più certi per la diagnosi; 4) il calcolo del tempo della gravidanza ai fini dell’interruzione di essa va effettuato in base all’ultima mestruazione e alla data del (OMISSIS) erano decorsi tre mesi, come era dimostrabile anche dal calcolo a ritroso, essendo la piccola nata a termine il (OMISSIS), nè i F. avevano dimostrato che tale criterio per stabilire l’epoca della gravidanza nella fattispecie era inapplicabile, nè poteva sopperire la presunzione che normalmente l’ovulazione avviene alla metà del ciclo mestruale, e perciò al (OMISSIS) la N. era o al novantunesimo giorno dall’inizio della gravidanza, o secondo il calcolo più corretto, al novantaquattresimo giorno; 5) conseguentemente l’inadeguata informazione alla paziente: dei rischi potenziali dell’infezione a detta data non era stata la causa della prosecuzione della gravidanza; 6) escluso che la diagnostica dell’epoca consentisse di ritenere con certezza che il virus CMV si trasmettesse al feto – nel qual caso la probabilità di rimanere gravemente leso era del 4/5%, e quella di contrarre malattie a distanza di tempo del 4/7% – e che l’ecografia di secondo livello avesse evidenziato alcunchè, era da escludere, ex ante, un errore di diagnosi del M. perchè gli elementi riscontrati erano equivoci – basso tasso di anticorpi, variabilità delle IGM, ecografia anche dopo il quinto mese di gravidanza senza segni di malformazioni – e quindi non vi erano i presupposti per approfondire le indagini o ravvisare il grave pericolo per la vita della donna, ovvero per la sua salute psico-fisica che potessero consentire l’aborto oltre il terzo mese di gravidanza, in mancanza di prove certe della malformazione del feto; 7) infatti le malformazioni fetali, secondo il C.T.U., all’epoca erano accertabili soltanto con la funicolocentesi, non eseguibile a Trento, e con notevoli rischi di aborto, tanto che i protocolli ordinari non prevedevano tale tipo di accertamento, mentre nel (OMISSIS) l’amniocentesi non era a tal fine utilizzabile nè vi erano ancora i test di coda per accertare la natura dell’infezione da CMV, e quindi mancava il nesso causale tra l’omessa informazione e il mancato esercizio del diritto ad abortire.

Ricorrono per cassazione F.S. e N.P. cui resistono M.G. che ha altresì proposto ricorso incidentale, e la società Reale Mutua di assicurazioni e l’Istituto Figlie di San Camillo con sede legale in (OMISSIS). I ricorrenti principale e la società Reale Mutua di assicurazioni hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Vanno preliminarmente riuniti i ricorsi ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ..

1.1- Va quindi dichiarata l’inammissibilità del controricorso dell’Istituto Figlie di San Camillo con sede legale in (OMISSIS) poichè il ricorso principale è stato proposto e notificato all’ente ecclesiastico Figlie di San Camillo nel domicilio eletto presso il difensore, ai sensi dell’art. 330 cod. proc. civ., comma 1, sì che, pur se manca la specificazione “ospedale San Camillo di (OMISSIS)”, tale ente è lo stesso che è stato in giudizio in primo e secondo grado e perciò nessun rilievo, in suo nome e per conto, può esser effettuato dal diverso soggetto Istituto Figlie di San Camillo con sede legale in (OMISSIS), nè va disposta alcuna rinnovazione della notifica del ricorso, perfettamente valida.

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti principali deducono:

“Violazione di legge. L. n. 194 del 1978, artt. 1 e 4, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”.

