Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23536 del 20/09/2019

Cassazione civile sez. un., 20/09/2019, (ud. 26/03/2019, dep. 20/09/2019), n.23536

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Felice – Presidente di Sez. –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25433/2017 proposto da:

MINERVA S.P.A. – CASA DI CURA SANTA MARIA DELLA SALUTE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ANTONELLI 49, presso lo studio dell’avvocato SERGIO COMO,

rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI M. D’ANGIOLELLA;

– ricorrente –

contro

REGIONE CAMPANIA, in persona del Presidente della Giunta Regionale

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POLI 29, presso

l’Ufficio di Rappresentanza della regione stessa, rappresentata e

difesa dall’avvocato FABRIZIO NICEFORO;

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – COMMISSARIO STRAORDINARIO PER

LA PROSECUZIONE DEL PIANO DI RIENTRO DEL SETTORE SANITARIO DELLA

REGIONE CAMPANIA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

AZIENDA SANITARIA LOCALE CASERTA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato LUIGI DAMIANO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3672/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata l’11/09/2017.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/03/2019 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento dei

primi tre motivi del ricorso, inammissibile il quarto;

uditi gli avvocati Luigi Damiano e Giustina Noviello per l’Avvocatura

Generale dello Stato.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La “Minerva s.p.a. – Casa di Cura Santa Maria della Salute” (di seguito Minerva) ha proposto ricorso per cassazione contro la Regione Campania, il Commissario Straordinario per l’attuazione del Piano di rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione Campania, il Sub Commissario ad Acta per l’attuazione del Piano di Rientro dai disavanzi del Settore sanitario della Regione Campania e l’Azienda Sanitaria Locale di Caserta.

Il ricorso è stato proposto avverso la sentenza dell’11 settembre 2017, con la quale la Corte d’Appello di Napoli ha rigettato l’appello proposto da essa ricorrente contro la sentenza del Tribunale di Napoli del 19 maggio del 2016, con cui era stato dichiarato il difetto di giurisdizione dell’A.G.O. e la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo sulle domande, proposte con citazione notificata nel gennaio del 2013 dalla Minerva contro i soggetti qui intimati, per ottenere (come emerge dalla copia della citazione introduttiva del giudizio prodotta dalla difesa erariale, laddove nel ricorso si è scelto di evocare le conclusioni precisate nella memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, salvo, poi, nell’illustrare il primo motivo particolarmente a pagina 11 – fare riferimento alla citazione introduttiva come sollecitante la disapplicazione delle delibere, così confermando quanto emerge dalla citazione):

a) in via principale “accertata la violazione delle norme che sottintendono ai c.d. tetti di spesa regionali dichiarare illegittime e dunque disapplicare le delibere ed i decreti sottesi ai contratti sottoscritti dalla Casa di cura attrice per la parte in cui dispongono che le prestazioni erogate ai pazienti extra regionali rientrano nei tetti di spesa della Regione Campania. In conseguenza dichiarare invalidi, perchè in violazione di legge o comunque atti illegittimi in parte qua, i contratti detti per la parte in cui dispongono che le prestazioni erogate ai pazienti extra regionali rientrano nei tetti di spesa della Regione Campania. In conseguenza accertare il diritto della Casa di cura attrice al pagamento delle prestazioni rese ai pazienti fuori Regione per gli anni 2007-2008-2009, 2010, 2011, 2012 per 5.677.460,48 (Euro cinquemilioniseicentosettantasettemilaquattrocentosessanta,48) con consequenziale condanna al pagamento, il tutto gravato di interessi di mora e rivalutazione monetaria”;

b) “In subordine, dichiarare l’indebito arricchimento ex art. 2041 c.c., della Regione Campania, in persona del l.r.p.t., nei confronti della “Minerva S.p.a. Casa di cura Santa Maria della Salute”, in persona del L.R.p.r., in quanto la Regione Campania ha incassato le somme per le prestazioni rese dalla Casa di cura attrice senza rimborsare alla stessa che ha reso le dette prestazioni e per l’effetto condannare la Regione Campania, in persona del l.r.p.t., alla liquidazione in favore della “Minerva S.p.a. – Casa di cura Santa Maria della Salute” sempre della detta somma “per le prestazioni sanitarie da queste rese a favore degli “extraregionali”, o della diversa somma che On. Giudice riterrà, oltre interessi moratori e rivalutazione”.

2. Il tribunale partenopeo declinava la giurisdizione accogliendo l’eccezione di difetto di giurisdizione formulata dai convenuti sotto il profilo che si configurava la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi del D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33, come modificato dalla L. n. 205 del 2000, art. 7 e nel testo risultante dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 204 del 2004, in quanto l’oggetto della controversia, pur riguardando la debenza o meno dei corrispettivi relativi alle prestazioni sanitarie erogate a favore dei pazienti extraregionali, doveva ritenersi attinente al rapporto concessorio che legava la Minerva alla Regione e concernente l’esercizio di poteri autoritativi della stessa.

