Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23531 del 20/09/2019

Cassazione civile sez. VI, 20/09/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 20/09/2019), n.23531

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17891-2018 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato ALBERTO CUTAIA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI AGRIGENTO, in persona del Sindaco e legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato RITA SALVAGO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4720/9/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA, depositata il 30/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 15/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROSARIA

MARIA CASTORINA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte:

costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 – bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016;

Con sentenza n. 4720/9/2017 depositata il 30.11.2017 la CTR della Sicilia rigettava l’appello proposto da C.A. su controversia avente ad oggetto avviso di accertamento ICI sul presupposto che i terreni per i quali era pretesa l’Ici fossero edificabili a prescindere dall’adozione degli strumenti urbanistici attuativi.

Avverso la sentenza della CTR la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Il Comune di Agrigento resiste con controricorso.

Va preliminarmente evidenziato che parte contribuente ha depositato tardivamente, in data 14.5.2019, una memoria in violazione dei termini di cui all’art. 378 c.p.c..

1. Con il primo motivo il contribuente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere la CTR motivato sul primo motivo di impugnazione relativo alla inutilizzabilità dei terreni a scopo edificatorio a seguito della apposizione di un vincolo preordinato all’espropriazione.

2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza per omessa motivazione in relazione allo stesso primo motivo di impugnazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, per non avere la CTR valutato la censurata erroneità della valutazione del terreno. La censure, suscettibili di trattazione unitaria, non sono fondate.

Esse, all’evidenza, costituiscono frutto della confusione tra “jus edificandi” e “jus valutandi” e rivelano, quindi, la loro erroneità per aver fatto discendere indissolubilmente il secondo dal primo.

A seguito dell’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, art. 11 – quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248 e del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, art. 36, comma 2, convertito con modificazioni dalla L. 4 agosto 2006, n. 248, che hanno fornito l’interpretazione autentica del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 2, comma 1, lett. b), l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi. La natura edificabile non viene meno, trattandosi di evenienze incidenti sulla sola determinazione del valore venale dell’area, nè per le ridotte dimensioni e/o la particolare conformazione del lotto, che non incidono su tale qualità (salvo che siano espressamente considerate da detti strumenti attributive della stessa), essendo sempre possibile l’accorpamento con fondi vicini della medesima zona, ovvero l’asservimento urbanistico a fondo contiguo avente identica destinazione, nè a seguito di decadenza del vincolo preordinato alla realizzazione dell’opera pubblica, da cui deriva non una situazione di totale inedificabilità, ma l’applicazione della disciplina delle c.d. ” zone bianche” (nella specie quella di cui alla L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 4, u.c., applicabile “ratione temporis”), che, ferma restando l’utilizzabilità economica del fondo, in primo luogo a fini agricoli, configura pur sempre, anche se a titolo provvisorio, un limitato indice di edificabilità (Cass. 25676/2008; 11433/2010; n. 24478/2010; 16485/2016; n. 31051/2017; Cass. 12792/2018; Cass. 2107//2017).

L’esistenza di vincoli che condizionino “di fatto” l’edificabilità non esclude, dunque, il presupposto dell’imposta, ma produce effetti solo sulla base imponibile dell’imposta. In sintesi, un’area fabbricabile in base al piano regolatore comunale è soggetta all’I.C.I., a prescindere dall’esistenza di vincoli fattuali edificatori, incidendo quest’ultimi solamente sul valore venale dell’area e, quindi, sulla base imponibile dell’imposta, con la conseguenza che deve escludersi che un’area edificabile soggetta ad un vincolo urbanistico che la destini all’espropriazione (come nella specie) sia per ciò esente dall’imposta. Tale conclusione riceve conferma dalla disciplina dettata dal cit. D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, comma 2, – abrogato a decorrere dal 30 giugno 2003, ai sensi del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 58, comma 1, n. 134 e art. 59, modificati dal D.Lgs. 27 dicembre 2002, n. 302 e dal menzionato D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma 8, i quali mirano a ristorare il proprietario del pregiudizio a lui derivante nel caso in cui l’imposta versata nei cinque anni precedenti all’espropriazione, conteggiata sul valore venale del bene, sia superiore a quella che sarebbe risultata se fosse stata calcolata sulla indennità di espropriazione effettivamente corrisposta (nè tale disciplina, nella parte in cui non si applica al periodo di tempo antecedente agli ultimi cinque anni rispetto alla data dell’espropriazione, pone dubbi di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 2,3 e 53 Cost.) (Cass. n. 19750 del 2004; nello stesso senso v. Cass. n. 4753 del 2010; Cass. 12272/2017).

La CTR ha tenuto conto delle deduzioni del ricorrente sulla valutazione dell’area, tanto che ha ritenuto congruo il valore di Euro18,00 mq rideterminato dalla CTP e corrispondente a circa la metà di quanto preteso dal Comune di Agrigento.

Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2012, n. 115, art. 13, comma 1 – quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di Agrigento che liquida in Euro 1.400,00 oltre rimborso forfettario spese generali e accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’Amministrazione ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2019

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