Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23532 del 27/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 27/10/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 27/10/2020), n.23532

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21303/2016 proposto da:

Ministero dell’Economia e delle Finanze (C.F.: (OMISSIS)), in persona

del Ministro p.t., rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura

Generale dello Stato (C.F.: (OMISSIS)), nei cui uffici domicilia in

Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Avv. LARA BECHERI, nata a (OMISSIS) (PO) il (OMISSIS) e ivi

fiscalmente domiciliata alla (OMISSIS) (C.F.: BCHLRA74D58G999R,

numero di partita I.V.A. 01885730976), rappresentata e difesa,

unitamente ma con poteri disgiunti, dal Prof. Avv. Alessandro

Giovannini del Foro di Livorno (C.F.: GVNLSN62R25E625K), e dall’Avv.

Valerio Cioni del Foro di Roma (C.F.: CNIVLR75A23E625P),

elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma,

alla Via degli Scipioni n. 268/a, come da procura speciale in calce

al controricorso;

– resistente –

avverso la sentenza n. 205/2016 emessa dalla CTR Toscana in data

09/02/2016 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del

05/03/2020 dal Consigliere Dott. Andrea Penta;

udite le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero Dott. Tommaso

Basile nel senso del rigetto del ricorso;

udite le conclusioni rassegnate dai difensori del ricorrente, Avv.

Gianluigi Diodato, e del resistente, Avv. Valerio Cioni.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

In data 14 settembre 2012 B.I. notificava il ricorso avverso il provvedimento di conferma di misure cautelari, ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 22.

Detto provvedimento di conferma era stato emesso sulla base di quattro avvisi di accertamento (per gli anni 2007, 2008, 2009 e 2010) in materia di Irpef, Irap, Iva e relative sanzioni.

Ai fini della determinazione del contributo unificato, ritenendosi che ad essere impugnato fosse unicamente l’atto di conferma delle misure cautelari, il valore della controversia era stato determinato sulla base delle somme per le quali era stata richiesta remissione delle misure cautelari.

Tuttavia, l’ufficio di segreteria aveva ritenuto che la contribuente avrebbe dovuto versare complessivamente l’importo dovuto sulla base della somma dei contributi per ogni singolo atto, così come specificato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 5 e ribadito dalla Dir. n. 2 del DGT datata 14 dicembre 2012.

Per tali ragioni era stato notificato un invito di pagamento di Euro 3.500,00 per il recupero del contributo unificato versato in misura insufficiente.

La contribuente contestava l’illegittimità dell’invito al pagamento, ritenendolo autonomamente impugnabile e sollevando una censura di diritto per violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 13 e 14, nonchè in riferimento al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12.

L’ufficio di segreteria eccepiva l’inammissibilità del ricorso, in quanto, a suo dire, l’invito non era autonomamente impugnabile, non essendo lo stesso ricompreso tra gli atti indicati al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19.

La commissione tributaria provinciale, con sentenza del 18 giugno 2014, riteneva l’atto autonomamente impugnabile, in quanto contenente una pretesa tributaria compiuta e definita esplicitando una richiesta di pagamento del tributo, ma rigettava il ricorso, condannando la contribuente al pagamento delle spese di lite.

B.I. proponeva appello avverso la detta sentenza.

Nell’atto d’appello evidenziava che l’unico provvedimento contestato risultava essere stato adottato sulla base di quattro avvisi di accertamento per gli anni 2007, 2008, 2009 e 2010, tutti emessi in materia di Irpef, Irap, Iva e relative sanzioni.

Deduceva che l’Ufficio era caduto in errore laddove aveva ravvisato un insufficiente versamento del contributo, in quanto aveva così confuso un reclamo avverso la concessione di misure cautelari con un ricorso avverso i quattro avvisi di accertamento che, secondo l’ufficio, ne costituivano il fondamento.

Oggetto quindi dell’impugnazione, secondo quanto rappresentato e sostenuto dalla contribuente, era il singolo ed unico atto di richiesta di concessione delle misure cautelari, ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 22 e non invece gli avvisi di accertamento, che non costituivano l’oggetto del giudizio, ma solo un antecedente logico giuridico del provvedimento impugnato.