3. La corte territoriale ha rigettato l’appello della Minerva con la seguente motivazione:

“Il Tribunale ha correttamente affermato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario per essere la controversia devoluta alla cognizione del giudice amministrativo ai sensi del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 133, comma 1, lett. c), per effetto del quale sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di pubblici servizi relativi a concessioni di pubblici servizi con la sola esclusione di quelle “concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi”, nelle quali la pubblica amministrazione non è coinvolta come autorità. Secondo il consolidato insegnamento della Suprema Corte deve ritenersi sussistere la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ogni qualvolta venga in gioco “la validità della convenzione, la determinazione del suo contenuto o la determinazione del prezzo della prestazione” (Cass. SS.UU., ordinanza n. 716/2003 e sentenza n. 6330/2005), o più in generale ogni qualvolta occorre verificare “l’azione autoritativa della P.A. sul rapporto concessorio sottostante o l’esercizio di poteri discrezionali nella determinazione delle indennità o canoni stessi” (Cass., SS.UU., ordinanza n. 3046/07). Più di recente, la Suprema Corte ha ribadito che “in materia di concessioni amministrative, tanto l’art. 113, comma 1, lett. b, del codice del processo amministrativo (approvato con D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104) che la L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 5 (applicabile “ratione temporis”), nell’attribuire alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ogni controversia relativa ai rapporti di concessione di beni e servizi pubblici, fatte salve quelle aventi ad oggetto indennità, canoni o altri corrispettivi, non implicano affatto, in queste ultime ipotesi, un regime di giurisdizione esclusiva del giudice ordinario. Spettano, infatti, in base ai criteri generali del riparto di giurisdizione, alla giurisdizione ordinaria solo quelle controversie sui profili in esame che abbiano contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere di intervento della p.a, a tutela di ipotesi generali, mentre restano nella giurisdizione amministrativa quelle che coinvolgano l’esercizio di poteri discrezionali inerenti alla determinazione del canone, dell’indennità o di altri corrispettivi” (così Cass. Civ., Sez. Un. 12/10/2011 n. 20939; e nello stesso senso anche Cass. Civ. Sez. Un. 24/06/2011 n. 13903 secondo cui “in materia di concessioni amministrative, le controversie concernenti indennità, canoni od altri corrispettivi, riservate dalla L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 5, comma 2, alla giurisdizione del giudice ordinario sono solo quelle con un contenuto meramente patrimoniale, senza che assuma rilievo un potere di intervento della p.a. a tutela di interessi generali; quando, invece, la controversia coinvolga la verifica dell’azione autoritativa della p.a. sul rapporto concessorio sottostante, ovvero quando investa l’esercizio di poteri discrezionali valutativi nella determinazione del canone e non semplicemente di accertamento tecnico dei presupposti fattuali economico-aziendali (sia sull’an che sul quantum), la medesima è attratta nella sfera di competenza giurisdizionale del giudice amministrativo”. L’azione proposta dalla Società appellante risulta anzitutto diretta a conseguire l’accertamento dell’illegittimità delle delibere e dei decreti regionali nella parte in cui dispongono;che le prestazioni erogate ai pazienti extra regionali rientrano nei tetti di spesa della Regione Campania, mentre sia la domanda di statuizione dichiarativa dell’invalidità in parte qua dei contratti stipulati annualmente con l’ASL, sia quella conseguenziale di condanna al pagamento delle differenze non corrisposte in base ai provvedimenti amministrativi asseritamente illegittimi, costituiscono meri corollari processuali della prima domanda. D’altronde, a conferma del palese difetto di giurisdizione del Giudice ordinario va evidenziato che Minerva nulla ha replicato alla deduzione con cui la Regione ha ricordato le due pronunce, emesse dal Tar Campania nel corso dei 2011, che hanno respinto i ricorsi proposti dall’appellante avverso le deliberazioni che, per gli anni 2006 e 2008, avevano fissato le condizioni la cui pretesa illegittimità è stata ribadita con la domanda in seguito riproposta al Giudice ordinario. Questa condotta processuale costituisce riprova non solo della precedente affermazione della giurisdizione del Giudice amministrativo, evidentemente incontestata dalla Minerva, sia della consapevolezza di quest’ultima della sostanziale duplicazione, attraverso la proposizione delle domande ora all’esame del Giudice ordinario, delle originarie richieste, peraltro avanzate anche nei confronti di parti – quali il Commissario Straordinario ed il Sub Commissario ad acta indicati in epigrafe – privi di qualsiasi legittimazione passiva rispetto alla subordinata domanda di condanna proposta, ma evidentemente legittimati nei confronti di quella, effettivamente proposta in via principale, avente ad oggetto l’impugnativa dell’attività provvedimentale della Regione”.

4. Al ricorso per cassazione, che prospetta quattro motivi, i primi tre dei quali afferiscono alla giurisdizione, hanno resistito con separati controricorsi la Presidenza del Consiglio – Commissario Straordinario per l’attuazione del Piano di rientro del settore sanitario della Regione Campania, la Regione Campania e l’Azienda Sanitaria Locale Caserta.

5. Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via preliminare si deve convenire con il Procuratore generale, là dove nelle sue conclusioni ha rilevato che il ricorso è procedibile, in quanto la sua notificazione è avvenuta, dal punto di vista della notificante, in data 3 novembre 2017 e, dunque, in una data che comunque si colloca nei sessanta giorni dalla pubblicazione della sentenza impugnata, avvenuta l’11 settembre 2017. Tanto evidenziando la tempestività del ricorso anche se il termine breve fosse decorso il giorno successivo alla pubblicazione della sentenza, dopo rende irrilevante la necessità della produzione della copia della sentenza recante la notificazione, che si è detto nel ricorso effettuata a mezzo PEC dalla difesa erariale il 14 settembre 2017.

Ciò, alla stregua del principio di diritto secondo cui: “Pur in difetto di produzione di copia autentica della sentenza impugnata e della relata di notificazione della medesima (adempimento prescritto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2), il ricorso per cassazione deve egualmente ritenersi procedibile ove risulti, dallo stesso, che la sua notificazione si è perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, poichè il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza (indicata nel ricorso) e quella della notificazione del ricorso (emergente dalla relata di notificazione dello stesso) assicura comunque lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugnazione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2” (Cass. n. 17066 del 2013).