I giudici di appello non avevano considerato, come richiesto dagli appellanti, al fine di valutare la possibilità per la gestante di richiedere l’interruzione volontaria della gravidanza, che in ambito medico – legale la data dell’inizio del concepimento decorre dall’ovulazione perchè è soltanto dal concepimento che occorre calcolare il tempo per l’interruzione della gravidanza, mente la data dell’ultima mestruazione rileva per stabilire la data presunta del parto, la scadenza degli esami ecografici, i monitoraggi del feto, etc.. Infatti l’aborto criminoso è la violenta interruzione del processo fisiologico di maturazione del feto dal suo concepimento (Cass. Pen. 28 giugno 1961); la tutela delle lavoratrici madri – D.P.R. n. 568 del 1953, art. 12 – precisa che per aborto si intende la interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza che si verifichi prima del 180ottantesimo giorno dall’inizio della gestazione; ai sensi del D.P.R. n. 803 del 1975, art. 7, del regolamento di polizia mortuaria la valutazione delle settimane di presunta età gestionale dei prodotti abortivi al fine di procedere alla sepoltura è fatta con riferimento all’età uterina e perciò non all’ultima mestruazione, ma al concepimento o addirittura annidamento dell’ovulo nell’utero. Anche il TAR del Lazio in relazione alla pillola del giorno dopo ha accolto tale interpretazione e la L. n. 194 del 1978, tutela la vita umana dal suo inizio e ala L. n. 194 del 1978, artt. 1, 4, 6 e 19, disciplinano l’interruzione della gravidanza, e la tutela costituzionale della vita, della salute della donna e della maternità non può esser anteriore alla data in cui si forma la vita, mentre per l’impianto della blastocisti nel corpo della madre il termine è spostato di due giorni più avanti. Invece i giudici di appello, contraddittoriamente ed illogicamente, per confermare che al momento della scoperta del CMV la N. era al 91esimo giorno utilizza il calcolo a ritroso basato sulla nascita della bambina a termine alla 39esima settimana e cioè dall’ultima mestruazione, metodo confutato dagli appellanti.

Quindi, stante l’errore su tale punto decisivo della controversia, sussiste il vizio logico – giuridico sulla ritenuta mancanza di nesso di causalità tra l’omessa informazione dei rischi dell’infezione contratta e la privazione della facoltà di scelta della N. di interrompere la gravidanza.

1.3 – Il motivo è infondato.

La L. n. 194 del 1978, art. 4, nel disciplinare i casi di interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, non prescrive come accertare quando tale stato è iniziato.

Pertanto allorchè la gestante si rivolge al consultorio pubblico assumendo la ricorrenza delle circostanze di serio pericolo per la sua salute indicate da detta norma per abortire, necessariamente il dato di riferimento per calcolare l’inizio della gravidanza è la dichiarazione della medesima sul primo giorno dell’ultima mestruazione essendo questo elemento empirico, oggettivo e soggettivamente certo di immediata individuazione, a differenza della ed. epoca concezionale biologica, coincidente con la data di fecondazione dell’ovulo, dato soggettivamente molto variabile, non certamente individuabile dalla gestante nè di immediata accertabilità, come invece richiede il procedimento disciplinato dagli artt. 4 e 5 della suddetta legge la cui finalità è quella di permettere l’interruzione della gravidanza non oltre un tempo massimo dal suo inizio.

Ne consegue che correttamente la Corte di merito ha escluso la possibilità della N. di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza a norma della L. n. 194 del 1978, art. 4, alla data del 18 gennaio 1996, allorchè il M. ebbe la certezza dell’infezione da CMV contratta da costei, poichè erano già decorsi, dalla data di inizio dell’ultima mestruazione – (OMISSIS) – i novanta giorni previsti da detta norma nè i ricorrenti prospettano l’omesso esame di altri elementi in contrasto con tale calcolo, come ad esempio le misurazioni del feto risultanti dalle ecografie biometriche e morfologiche effettuate nel (OMISSIS).

2.- Il secondo ed il quarto motivo del ricorso principale vanno esaminati congiuntamente perchè connessi.

2.1- Con il secondo motivo i ricorrenti F. ricorrenti deducono: “Violazione e falsa applicazione della L. n. 194 del 1978, artt. 1, 4, 6 e 14, della L. n. 833 del 1978, art. 33, comma 1 e 5, degli artt. 1218 e 1176 c.c. e art. 328 c.p. (con riguardo all’elemento oggettivo del reato); insufficienza e contraddittorietà della motivazione rispetto al contenuto dell’obbligo di informazione gravante sul sanitario ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”.