Con sentenza del 9.2.2016 la CTR Toscana accoglieva l’appello, sulla base delle seguenti considerazioni:

1) nella fattispecie concreta in esame si era in presenza di un ricorso nei confronti di un unico provvedimento, sebbene fondato su quattro diversi avvisi di accertamento;

2) non corretta conseguentemente appariva la posizione dell’ufficio, allorchè aveva ritenuto di essere in presenza di un ricorso cumulativo avverso quattro distinti avvisi di accertamento, invece che di un solo ricorso avverso l’atto di concessione di misure cautelari, ricorso il quale prescindeva dal numero degli avvisi contestati, i quali venivano a costituire semplicemente il presupposto logico-giuridico dello stesso;

3) da ciò discendeva che l’importo di tale contributo doveva essere determinato sulla base del valore complessivo del processo tributario, e non del numero degli avvisi di accertamento costituenti il presupposto e l’antecedente logico giuridico, ma non l’oggetto dell’impugnazione.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, sulla base di due motivi.

B.L. ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’udienza pubblica il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1. Preliminarmente, non merita accoglimento l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata nell’interesse della resistente.

Invero, l’attività di impulso del procedimento notificatorio sostanzialmente la consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario – è riservata alla parte o al suo procuratore, ma le modalità di conferimento all’ufficiale giudiziario dell’incarico di procedere a notificazione non sono disciplinate e tanto meno a pena di nullità – dal codice di rito e restano irrilevanti nei confronti del destinatario, in quanto il presupposto del procedimento notificatorio si realizza con la consegna dell’atto e lo scopo della notificazione deve ritenersi raggiunto quando è certo il soggetto cui essa va riferita (Sez. U, Sentenza n. 20169 del 2018).

Pertanto, ove nella relazione di notifica si faccia riferimento, quale persona che ha materialmente eseguito la consegna dell’atto da notificare, a soggetto diverso da quello legittimato, senza indicare la sua veste di incaricato di quest’ultimo, tale carenza non inficia di per sè la notifica, che può risultare inutilmente eseguita solo se, alla stregua dell’atto notificato, non sia possibile individuare il soggetto ad istanza della quale la notifica stessa deve ritenersi effettuata (Cass. 07/05/2003, n. 6928; nello stesso senso: Cass. 03/01/2005, n. 33; Cass. 09/01/2006, n. 74).

Ancora, la menzione nella relazione di notifica dell’intervento di un soggetto diverso da quello che sarebbe legittimato, priva dell’indicazione di un incarico da parte di questi, è irrilevante ai fini della validità della notificazione se alla stregua dell’atto da notificare (e semprechè che questo abbia natura di atto di parte destinato alla notificazione, come ad esempio la citazione o il ricorso per cassazione) risulta ugualmente certa la parte ad istanza della quale essa deve ritenersi effettuata; inoltre, della notificazione di uno di tali atti effettuata senza la necessaria autorizzazione del legittimato può dolersi esclusivamente il soggetto cui ex art. 137 c.p.c. gli effetti della attività di impulso in questione vanno imputati (Cass. 05/01/2005, n. 164), esclusa qualunque nullità della notificazione (Cass. 08/03/2016, n. 4520).

In definitiva, l’istanza di notificare l’atto introduttivo del giudizio (nella specie, giudizio di cassazione) rivolta all’ufficiale giudiziario non dalla parte (o dal suo procuratore nominato per quella fase del giudizio), ma da altro soggetto a tanto non legittimato, deve essere si dichiarata inesistente per difetto di legittimazione del suo autore, salvo, però, che tale declaratoria non sia impedita dalla riferibilità ex post di tale atto al soggetto legittimato, ove questi, con il compimento di un successivo atto (come la costituzione della parte per quella fase del giudizio) che indefettibilmente lo presuppone, ne accetti esplicitamente o implicitamente gli effetti già verificatisi (Sez. 2, Sentenza n. 10311 del 03/10/1991).

Orbene, anche a voler prescindere dal fatto che dall’atto in calce al quale è stata stesa la relata di notifica si evince nitidamente che il ricorso era imputabile al Ministero dell’Economia e delle Finanze (sicchè la contribuente non potrebbe dolersi della lesione di un suo diritto di difesa) e che il soggetto che ha dato impulso all’attività notificatoria è l’Avvocatura generale dello Stato (la quale rappresenta e difende ope legis il Ministero), la parte del processo ha evidentemente fatto propri gli effetti della predetta attività depositando in segreteria la documentazione attestante l’esito della notifica.

2. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 226 e 248, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, lett. i e dell’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per aver la CTR ritenuto ammissibile il ricorso proposto dalla contribuente avverso l’atto di invito al pagamento spontaneo del contributo unificato.