2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia vizio ai sensi del n. 1 dell’art. 360 c.p.c., per “errore nell’applicazione delle norme di diritto quali il D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 33 e del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. c), che (ha) determinato l’errata dichiarazione della giurisdizione del G.A.”.

Vi si censura la sentenza impugnata in quanto essa avrebbe erroneamente apprezzato l’oggetto della controversia e del conseguente petitum, reputando, nel condividere la declinatoria della giurisdizione motivata dal tribunale per essere la controversia devoluta alla cognizione del giudice amministrativo ai sensi del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. c) e non riconducibile a quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, che l’azione proposta risultava anzitutto diretta a conseguire l’accertamento della illegittimità delle delibere e dei decreti regionali nella parte in cui dispongono.

Si sostiene che con la domanda non era stata posta in discussione la sussistenza della giurisdizione dell’A.G.A. “in tutte quelle ipotesi in cui, in materia sanitaria, vi sia l’esercizio di un potere autoritativo da parte della p.a., la quale, infatti, ex lege, svolge una funzione di programmazione e regolamentazione del settore anche attraverso la determinazione dei “tetti di spesa”” e si adduce che non si erano impugnati “in via principale i provvedimenti con i quali si pone in essere tale potere”, sostenendo che di detti provvedimenti, richiamati solo genericamente e no indicati analiticamente, “proprio perchè non oggetto della controversia” si era chiesta “solo eventualmente la disapplicazione, qualora il giudice” l’avesse ritenuta necessaria”, mentre ciò di cui si controverteva era solo il mancato rimborso da parte della Regione delle somme incassate o da incassare dalle regioni di provenienza dei pazienti curati presso la clinica della ricorrente.

A sostengo della prospettazione della giurisdizione dell’A.G.O. si invoca, poi, Cass., Sez. Un., (ord.) n. 21111 del 2017, resa in sede di regolamento preventivo in un giudizio introdotto con domande dello stesso tenore da altra società gerente di altra clinica e con proprietà identica a quella della società ricorrente, nonchè Cass., Sez. Un., n. 22094 del 2015.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia sempre un vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1, censurando la parte della motivazione che, a conferma della ritenuta sussistenza della giurisdizione amministrativa ha argomentato dalla reiezione dei ricorsi al TAR Campania, nuovamente ribadendo che l’oggetto dei ricorsi decisi dal TAR era diverso da quello introdotto davanti al giudice ordinario e ciò sempre sull’assunto che il relativo petitum riguardava la condanna al pagamento di un credito.

2.2. Con il terzo motivo si denuncia “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto d discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., n. 5, in realtà nella sostanza postulando sempre un vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1, cioè un errore nella individuazione della giurisdizione e lo si fa addebitando alla stessa motivazione della sentenza impugnata criticata nel motivo precedente, di avere ritenuto che la domanda di cui è processo avesse integrato una violazione del principio del ne bis in idem sotto il profilo che essa avrebbe reiterato quella proposta davanti all’A.G.A..

3. I primi tre motivi, intesi tutti come diretti a censurare la declinatoria di giurisdizione dell’A.G.O. a favore di quella dell’A.G.A. sono fondati, una volta considerato che, in relazione all’epoca di introduzione del giudizio, la norma di riferimento ai fini della individuazione della giurisdizione è rappresentata dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. c), (Codice del processo amministrativo) e, dunque, domandandosi se la controversia sia riconducibile oppure no all’ambito della fattispecie di giurisdizione esclusiva dell’A.G.A. individuata da detta norma, come hanno ritenuto i giudici di merito.

3.1. Detta norma reca una formulazione che, dopo un esordio espressamente onnicomprensivo riferito alla “controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi”, il quale di per sè sarebbe idoneo ad assoggettare alla giurisdizione esclusiva tutte le controversie in quella materia, cioè che traggano origine da o si ricolleghino ad un rapporto di concessione di pubblico servizio, eventualmente anche con riferimento alla fase della sua insorgenza, in primo luogo stabilisce un’eccezione alla regola generale della soggezione alla giurisdizione esclusiva individuata con il semplice e generico riferimento al detto rapporto.

Essa è relativa alle “controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi”.

La norma continua, poi, con una serie di previsioni che vorrebbero essere aggiuntive a quella generale, quando – con la congiunzione “ovvero” (da intendersi non nel senso avversativo, bensì in quello simile a “cioè”, “ossia”, e dunque esemplificativo della previsione generale) riferisce la giurisdizione esclusiva alle controversie “relative a provvedimenti adottati dalla pubblica amministrazione o dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo, ovvero ancora relative all’affidamento di un pubblico servizio, ed alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore, nonchè afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di pubblica utilità”.

Si tratta, peraltro, di esemplificazioni che, se non fossero state fatte, non avrebbero comunque – e proprio per il loro carattere esemplificativo – impedito la riconducibilità delle dette controversie alla fattispecie generale di giurisdizione esclusiva. Tale fattispecie, infatti, avrebbe dovuto intendersi secondo la metanorma di cui al comma 1 dell’art. 7 cod. proc. amm. e, quindi, in modo da comprendere le controversie su “i diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posto in essere da pubbliche amministrazioni”.

