Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23531 del 27/08/2021

Cassazione civile sez. VI, 27/08/2021, (ud. 08/04/2021, dep. 27/08/2021), n.23531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Pietrogiovanni – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26876-2019 proposto da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI 22,

presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LEONARDO ALESII;

– ricorrente –

contro

C.I., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE JONIO 50,

presso lo studio dell’avvocato WALTER FELICIANI, rappresentato e

difeso dall’avvocato RICCARDO LEONARDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 310/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Roma ha parzialmente accolto l’appello di C.I. e, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, ha condannato il predetto a restituire a Rete Ferroviaria Italia spa la somma di Euro 48.162,01, detratte le ritenute fiscali, oltre accessori come per legge.

2. La Corte territoriale, uniformandosi ai precedenti di legittimità richiamati (Cass. n. 19735 del 2018; Cass. n. 2135 del 2018), ha ritenuto che, in caso di riforma della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il datore ha diritto di ripetere solo le somme effettivamente percepite dal lavoratore e non può pretendere la restituzione di importi al lordo, mai entrati nella sfera patrimoniale del dipendente.

3. Avverso tale sentenza Rete Ferroviaria Italiana spa ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati da memoria; in subordine, ha chiesto che fosse sollevata questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, e che il ricorso fosse trasmesso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 374 c.p.c., sul rilievo del contrasto esistente tra le pronunce delle Sezioni semplici sulla questione di diritto oggetto di causa; C.I. ha resistito con controricorso.

4. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

5. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione dell’art. 2033 c.c., e dell’art. 336 c.p.c..

6. Si sostiene che la fattispecie della restituzione di somme pagate in esecuzione di una sentenza successivamente riformata o cassata sia disciplinata dall’art. 336 c.p.c., e non possa essere ricondotta all’istituto della condictio indebiti di cui all’art. 2033 c.c., come affermato con orientamento consolidato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass., n. 16559 del 2005; Cass. n. 21992 del 2007; Cass. n. 8829 del 2007; Cass. n. 25589 del 2010); con la conseguenza che deve riconoscersi all’interessato il diritto di essere reintegrato dall’accipiens dell’intera diminuzione patrimoniale subita, con computo degli interessi dal giorno del pagamento, e non della domanda (così Cass. 25589 del 2010 cit: n. 9171 del 2018); e quindi anche della somma erogata al lordo, a prescindere dalla circostanza che una quota del relativo importo sia stata materialmente versata all’Erario, in adempimento di un obbligo di legge (così Cass. n. 23989 del 2014).

7. Si rileva come siano non pertinenti i richiami fatti nella sentenza della S.C. n. 19735 del 2018, posta a base della decisione impugnata, ai precedenti Cass. n. 1464 del 2012 e Cons. St. n. 1164 del 2009, in quanto relativi al differente caso del datore di lavoro che, per suo errore, corrisponda al dipendente una retribuzione maggiore del dovuto, operando quindi una trattenuta fiscale in eccesso.

8. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10, comma 1, lett. d-bis, per avere la sentenza d’appello falsamente ritenuto applicabile alla fattispecie oggetto di causa l’art. 38 cit., anziché l’art. 10 cit..

9. Ciò sul rilievo che l’art. 38 cit., disciplini l’ipotesi in cui un soggetto abbia eseguito per errore un versamento diretto all’Amministrazione finanziaria, riconoscendo al predetto di presentare istanza di rimborso, entro un termine di decadenza (48 mesi dal pagamento); laddove nel caso di specie non vi è alcun errore imputabile alla parte datoriale che aveva l’obbligo di versamento quale sostituto d’imposta.

10. Si evidenzia che il D.P.R. n. 917 del 1986, citato art. 10, comma 1, lett. d-bis, ha stabilito per il contribuente lavoratore la possibilità di dedurre fiscalmente dal proprio reddito le somme restituite al soggetto erogatore e che, in alternativa, il contribuente può chiedere il rimborso dell’imposta corrispondente all’importo non dedotto, secondo modalità definite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

11. Si sottolinea che, secondo un orientamento della Sezione tributaria di questa Corte (Cass. n. 23886 del 2007), il debitore principale verso il fisco è il percettore del reddito imponibile e non il sostituto che esegua la ritenuta ed il successivo versamento, onde è al medesimo debitore principale che compete il diritto di ripetere quanto eventualmente pagato in eccesso.