Il diritto all’informazione va ricostruito attraverso la L. n. 833 del 1978, art. 2, L. n. 194 del 1978, artt. 1, 4 e 6, gli artt. 1176 e 1218 c.c., nonchè l’art. 328 c.p., i quali vanno interpretati alla luce dei principi costituzionali contenuti negli artt. 13 e 32 della Carta. Il codice di deontologia medica del 16 giugno 1995, pur non vincolante per il giudice, deve permeare il giudizio di diligenza dell’adempimento essendo metro di valutazione del contratto. L’art. 29 impone al sanitario di fornire al paziente ogni notizia, tenendo conto del suo livello di cultura, di emotività e delle sue capacità di discernimento e quindi anche nel caso di prognosi infausta l’informazione deve esser completa. I giudici di appello hanno disatteso tali principi nel rapporto medico – paziente e i principi costituzionali – artt. 13 e 32 Cost. – in relazione ai quali il paziente è titolare del diritto di autodeterminazione in relazione al proprio corpo per gli accertamenti ed i trattamenti sanitari, anche in relazione al diritto alla salute, alla luce dei quali devono esser interpretati la L. n. 194 del 1978, artt. 4 e 6. Perciò il paziente ha diritto all’informazione dei rischi e complicanze anche meno frequenti che incidano gravemente sulle sue condizioni fisiche o sulla vita e l’urgenza dell’informazione va rapportata alla circostanza che alla data del (OMISSIS) non era scaduto il termine per l’interruzione della gravidanza ai sensi della L. n. 194 del 1978, art. 4. Questa norma consente il sacrificio dell’embrione nel bilanciamento degli interessi con la salute della madre, qualora possa esser compromessa, ed il cui pericolo può sussistere anche al momento del parto per le anomalie del concepito anche se soltanto temute, essendo poi compito del consultorio consigliare le appropriate indagini. Pertanto la difficoltà di accertare un’anomalia fetale non è di impedimento alla I.V.G. e perciò il M. doveva informare la N. che l’infezione poteva esser primaria o secondaria, e che vi erano esami, ancorchè con rischi abortivi, per accertare se l’infezione si era trasmessa al feto, con conseguente rischio di malformazioni dal 7,60% all’11,75%.

Ed infatti la L. n. 194 del 1978, art. 1, evoca il diritto alla procreazione cosciente e responsabile. E poichè stavano per scadere i termini per l’interruzione della gravidanza, non vi era discrezionalità del medico nell’informazione completa, doverosa anche per prepararsi al parto, se il termine fosse perento. La C.T.U. ha affermato che l’amniocentesi avrebbe consentito di accertare la trasmissione del virus al feto, mentre la funicolocentesi poteva esser effettuata già dopo le prime due determinazioni virologiche positive del (OMISSIS) per accertare il contagio del feto. La Corte di merito ha omesso qualsiasi motivazione al riguardo.

2.2- Con il quarto motivo i medesimi deducono: “Violazione della L. n. 194 del 1978, art. 6, e vizio di insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”.

L’accertamento delle malformazioni non vi è stato perchè il medico non ha informato la paziente della possibilità di sottoporsi ad amniocentesi e funicolocentesi per verificare se il virus si era trasmesso al feto, avendo la N. provato, mediante le testimonianze assunte, che avrebbe abortito se informata delle malformazioni. La circostanza che la funicolocentesi non fosse praticabile a (OMISSIS) all’epoca è irrilevante, potendo la N. andare altrove. Per interrompere oltre il novantesimo giorno la gravidanza è sufficiente accertare, se non è possibile o difficile accertare le anomalie del feto, un processo patologico della madre produttivo di pericolo per la sua salute, anche non attuale, che può sussistere anche per la sola ipotizzabilità delle malformazioni.

2.3- I motivi sono fondati nei limiti di cui in appresso. Esclusa, per le ragioni suesposte, la lesione del diritto della N. ad interrompere la gravidanza, va conseguentemente confermata la decisione impugnata che ha escluso l’illiceità penale dell’incompleta informazione del M. – art. 328 c.p., comma 1 (come novellato dalla L. n. 86 del 1990): “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che… per ragioni di sanità deve esser compiuto senza ritardo.. “- sui rischi derivabili dall’infezione da CMV, perchè per l’esistenza della fattispecie penale l’atto che il medico omette deve avere il requisito del non essere rinviabile per ragioni di sanità, mentre alla data del (OMISSIS) era ormai decorso il termine, come innanzi specificato, per l’interruzione della gravidanza ai sensi della L. n. 194 del 1978, art. 4 e alla violazione di tale interesse protetto, si riferiscono i ricorrenti nel riproporre, anche in questa sede, la violazione dell’art. 328 cod. pen..