In base a tale metanorma, com’è noto fotografante i limiti della giurisdizione esclusiva segnati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 204 del 2004, la giurisdizione esclusiva nella materia delle concessioni di pubblico servizio secondo la previsione generale sarebbe stata ed è idonea – al di là delle esemplificazioni fatte poi dalla stessa lett. c), che comunque vanno lette allo stesso modo – a comprendere tutte le controversie che originino da un rapporto concessorio di pubblico servizio o comunque siano relative alla sua insorgenza, in quanto coinvolgano l’esercizio o il mancato esercizio di un potere amministrativo, che si esprima in un provvedimento oppure in un atto o un accordo che sia riconducibile a tale esercizio o mancato esercizio oppure in un comportamento che anche mediatamente a detto potere sia riconducibile.

Le esemplificazioni introdotte dalla congiunzione “ovvero” risultano – come s’è già detto – a loro volta da leggersi secondo il disposto della detta metanorma.

Al di fuori della fattispecie di giurisdizione esclusiva così individuata, sia sulla base della previsione generali, sia, in modo confermativo ed esemplificativo, da quelle particolari, mette conto di rilevare che si colloca soltanto la giurisdizione sulle “controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi”.

3.2. La legge non dice quale sia la giurisdizione su tali controversie, ma, ragionando in negativo e valorizzando l’eccettuazione dalla giurisdizione esclusiva, si potrebbe pensare che essa sia regolata dal criterio normale di riparto della giurisdizione, quello imperniato sulla distinzione fra diritti soggettivi e interessi legittimi.

Ne seguirebbe che, quando siffatte controversie riguardino la tutela di una situazione di diritto soggettivo spetterebbero all’A.G.O., mentre spetterebbero all’A.G.A. se riguardino la tutela di una situazione di interesse legittimo.

In realtà, conforme a quanto nella materia doveva ritenersi nella vigenza della L. n. 1034 del 1971, l’eccettuazione implica che le controversie in discorso siano attribuite alla giurisdizione ordinaria se ed in quanto la loro decisione non postuli la cognizione di diritti soggettivi riguardo ai quali, secondo la previsione generale e, se si vuole, le esemplificazioni di cui si è detto, non si configura la giurisdizione esclusiva dell’A.G.A.: tale conclusione è obbligata perchè la giurisdizione del giudice amministrativo in via esclusiva sul rapporto concessorio è esclusiva e comprende l’esame di posizioni di diritto soggettivo alle condizioni indicate dall’art. 7, comma 1, cod. proc. amm.: se, per individuare l’ambito della giurisdizione dell’A.G.O. sulle controversie relative a canoni, indennità e corrispettivi, si applicasse il normale criterio di riparto imperniato sulla distinzione fra diritti soggettivi ed interessi legittimi, si verificherebbe una palese contraddizione con l’attribuzione all’A.G.A. della giurisdizione esclusiva sul rapporto concessorio, che comprende anche i diritti soggettivi, sebbene alla condizione indicata dall’art. 7, comma 1, citato.

3.3. Le concrete modalità di applicazione di tali principi ai fini della determinazione della giurisdizione nella materia coinvolgente i c.d. tetti di spesa sanitaria sono state di recente esplicitate dalla sentenza n. 28053 del 2018, che è stata a ragione evocata dal Pubblico Ministero e che ha svolto una messa a punto a superamento di precedenti incertezze manifestatesi nella giurisprudenza di questa Corte.

A detti principi si intende dare continuità.

Mette conto, pertanto, di richiamarli per poi coerenziarne le implicazioni ai fini della decisione sui motivi di ricorso.

3.4. La citata Cass., Sez. Un., n. 28053 del 2018 – dopo avere rilevato che il potere delle Regioni in tema di c.d. tetti di spesa e i provvedimenti con cui si attua, nonchè quelli applicativi delle relative deliberazioni adottati dalle ASL è espressione di un potere autoritativo, come, del resto, non pone in dubbio la ricorrente e sostengono le stesse parti resistenti – nell’individuare il significato che deve attribuirsi all’esclusione dalla giurisdizione esclusiva delle controversie su canoni, indennità ed altri corrispettivi e, in particolare, all’ambito e alle modalità con le quali si configura una giurisdizione dell’A.G.O., si è così espressa:

“4.6. E’ vero che quando la legge (nella specie per come risultante dalla già ricordata pronuncia della Corte costituzionale e per come faceva già la L. n. 1034 del 1971, art. 5, ed ora fa nel D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. c), recante il codice del processo amministrativo) allude a dette controversie, usa una formulazione che certamente si presta in prima battuta ad essere intesa come comprensiva anche delle liti nelle quali si discute della pretesa a dette spettanze in quanto dovute sulla base della disciplina del rapporto di concessione e, dunque, anche con riferimento alle varie modalità che esso prevede per la loro determinazione e ciò indipendentemente dal fatto che si tratti di modalità di determinazione espressione di poteri soggetti al diritto comune o di modalità di determinazione espressione di poteri autoritativi della p.a. concedente. Ma in concreto l’ampiezza della formulazione non toglie che il legislatore abbia inteso riferirsi ad esse solo nel primo senso e dunque esclusivamente alla controversia sulla determinazione che dipenda dall’applicazione della disciplina del rapporto concessorio in quanto connotata da una posizione di pariteticità delle parti e pertanto dall’assenza di poteri autoritativi della p.a. concedente e dall’attribuzione ad essa soltanto di poteri iure privatorum, cioè dei normali poteri riconosciuti ad una parte di un rapporto di diritto comune, qual è l’accordo contrattuale che la p.a. e il concessionario stipulano per dar corso al regime di erogazione delle prestazioni in c.d. accreditamento. Se ed invece la controversia riguardi quella determinazione in quanto dipendente da poteri autoritativi pubblicistici riconosciuti alla p.a., nel senso di abilitarla ad intervenire autoritativamente sulle indennità, sui canoni, sui corrispettivi, la formulazione attributiva della giurisdizione al giudice ordinario non può essere intesa nel senso che ad esso competa di controllare la legittimità dell’esercizio di quel potere. Questa seconda opzione esegetica è giustificata alla stregua dell’interpretazione costituzionale che si impone in base alla norma dell’art. 113 Cost., comma 3. Tale norma dispone che “la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge”. In tal modo la norma esige che una legge ordinaria dica espressamente quando la giurisdizione ordinaria in una determinata materia può annullare un atto della pubblica amministrazione e che ne indichi gli effetti. Ed il riferimento all’annullamento, concretandosi l’annullamento nella negazione dell’efficacia provvedimentale dell’atto, va inteso non solo nel senso che occorre che la legge debba attribuire un potere di annullamento espressamente, ma anche correlativamente che, in mancanza di tale attribuzione, l’a.g.o., quando le sia attribuita la giurisdizione su un rapporto con una p.a. non può neppure negare quella efficacia sebbene non tramite un formale annullamento, ma disconoscendola: tale disconoscimento si risolverebbe in una sorta di annullamento in senso sostanziale. Ora, poichè nel caso di specie la formulazione attributiva della giurisdizione ordinaria non dice espressamente che l’a.g.o. ha il potere di annullare eventuali atti autoritativi incidenti sulla determinazione delle indennità, dei canoni e dei corrispettivi, deve escludersi che la detta giurisdizione possa comprendere la possibilità del giudice ordinario investito di una controversia al riguardo di deciderla eventualmente annullando formalmente o disconoscendo sostanzialmente l’efficacia (e, dunque, facendo luogo ad una sorta di annullamento sostanziale) il provvedimento della p.a. che abbia inciso in qualche modo sull’obbligazione di corresponsione di indennità, canoni e corrispettivi. Ne deriva che il giudice ordinario non può essere adito con una domanda che postuli la corresponsione di indennità, canoni o corrispettivi previo annullamento dell’eventuale deliberazione autoritativa della p.a. che abbia inciso in qualche modo sulla loro relativa debenza”.

