Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23530 del 09/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 09/10/2017, (ud. 03/04/2017, dep.09/10/2017),  n. 23530

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11315-2012 proposto da:

M.L., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.

AVEZZANA, 1, presso lo studio dell’avvocato ORNELLA MANFREDINI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI DI SIBIO;

– ricorrente –

contro

I.G. in proprio e quale erede di I.R.,

D.L.E. quale erede di I.R.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1051/2011 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 28/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/04/2017 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO LUCIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I.G. e I.R. convenivano in giudizio innanzi al Tribunale della Spezia M.L., per lo scioglimento di una comunione limitatamente a talune porzioni immobiliari di un fabbricato sito in (OMISSIS), nel quale ciascuno era proprietario esclusivo di singole unità immobiliari donate da un comune dante causa, I.V., con atto pubblico del 29.4.1982. In particolare, chiedevano che la divisione fosse effettuata conformemente agli accordi tra loro raggiunti in forza di una scrittura privata del 25.9.1989, che tra l’altro trasferiva a I.R. a titolo gratuito la proprietà di un’area cortilizia della M., sul presupposto di un errore commesso in un precedente tipo di frazionamento.

La convenuta non si opponeva alla domanda di scioglimento della comunione, ma resisteva al trasferimento di detta area, sostenendo che la scrittura del 25.9.1989 integrasse una donazione nulla per difetto di forma.

Con sentenza non definitiva n. 576/06 il Tribunale disponeva lo scioglimento della comunione delle porzioni interne del fabbricato, con attribuzione di singoli lotti, nonchè del cortile posto sul prospetto principale di esso, e dichiarava che l’area oggetto della scrittura privata del 25.9.1989 era stata validamente ceduta dalla M. a I.R.. Quindi, rimetteva la causa sul ruolo per predisporre il relativo frazionamento che dichiarava con sentenza definitiva n. 1003/08.

Contro la sentenza non definitiva n. 576/06 M.L. proponeva appello immediato innanzi alla Corte distrettuale di Genova, che con sentenza n. 1051/11 rigettava il gravame. Riteneva preliminarmente la Corte ligure di non dover riunire il giudizio ad un altro, pure pendente innanzi alla stessa Corte, tra le stesse parti ed avente ad oggetto un’azione di accertamento dei confini, una negatoria servitutis e la domanda di nullità della scrittura del 25.9.1989. Nel merito, limitatamente a quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, qualificava come transazione, e non come donazione, tale contratto, e ne riteneva determinabile l’oggetto controverso in base alla planimetria ad esso allegata.

Contro tale sentenza M.L. propone ricorso, affidato a cinque motivi.

I.G. ed D.L.E., il primo anche in proprio, entrambi quali eredi di I.R., non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo si esaurisce in un’istanza di riunione del ricorso ad altri due, proposti contro le sentenze della Corte d’appello di Genova nn. 1050/11 e 1052/11, in quanto pronunciate tra le stesse parti ed aventi ad oggetto questioni giuridiche identiche.

Riunione che il Collegio non stima necessaria ex art. 335 c.p.c., diverse essendo le sentenze impugnate, nè altrimenti opportuna per l’economia dei giudizi.

2. – Il secondo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1346 c.c. e il vizio d’insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Sostiene parte ricorrente che la scrittura del 25.9.1989 non reca l’indicazione del luogo (città e via) dell’area ceduta, nè la identifica catastalmente e mediante i confini o il riferimento alle vie pubbliche, per cui tale contratto, non potendosi fare riferimento ad elementi estrinseci ad esso, dovrebbe ritenersi nullo. Soggiunge parte ricorrente che “(è) quasi scontato che i sottoscrittori di un contratto abbiano un certo grado di contezza circa l’oggetto della loro manifestazione di volontà negoziale, ma l’art. 1346 c.c. (…) va al di là di ciò che le parti intendessero negoziare, rivolgendosi esso ad un interprete estraneo al contratto stesso; interprete che deve, comunque, essere in grado di identificare tale oggetto utilizzando esclusivamente i dati inseriti nel documento o da questo espressamente richiamati” (così, testualmente, nel ricorso).

2.1. – Il motivo è manifestamente infondato.