2.4- Peraltro tale condotta del M. ha violato il diritto della N. ad essere informata che esistevano indagini prenatali più approfondite, pur se rischiose per la sopravvivenza del feto, che le consentivano di accertare sia se questi aveva contratto il virus di CMV, sia se era affetto da rilevanti anomalie o malformazioni. Peraltro, poichè la sentenza impugnata ha escluso che i genitori della bimba abbiano chiesto il risarcimento del danno loro derivato dal trauma della rivelazione che ella era nata con le malformazioni, i segni e i sintomi dell’infezione contratta, ovvero per esser stati privati della possibilità di un graduale adattamento a tale evento, per ottenere il risarcimento dei danni cagionati dalla violazione del diritto della N. ad interrompere la gravidanza, costei doveva dimostrare che, accertate rilevanti anomalie o malformazioni del feto, in lei sarebbe insorto uno stato patologico tale da mettere in grave pericolo la sua salute fisica o psichica, sì da consentirle di interrompere la gravidanza prima che il nascituro pervenisse alla possibilità di vita autonoma (art. 6, lett. b) e art. 7, prima parte, legge precitata).

E’ infatti da ribadire sia che l’obbligo di informare pienamente il paziente, prescritto dall’art. 29 del codice di deontologia medica approvato nel (OMISSIS), pur con le dovute cautele, non è soggetto a nessuna valutazione discrezionale e perciò comprende tutti gli aspetti diagnostici e prognostici dello stato di salute del paziente e quindi anche i rischi meno probabili, purchè non del tutto anomali, in modo da consentirgli di capire non solo il suo attuale stato, ma anche le eventuali malattie che possono svilupparsi, le percentuali di esito fausto ed infausto delle stesse, nonchè il programma diagnostico per seguire l’evoluzione delle condizioni del paziente e l’indicazione delle strutture specializzate ove svolgerlo, ovvero di specialisti esperti per formularlo, pur se a tal fine il paziente si deve allontanare dal luogo ove è in cura (Cass. 14638/2004); sia che tale obbligo ha rilevanza giuridica perchè integra il contenuto del contratto e qualifica la diligenza del professionista nell’esecuzione della prestazione; sia che la violazione di esso può determinare la violazione di diritti fondamentali ed inviolabili (quali il diritto ad esprimere la propria personalità, la libertà personale, la salute – artt. 2, 13 e 32 Cost. – il diritto alla vita, al rispetto della vita privata e familiare, alla formazione della famiglia: artt. 2, 8 e 12 Convenzione Europea dei diritti dell’uomo).

2.5 – Quindi, nella fattispecie, il M., appresa l’infezione “recente” da CMV contratta dalla N., anzichè sottovalutare i rischi derivabili al feto ipotizzando che fosse difficilmente trasmissibile ad esso perchè secondaria – benchè non gli risultasse, secondo la narrativa della sentenza impugnata, che la N., già sua paziente per le precedenti gravidanze, fosse immune per CMV – ed in tal modo protrarre l’errore diagnostico per tutta la gravidanza – aveva l’obbligo di adempiere, con la diligenza, la perizia e la prudenza qualificate dalla professione svolta, al contratto intercorso con la N. e di rispettare, non sottraendole la libertà di decidere, i suoi diritti inviolabili all’autodeterminazione nel sottoporsi o meno ad indagini ed accertamenti citogenetici, ancorchè invasivi e rischiosi per il feto – amniocentesi, villocentesi, funicolocentesi (eseguibili dalla diciottesima settimana) – onde affrontare una maternità cosciente e responsabile, e tutelare la sua salute fisica e psichica (L. n. 405 del 1975, art. 1 e L. n. 194 del 1978, artt. 2, 3, 13, 31 e 32 Cost.) se il feto avesse contratto l’infezione da CMV e se di conseguenza fosse affetto da rilevanti anomalie o malformazioni che le avessero cagionato un processo patologico gravemente pericoloso per la sua salute (L. n. 194 del 1978, art. 6, lett. b)).