3.4.1. La citata sentenza n. 28053 del 2018 ha, poi, continuato rilevando che:

“Poichè la giurisdizione si determina dalla domanda, sebbene secondo il criterio del c.d. petitum sostanziale, la stessa soluzione si giustifica nel caso in cui con la domanda si chieda la corresponsione di indennità, canoni o corrispettivi postulando l’accertamento incidentale dell’invalidità della suddetta deliberazione in quanto incidente sulla loro determinazione e ciò per la ragione che, quando si prospetti con la domanda giudiziale un determinato modo di essere di un rapporto pregiudicante, qual è una deliberazione di quel genere, la domanda, pur se il petitum formale immediato non concerna tale accertamento, deve ritenersi comprensiva di esso, giacchè l’art. 34 c.p.c., concepisce la possibilità di un accertamento incidentale del rapporto pregiudicante (qual è quello concretatosi nella deliberazione incidente) come possibile solo se la contestazione sul suo modo di essere sia prospettata dal convenuto, mentre se esso sia prospettato come contestato dallo stesso attore il relativo accertamento è oggetto della domanda giudiziale. In questo caso il giudice ordinario deve ritenersi investito di una domanda di accertamento della illegittimità della deliberazione e, quindi, secondo il criterio del petitum sostanziale, di una domanda di annullamento di essa e deve su tale domanda declinare la giurisdizione, trattenendo la sola domanda di condanna alle indennità, canoni o corrispettivi (salvo poi sospendere il giudizio ex art. 295 c.p.c., su di essa in attesa della definizione di quello rimesso all’a.g.a.). La domanda di annullamento proposta espressamente o impropriamente in via incidentale, una volta considerato che nella materia la giurisdizione del giudice amministrativo è esclusiva, è da ascrivere alla giurisdizione del giudice amministrativo secondo tale qualificazione e non in via di sola legittimità, con la conseguenza che concerne indifferentemente tanto la cognizione degli interessi legittimi quanto quella dei diritti soggettivi e ciò tanto nel regime normativo applicabile alla controversia sotto il quale è insorta la presente lite quanto sotto quelli successivi e sopra indicati. 4.7. Ci si deve interrogare, poi, su quali siano i poteri del giudice ordinario, qualora egli venga investito di una domanda intesa ad ottenere la corresponsione di indennità, canoni o corrispettivi e sia la p.a. concedente a dedurre, come è accaduto nella specie, in via di eccezione, che essa non sia dovuta in tutto od in parte in ragione dell’esistenza di un proprio provvedimento autoritativo, adottato sulla base di una previsione normativa, che ne ha escluso la debenza totale o parziale. Giusta la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sul provvedimento, consegue che il giudice ordinario, se il provvedimento risulti impugnato e sub iudice davanti al giudice amministrativo, si trova nella condizione indicata dall’art. 295 c.p.c. Se il provvedimento è ancora impugnabile oppure sono decorsi i termini per impugnarlo e, dunque, esso si è consolidato, oppure è stato impugnato ed il giudicato l’ha parimenti consolidato, il giudice ordinario si trova, invece, nella condizione di dover decidere la controversia dando rilievo al provvedimento ed all’efficacia sua propria e ciò in quanto non ha il potere che di fronte agli atti amministrativi la legge gli riconosce con la L. n. 2248 del 1865, art. 5, all. E, abolitiva del contenzioso amministrativo: è noto, infatti, che “il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo illegittimo da parte del giudice ordinario non può essere esercitato nei giudizi in cui sia parte la P.A., ma unicamente nei giudizi tra privati” (Cass., Sez. Un., n. 2244 del 2015). Il giudice ordinario non può dunque mettere in discussione l’efficacia del provvedimento sulla controversia a lui devoluta e deve riconoscerla, decidendo, dunque, la controversia con il dare rilievo alla deliberazione e senza poterne metterne in discussione la validità e l’efficacia. In altri termini il giudice ordinario ha un potere di accertamento incidentale limitato alla sola esistenza della deliberazione e non può sindacare la sua validità ed efficacia, stante l’indicata esclusione del potere di disapplicazione, che si risolve nell’impossibilità di dar corso ad un accertamento incidenter tantum, altrimenti consentito dall’art. 34 c.p.c.. La ragione del restringimento della cognizione incidentale derivante dalla riferita interpretazione restrittiva dell’art. 5 della legga abolitiva del contenzioso amministrativo è che l’accertamento sulla materia oggetto dell’eccezione fondata sulla deliberazione è riservato alla giurisdizione amministrativa e dunque: a) se la parte privata non l’ha ancora impugnato le compete di eventualmente impugnarlo, mentre frattanto deve soggiacere alla sua efficacia; b) se l’impugnazione non è avvenuta ed il provvedimento si è consolidato, la soggezione è giustificata a maggior ragione; c) se l’impugnazione è avvenuta e sia stata rigettata con sentenza dell’a.g.a. passata in cosa giudicata, vi è solo da dare rilievo a quest’ultima. 4.8. Qualora il privato, in replica alla prospettazione della p.a., neghi che l’incidenza sull’oggetto della controversia possa estrinsecarsi o sostenga l’illegittimità del provvedimento stesso, come è accaduto nella fattispecie, non è sostenibile che questa replica all’eccezione prospettata dall’amministrazione con l’invocare l’efficacia del provvedimento determini automaticamente la conseguenza che la controversia si debba intendere nella sostanza come controversia sull’esercizio del potere autoritativo di cui è espressione il provvedimento, con la conseguenza che il giudice ordinario debba dichiarare il suo difetto di giurisdizione. Vi osta il principio per cui la giurisdizione si determina della domanda e ciò ancorchè esso notoriamente si debba intendere nel senso che la “domanda” deve individuarsi sulla base del petitum sostanziale e non sulla base della mera prospettazione. Il petitum sostanziale espresso nella domanda con cui si chiedono le indennità, i canoni o, come nella specie, i corrispettivi non è inciso dalle replicationes a meno che esse non si siano sostanziate in una modifica del tenore originario della domanda, il che esige però un’attività della parte privata di riformulazione della domanda stessa con la richiesta di accertare con efficacia di giudicato l’illegittimità dell’attività provvedimentale la cui rilevanza è stata eccepita dalla p.a. In mancanza di detta riformulazione della domanda, le replicationes alle eccezioni della p.a. circa l’efficacia del provvedimento restano soltanto fatti che il giudice ordinario deve esaminare per decidere sulla originaria domanda. Incidono sull’oggetto del processo ma non su quello della domanda. Sotto tale profilo sollecitano solo un sindacato incidentale sulla legittimità del provvedimento che, però, non è consentito alla stregua dell’indicato limite del potere di disapplicazione e che non lo è tanto più in un assetto nel quale sulla legittimità del provvedimento si configura la giurisdizione del giudice amministrativo in via esclusiva, cioè estesa anche alle situazioni di diritto soggettivo. L’esistenza della giurisdizione esclusiva e, quindi, dell’attribuzione alla giurisdizione del giudice amministrativo della cognizione della legittimità del provvedimento anche ai fini della tutela di quelle situazioni, impedirebbe comunque – cioè al di là dell’indicata esclusione del potere di disapplicazione per essere la controversia con la p.a. – di giustificare il potere di disapplicazione assumendone come oggetto l’esercizio in funzione della tutela della situazione di diritto soggettivo, in ipotesi rimasta tale nonostante l’esercizio del potere della p.a. con il provvedimento”.

3.4.2. Sempre la sentenza n. 28053 del 2018 ha, poi, rilevato che:

“Va avvertito che, per evitare che la previsione della giurisdizione ordinaria si svuoti del tutto ed essa venga posta nel nulla dalla mera invocazione da parte della p.a. della incidenza del suo potere autoritativo sull’oggetto attribuito a detta giurisdizione, siccome espressa in un provvedimento, deve distinguersi il caso in cui tale invocazione si appoggi sullo stesso contenuto del provvedimento adottato (nel senso che esso stesso sia stato emanato prevedendo quella incidenza, cioè il comportamento che l’ha prodotto nei contenuti che ha assunto) dal caso in cui la p.a. semplicemente invochi il provvedimento come legittimante il suo operato al di fuori di una espressa previsione della sua adozione nel provvedimento o della sua adozione proprio con il contenuto che ha assunto: in questo secondo caso appartiene alla giurisdizione dell’a.g.o., per la ragione che altrimenti essa risulterebbe disponibile dalla p.a. sulla base della mera prospettazione della riconducibilità del proprio comportamento al provvedimento, lo stabilire che il comportamento non è previsto dal provvedimento o non lo è con il contenuto adottato, con la conseguenza che esso, in quanto incidente – con riferimento alla specie di cui è processo – sulla debenza di indennità, canoni e altri corrispettivi, è sindacabile dall’a.g.o.”.