12. I motivi di ricorso, da trattare congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono infondati.

13. Numerosi precedenti di questa Corte (Cass. n. 19735 del 2018; Cass. n. 2135 del 2018; Cass. n. 12933 del 2018; Cass. n. 31503 del 2018; Cass. n. 440 del 2019; Cass. n. 13530 del 2019; Cass. n. 5890 del 2020; Cass. n. 10533 del 2020; Sez. VI Cass. n. 8614 del 2019; Cass. n. 17271 del 2020; Cass. n. 18996 del 2020; Cass. n. 21622 del 2020), con argomentazioni che questo Collegio condivide pienamente, hanno affermato che, in caso di riforma, totale o parziale, della sentenza di condanna del datore di lavoro al pagamento di somme in favore del lavoratore, il datore ha diritto di ripetere quanto il lavoratore abbia effettivamente percepito e non può pertanto pretendere la restituzione di importi al lordo di ritenute fiscali mai entrate nella sfera patrimoniale del dipendente, atteso che il caso del venir meno con effetto ex tunc dell’obbligo fiscale a seguito della riforma della sentenza da cui è sorto ricade nel raggio di applicazione del D.P.R, n. 602 del 1973, art. 38, comma 1, secondo cui il diritto al rimborso fiscale nei confronti dell’amministrazione finanziaria spetta in via principale a colui che ha eseguito il versamento non solo nelle ipotesi di errore materiale e duplicazione, ma anche in quelle di inesistenza totale o parziale dell’obbligo.

14. E’ vero, infatti, che il versamento eseguito dal datore di lavoro quale sostituto d’imposta, in base ad una sentenza provvisoriamente esecutiva, non è frutto di errore ma è anzi atto dovuto. Tale versamento, tuttavia, diviene erroneo in conseguenza e a causa della riforma o della cassazione di quella sentenza, venendo meno ex tunc e definitivamente il titolo in base al quale il pagamento era stato effettuato. Ne consegue che quel versamento risulta ex tunc privo di titolo, quindi eseguito a fronte di un obbligo inesistente (rectius, non più esistente), secondo quanto previsto dall’art. 38 cit..

15. L’interpretazione data da questa S.C., oltre che compatibile col disposto dell’art. 38 cit., è quella più aderente alle peculiarità del rapporto di lavoro subordinato, dovendosi ribadire che, a prescindere dai rimedi esperibili dal lavoratore contribuente nei confronti dell’amministrazione finanziaria, il solvens (datore) non può ripetere dai lavoratore accipiens più di quanto quest’ultimo abbia effettivamente percepito e, in particolare, non può esigere dal lavoratore quanto versato nella veste di sostituto di imposta all’erario, sia pure in esecuzione di sentenza provvisoriamente esecutiva come tale suscettibile di riforma o cassazione nell’ambito degli ordinari mezzi di impugnazione.

16. La lettura condivisa da questo Collegio non si pone in contrasto con l’art. 336 c.p.c. (secondo cui “la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata”) in quanto non è in discussione il diritto del datore di lavoro alla restitutio in integrum, ma unicamente la procedura da seguire al fine di porre la parte adempiente nella medesima situazione in cui si trovava in precedenza, e ciò in ragione della divaricazione del versamento eseguito in favore del lavoratore e in favore del fisco.

17. Argomenti contrari alla tesi qui esposta non possono ricavarsi neanche dalla modifica del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10, ad opera del D.L. n. 34 del 2020, art. 150, comma 1, conv. in L. n. 77 del 2020, invocato dalla società ricorrente nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.. Il citato art. 150, ha aggiunto al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 10, il comma 2-bis, stabilendo: “le somme di cui al comma 1, lett. d-bis, se assoggettate a ritenuta, sono restituite al netto della ritenuta subita e non costituiscono oneri deducibili”.

18. A prescindere dalla inapplicabillità di tale modifica alla fattispecie oggetto di causa (in quanto, in base al citato art. 150, comma 3, “le disposizioni di cui al comma 1, si applicano alle somme restituite dal 1 gennaio 2020”), la previsione dell’obbligo di restituzione al netto delle somme ricevute dal lavoratore positivizza l’indirizzo giurisprudenziale assolutamente prevalente e non consente di inferire la correttezza della diversa interpretazione patrocinata dall’attuale parte ricorrente.

19. Deve poi sottolinearsi come le pronunce invocate dalla ricorrente (Cass. n. 9171 del 2018; Cass. n. 25589 del 2010; Cass. n. 14178 del 2009; Cass. n. 8829 del 2007; Cass. n. 21992 del 2007; Cass. n. 16559 del 2005) a sostegno di un contrasto tra le decisioni delle diverse Sezioni di questa Corte, non affrontano la specifica questione di diritto oggetto di causa, bensì unicamente il tema della decorrenza degli interessi legali (dal giorno del pagamento e non da quello della domanda) in caso di azione di ripetizione di somme pagate in esecuzione della sentenza provvisoriamente esecutiva, successivamente riformata o cassata.

20. La questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, prospettata in relazione al dies a quo del termine decadenziale di 48 mesi, ove ritenuto decorrente dalla data del versamento anziché dalla data della riforma della sentenza che con effetto ex tunc sancisce l’inesistenza dell’obbligo di versamento (in tal senso v. Cass. n. 15427 del 2015, in motiv.), non appare rilevante ai fini della decisione di questa causa, potendo se mai assumere rilievo ove alla richiesta di rimborso avanzata dal datore di lavoro all’erario sia opposta la citata decadenza.

21. Per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto.

22. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

23. Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge, da distrarsi in favore dell’avv. Riccardo Leonardi, antistatario.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 8 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 27 agosto 2021

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