2.1. Il motivo è infondato.

L’elencazione degli “atti impugnabili”, contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, pur dovendosi considerare tassativa, va interpretata in senso estensivo, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A., che in conseguenza dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. n. 448 del 2001. Ciò comporta la facoltà di ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, porti, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è naturaliter preordinato, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’art. 19 cit. (Sez. 5, Sentenza n. 4513 del 25/02/2009; conf. Sez. 5, Sentenza n. 7344 del 11/05/2012, Sez. 6 5, Ordinanza n. 25297 del 28/11/2014 e Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3315 del 19/02/2016).

L’elencazione degli atti impugnabili contenuta nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, ha, invero, natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, ove con gli stessi l’Amministrazione porti a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche, siccome è possibile un’interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.) ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. n. 448 del 2001 (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23469 del 06/10/2017).

Ovviamente, l’impugnazione da parte del contribuente di un atto non espressamente indicato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, ma ciò nondimeno avente natura di atto impositivo, rappresenta una facoltà e non un onere, il cui mancato esercizio non preclude la possibilità d’impugnazione con l’atto successivo (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26129 del 02/11/2017).

In quest’ottica, sono qualificabili come avvisi di accertamento o di liquidazione, impugnabili ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, tutti quegli atti con cui l’Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita, ancorchè tale comunicazione non si concluda con una formale intimazione di pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto, non assumendo alcun rilievo la mancanza della formale dizione “avviso di liquidazione” o “avviso di pagamento” o la mancata indicazione del termine o della forma da osservare per l’impugnazione o della commissione tributaria competente (le quali possono dar luogo soltanto ad un vizio dell’atto o renderlo inidoneo a far decorrere il predetto termine, o anche giustificare la rimessione in termini del contribuente per errore scusabile; Sez. U, Sentenza n. 16293 del 24/07/2007; conf. Sez. 5, Sentenza n. 12194 del 15/05/2008 e Sez. 5, Sentenza n. 14373 del 15/06/2010). Sorge, infatti, in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l’interesse, ex art. 100 c.p.c., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva e/o dei connessi accessori vantati dall’ente pubblico (Sez. 5, Sentenza n. 21045 del 08/10/2007).

E’, d’altra parte, questa la ragione per la quale si ritiene che il ricorso avverso una cartella esattoriale con cui l’Amministrazione chieda il pagamento del contributo unificato per atti giudiziari vada presentato al giudice tributario, avendo tale contributo natura di entrata tributaria (Sez. U, Sentenza n. 9840 del 05/05/2011). Invero, la mancata impugnazione dell’invito, se accompagnato dall’omesso pagamento di quanto intimato, comporterebbe l’automatica irrogazione, oltre che degli interessi, della sanzione aggiuntiva del 30%. Da ciò deriva sia la natura compiuta e definita della pretesa tributaria sia il concreto interesse, in capo al contribuente, ad impugnare il relativo atto.

3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 13 e 14 e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non aver la CTR considerato che, essendo stato il ricorso originario proposto avverso più atti impositivi, il calcolo del contributo unificato doveva essere effettuato con riferimento ai valori dei singoli atti, anzichè sulla somma dei detti valori.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Invero, il ricorrente non attinge la ratio decidendi sottesa alla pronuncia impugnata, la quale si sostanzia nell’aver ritenuto che l’atto sulla cui base andava calcolato il contributo unificato doveva essere identificato in quello di concessione delle misure cautelari ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 22, anzichè nei quattro avvisi di accertamento sulla cui base il primo atto era stato messo.

Il Ministero, invece, invocando il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 5, ha sostenuto, dapprima (pag. 10 del ricorso), che per valore della lite dovesse intendersi l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate e, poi (pagg. 10 ss.), richiamando la Dir. n. 2/DGT dell’Agenzia e la L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 598, lett. a), che il calcolo del contributo unificato debba essere effettuato, in caso di ricorso cumulativo avverso più atti, con riferimento al valore uti singuli degli stessi (nell’ambito del rispettivo scaglione di riferimento), anzichè sulla loro somma.

Nella fattispecie in esame, tuttavia, il ricorrente non ha contestato specificamente l’affermazione della CTR secondo cui oggetto del giudizio impugnatorio, con riferimento al quale occorreva calcolare il contributo unificato, era l’atto di concessione delle misure cautelari ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 22 e non i quattro avvisi di accertamento sulla cui base (inteso come antecedente causale) il primo atto era stato messo.

4. In definitiva, il ricorso non merita accoglimento.

P.Q.M.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2020

 

 

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