3.4.3. Nel dichiarare, sulla base delle riportate considerazioni, la giurisdizione del giudice ordinario sulla controversia in allora oggetto di ricorso, che concerneva un’ipotesi nella quale era stata l’Amministrazione ad invocare sulla base di eccezioni basate sui provvedimenti concernenti il tetto di spesa l’esistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo su una domanda di condanna al pagamento di corrispettivi e la parte ricorrente aveva sollecitato in replicatio la disapplicazione, le Sezioni Unite prescrissero alla corte di rinvio di decidere la controversia “considerando le replicationes svolte dalla ricorrente in punto di sopravvenienza della deliberazione dell’ASL all’introduzione del giudizio, in punto di erroneità del criterio di ripartizione adottato nell’attuazione della Delib. Regionale n. 800 del 2006 e in punto di inapplicabilità della deliberazione dell’ASL alla pretesa creditoria in via retroattiva”, e, quindi, sulla base dei principi in precedenza espressi, di considerarle “irrilevanti se ed in quanto esse sollecitino una decisione della controversia nel senso di disconoscere l’efficacia della deliberazione stessa e dunque un accertamento incidentale tendente alla sua disapplicazione vietato dalla retta applicazione dell’art. 5 della legge abolitiva del contenzioso.”. Inoltre, le Sezioni Unite nell’individuare le modalità ed i limiti di esercizio della ritenuta giurisdizione dell’A.G.O., prescrissero al giudice del rinvio quanto segue: “In via preliminare, il giudice di rinvio dovrà verificare, questo essendo inerente invece all’ambito della sua giurisdizione, (a) se la deliberazione, secondo il suo tenore e, quindi, per quanto dispone espressamente o anche implicitamente, abbia disposto anche riguardo alla vicenda pur se sopravvenuta alla pendenza del giudizio, (b) se disponga effettivamente il criterio di riparto da cui la ricorrente dissente e (c) se abbia efficacia retroattiva, sempre secondo il suo disposto espresso o implicito. Questi accertamenti spetteranno al giudice di rinvio, essendo solo funzionali all’individuazione del tenore della deliberazione e dunque alla mera individuazione della sua efficacia dispositiva espressa o implicita sulla vicenda e non, invece, ad un sindacato su di essa e, pertanto, risultando finalizzati solo a considerarla come fatto rilevante (per suo espresso o implicito disposto, come s’è detto). Lo stesso giudice di rinvio potrà verificare se i contenuti che la Delibera dell’ASL risulta avere, in quanto giustificati in forza della deliberazione regionale, sono effettivamente riconducibili a quanto quest’ultima ha disposto oppure tale riconducibilità non risulti e, dunque, i contenuti siano stati espressione di scelte dell’ASL, che in tal modo non risulteranno assistite da quella riconducibilità e, dunque, espressione di potere autoritativo giustificato dalla delibera regionale”.

4. Tornando a questo punto alla vicenda di cui è processo ed applicandovi i principi che si sono ricordati, rilevano le Sezioni Unite che nella specie la domanda proposta in via principale, per come risulta dal tenore sopra riferito nei fatti di causa (“accertata la violazione delle norme che sottintendono ai c.d. tetti di spesa regionali dichiarare illegittime e dunque disapplicare le delibere ed i decreti sottesi ai contratti sottoscritti dalla Casa di cura attrice per la parte in cui dispongono che le prestazioni erogate ai pazienti extra regionali rientrano nei tetti di spesa della Regione Campania”) postulava essa stessa una disapplicazione delle delibere con cui era stata disposta la ricomprensione delle prestazioni erogate a favore dei non residenti e ciò come presupposto per la postulata ulteriore richiesta di declaratoria di invalidità dei contratti stipulati sulla base di esse.

La domanda, pur evocando l’invalidità, non postulava formalmente la richiesta di annullamento delle delibere e nemmeno la sollecitava impropriamente (per come detto dalla sentenza del 2018) in via incidentale.

Tanto consente di ritenere che il petitum sostanziale, postulando solo una disapplicazione delle delibere e non richiedendone l’annullamento, deducesse solo a fondamento della domanda condannatoria un fatto, l’illegittimità delle delibere e dei provvedimenti, che il giudice ordinario non poteva accertare e che, dunque, doveva considerare irrilevante con la conseguenza che esso doveva decidere la controversia ritenendo la propria giurisdizione perchè non sollecitato ad un annullamento delle delibere e considerando la pretesa condannatoria fondata o infondata giudicandola senza porre in discussione la validità delle delibere e dei provvedimenti amministrativi e, quindi, dando pieno valore ad essi.

Il caso che si giudica, in sostanza, non essendosi chiesto neppure in via incidentale, sebbene impropriamente, un annullamento delle delibere, ma solo l’accertamento della loro invalidità in funzione di una disapplicazione e, dunque, sollecitando il giudice ordinario ad esercitare un potere manifestamente nel presupposto della sussistenza della sua giurisdizione, risulta, secondo i principi di cui alla sentenza del 2018 (sebbene essa non l’abbia esaminato espressamente) sostanzialmente omologo a quello da essa ipotizzato con riferimento all’ipotesi in cui l’Amministrazione, di fronte ad una domanda non postulante la disapplicazione delle delibere, ma solo la condanna al pagamento di canoni, indennità o corrispettivi, invochi la loro efficacia e sia la parte attrice a postulare inammissibilmente in replicatio la loro disapplicazione.

In altri termini, quanto il concessionario svolga la domanda di pagamento di canoni, indennità o corrispettivi davanti al giudice ordinario ed esso stesso postuli con la stessa domanda non un inammissibile accertamento incidentale della invalidità delle delibere sui tetti di spesa (che integrerebbe, per come osservato da Cass., Sez. Un., n. 28053 del 2018, una vera e propria domanda, secondo il criterio del petitum sostanziale) ma solleciti, come ha fatto la ricorrente, una disapplicazione di quelle delibere, poichè, secondo il criterio del petitum sostanziale, la chiesta disapplicazione si configura solo come sollecitazione al giudice ordinario all’esercizio di un potere all’interno della giurisdizione dell’A.G.O. sui canoni, indennità e corrispettivi, la conseguenza è che la domanda, appunto apprezzata secondo il criterio del petitum sostanziale, è domanda che appartiene alla giurisdizione dell’A.G.O.