2.6 – Pertanto, per stabilire se i danni richiesti sono conseguenza dell’inadempimento all’obbligo della suddetta completa informazione da parte del M., è necessario che il giudice di merito accerti, ex ante, se la conoscibilità delle rilevanti anomalie e malformazioni del feto – secondo la diagnostica a disposizione all’epoca in relazione alla possibilità di riscontrarle – avrebbe determinato (con un giudizio di prognosi postuma) un grave pericolo della lesione del diritto alla salute della madre, avuto riguardo alle condizioni concrete fisiopsichiche patologiche della stessa e secondo la scienza medica di allora in base alla regola causale del “più probabile che non” (Cass. 10741/2009), così da determinare i presupposti per attuare la tutela di tale interesse – ritenuto dall’ordinamento prevalente su quello alla nascita del concepito gravemente malformato, purchè non giunto ad uno stadio di formazione e maturità che ne rende possibile la sua vita autonoma (L. n. 194 del 1978, art. 7, comma 3) – consentendo alla madre di interrompere la gravidanza, quale intervento terapeutico complementare (art. 6, lett. b), stessa legge). Dunque, soltanto nella concomitanza di tali condizioni (Cass. 12195/1998, 2793/1999, 6735/2002) possono esser risarciti i danni ingiusti che sono derivati, in termini di causalità adeguata (art. 1223 cod. civ.), dalla lesione degli interessi tutelati dalla legge sull’interruzione volontaria gravidanza, domandati dagli attori, secondo l’interpretazione delle domande loro effettuata dai giudici di merito.

Al padre poi, terzo del contratto intercorso tra la madre del figlio gravemente malformato ed il medico, ma obbligato alla pari di essa nei confronti del figlio (artt. 29 e 30 Cost., artt. 143, 147, 261 e 279 cod. civ.) sono poi direttamente risarcibili i danni provocatigli dall’inadempimento di costui all’obbligo di informare la madre dello stato di salute del feto e di individuare e suggerire tutti gli strumenti diagnostici idonei a tal fine, se a causa di detto inadempimento, funzionale a quello oggetto della prestazione principale del contratto, è stato impedito alla madre l’esercizio del diritto ad interrompere la gravidanza a norma della L. n. 194 del 1978, art. 6, lett. b), (Cass. 20320/2005, 10741/2009, S.U. 26972/2008).

3. – Con il terzo motivo gli stessi deducono: “Omessa e contraddittoria motivazione; in ordine all’elemento soggettivo del reato p. e p. dall’art. 328 c.p., ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Contraddittoriamente la Corte di merito afferma, per escludere il dolo del reato, che il M. avesse la consapevolezza dell’infezione primaria della N. altrimenti non avrebbe disposto i controlli ecografici, mentre d’ altro canto afferma che lo stesso sanitario l’aveva sottoposta a ripetuti controlli sierologici e quindi era consapevole della relativa incertezza, tant’è vero che egli stesso afferma di aver voluto attendere il secondo esame per conoscere se si trattava di una reinfezione. Quindi il dolo di cui all’art. 328 c.p., esiste per aver scelto di non informare completamente la paziente.

Il motivo è assorbito dalle considerazioni svolte nell’esaminare il motivo precedente in relazione all’inesistenza dell’elemento oggettivo del reato.

5- Con il ricorso incidentale il M. lamenta l’omessa pronuncia in appello sulla sua domanda di restituzione della somma corrisposta (Euro 110.903,05) in esecuzione della sentenza di primo grado, totalmente riformata in appello con il rigetto delle domande attoree.

Il ricorso è assorbito dall’accoglimento del ricorso principale.

6.- Concludendo va accolto il ricorso principale in relazione al secondo e al quarto motivo, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per gli accertamenti di fatto e per nuovo esame alla luce dei principi esposti ai punti 2.3, 2.4, 2.5, 2.6 della motivazione e per provvedere sulle spese, anche del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il secondo e il quarto motivo del ricorso principale nei termini di cui in motivazione, rigetta il primo e dichiara assorbito il terzo ed il ricorso incidentale. Cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Brescia.

Così deciso in Roma, il 11 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 2 febbraio 2010

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