Il giudice ordinario, sollecitato ad esercitare il potere di disapplicazione, rileverà che non lo può esercitare e, quindi, deciderà la causa sulla base delle delibere e dei provvedimenti, cioè reputandoli regolatori della vicenda.

5. La declinatoria della giurisdizione è dunque erronea: il giudice ordinario non poteva declinare la propria giurisdizione in quanto era stato sollecitato a disapplicare le deliberazioni e i provvedimenti in quanto comprensivi delle prestazioni erogate dalla ricorrente, ma, al di là della circostanza che esse fossero state impugnate – siccome dà atto la sentenza impugnata – senza esito positivo e non diversamente dal se non lo fossero state e si fossero consolidate per mancata impugnazione, divenendo non più discutibili, doveva decidere la controversia sulla base della loro efficacia e senza poterla mettere in discussione.

E’ appena il caso di rilevare che la stessa ricorrente non poneva in discussione che delibere e provvedimenti dispiegassero – sebbene a suo avviso invalidamente – efficacia ai fini del rifiuto di pagarle le somme richieste.

5.1. Le svolte considerazioni sono idonee a maggior ragione a giustificare la giurisdizione sulle domande per come precisate dalla ricorrente nella memoria ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, cioè nel senso di chiedere:

a) l’accertamento del proprio diritto, quale struttura accreditata con il S.S.N. nella Regione Campania, ad ottenere il pagamento delle prestazioni rese a favore di pazienti provenienti da altre regioni per gli anni dal 2007 al 2012, nonchè la condanna dei soggetti convenuti al pagamento della somma di Euro 5.677.460,48 oltre accessori;

b) in via subordinata, che la condanna al pagamento di detta somma fosse disposta a titolo di indebito arricchimento ai sensi dell’art. 2041 c.c., a carico della Regione Campania, sull’assunto che per le prestazioni rese a favore di utenti extraregionali la medesima aveva incassato dalle regioni di loro provenienza le somme per le prestazioni rese senza rimborsarle;

c) in via ulteriormente subordinata l’accertamento della violazione delle norme relative ai c.d. tetti di spesa regionale correlati alla disponibilità che la Regione aveva per le spese sostenute dalle strutture accreditate, con eventuale declaratoria di illegittimità e disapplicazione delle delibere e dei decreti che avevano applicato il tetto in relazione ai contratti sottoscritti dalla Minerva ed ancora declaratoria in parte qua dell’invalidità di detti contratti;

d) in via ancora subordinata disporsi l’annullamento delle clausole dei contratti nella parte in cui disponevano che le prestazioni erogate ai pazienti extraregionali rientravano nei tetti di spesa della Regione Campania.

In disparte che la precisazione della domanda non poteva rendere irrilevante il suo tenore originario di immeditata richiesta della disapplicazione, in ogni caso, una ipotetica decisione sul capo a) comunque dovrebbe avvenire sempre senza possibilità di porre in discussione l’efficacia delle note delibere e provvedimenti.

5.2. Dev’essere, dunque, dichiarata la giurisdizione dell’A.G.O. e le parti vanno rimesse davanti al primo giudice, che deciderà la controversia reputando sussistente la propria giurisdizione sulla domanda principale e senza poter esercitare per difetto di presupposti il potere di disapplicazione.

La giurisdizione dell’A.G.O. sussiste sulla base del seguente principio di diritto: “La domanda con cui una concessionaria di un pubblico servizio sanitario chieda la condanna al pagamento di somme dovute quali corrispettivi dovuti per l’espletamento delle prestazioni a favore di soggetti provenienti da una regione diversa da quella in cui operi, chiedendo la disapplicazione delle delibere e dei provvedimenti che nel regime dei c.d. tetti di spesa sanitaria hanno compreso nel tetto di spesa anche l’espletamento di dette prestazioni, rientra nella giurisdizione dell’A.G.O., in quanto la disapplicazione è potere in astratto interno all’ambito di detta giurisdizione, sebbene nella specie non esercitabile da quel giudice, dovendo egli decidere la controversia considerando validi ed efficaci le dette delibere e provvedimenti se ed in quanto non impugnati o non utilmente impugnati dinanzi all’A.G.A., titolare di giurisdizione esclusiva al riguardo (nel primo caso sospendendo ex art. 295 c.p.c., il giudizio in attesa dell’esito dell’impugnazione)”.

5.3. Resta da precisare che sulla domanda subordinata ex art. 2041 c.c., ove dovesse esaminarla per rigetto della domanda principale, il giudice di rinvio, essendo essa certamente riconducibile all’ambito della giurisdizione dell’A.G.O., dovrà eventualmente esaminarla considerando il postulato arricchimento, una volta esclusa la possibilità di disapplicazione delle delibere e dei provvedimenti, troverebbe una causa giustificativa.

6. Il quarto motivo resta assorbito dalla cassazione della sentenza impugnata.

7. Il regolamento delle spese del giudizio di cassazione è rimesso al giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre motivi di ricorso e dichiara la giurisdizione del giudice ordinario. Dichiara assorbito il quarto motivo. Visto l’art. 383 c.p.c., comma 3, cassa la sentenza impugnata e rimette le parti davanti al Tribunale di Napoli anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite Civili, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2019

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