In disparte che la violazione di legge può derivare solo dall’interpretazione datane dal giudice, e non dal risultato dell’analisi fattuale condotta per riscontrarne nello specifico gli elementi normativi, va osservato che contrariamente a quanto mostra di opinare parte ricorrente l’attività interpretativa del giudice opera sempre entro l’ambito della cornice di riferimento comune alle parti. La quale ultima, a sua volta, essendo deputata a separare il thema decidendum dal thema probandum, è data una volta e per tutte, e non già a corrente alternata secondo le mutevoli esigenze delle difesa dialettica.

Nello specifico, la Corte di merito ha accertato che le parti si sono riferite alla divisione di un compendio immobiliare ubicato in (OMISSIS), negoziata mediante la scrittura del 25.9.1989, divisione cui la stessa M. ha aderito (v. la narrativa a pag. 3 della sentenza impugnata e a pag. 3 del ricorso per cassazione).

E poichè l’odierna parte ricorrente non solo non deduce l’esistenza di altri beni comuni, ma finisce altresì per ammettere che l’area in questione sia esattamente quella posta sul retro dell’edificio di (OMISSIS), tanto da aver chiesto espressamente il rigetto del “capo di domanda ex adverso proposto riguardo alla porzione di terreno posta sul retro del fabbricato (contrassegnata con la lettera C nella planimetria allegata alla scrittura privata 25.9.89) in quanto infondata” (v. pag. 3 del ricorso), va da sè che ogni doglianza sul punto è frutto di mere torsioni verbali, prive di spessore giuridico.

3. – Il terzo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 782 c.c. e della L. n. 89 del 1913, art. 48, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Si deduce che la Corte d’appello, nell’interpretare la scrittura in oggetto ne avrebbe operato una lettura acritica, valorizzando l’espressione per cui l’attribuzione dell’area a I.R. derivava dalla “rivendica per accordi precedenti tra le parti non correttamente interpretati dal tecnico redattore del tipo di frazionamento in sede di divisione avvenuta in precedenza”. Tale espressione, contenuta nel contratto, rappresenterebbe una finzione, poichè non vi sarebbe stata tra le parti alcuna divisione o frazionamento, e comunque il contratto, ove inteso come transazione, sarebbe nullo per difetto di causa o di forma, mancando un correlativo sacrificio imposto a I.R..

3.1. – Il motivo è infondato, perchè: a) propone una lettura alternativa della scrittura del 25.9.1989 e attraverso di essa una mera critica all’interpretazione operatane dalla Corte di merito, senza assumere e dimostrare la lesione di alcun canone d’ermeneutica contrattuale, la sola che potrebbe nel contesto legittimare una doglianza di violazione di legge; b) non considera che sono pienamente legittime sia le divisioni transattive che le transazioni divisorie, in quanto attraverso tali contratti vengono ad un tempo realizzati gli obiettivi dello scioglimento della comunione e quelli della cessazione o prevenzione della litigiosità tra gli eredi (Cass. n. 8946/09); prevenzione che nella specie la Corte distrettuale ha ravvisato – con un apprezzamento di fatto non sindacabile in questa sede – nella funzione di accertamento d’un pregresso errore compiuto dal tecnico che aveva redatto la rappresentazione grafica dei luoghi.

4. – Il quarto motivo lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 782,1350,1363,1432 e 1433 c.c. e L. n. 89 del 1913, art. 48, nonchè il vizio motivazionale, in relazione, rispettivamente, all’art. 360, nn. 3 e 5. Parte ricorrente deduce che è inesistente l’accertamento dell’errore tecnico di rappresentazione grafica che la Corte territoriale ha supposto a base della parte contestata della scrittura del 25.9.1989. Infatti, la rappresentazione grafica catastale dei luoghi risale ad epoca anteriore all’atto notaio R. del 29.4.1982, con il quale I.V. donò a M.L. ed a I.R. vari beni tra cui l’area di cui i due oggi discutono; donazione, questa, che espressamente richiama il tipo di frazionamento n. (OMISSIS) approvato dall’U.T.E. il 1.4.1982, firmato dai comparenti e allegato all’atto stesso. La relativa modifica, pertanto, avrebbe richiesto una rettifica dell’atto di donazione originario, con le medesime forme previste dalla legge (atto pubblico e presenza di due testimoni).

4.1. – Il motivo è infondato per la sua intrinseca e manifesta illogicità.

Come esattamente osservato dai giudici d’appello, la volontà del comune dante causa espressa nella donazione del 29.4.1982 non è modificata dalla successiva scrittura del 25.9.1989. Ormai proprietari dei beni loro trasferiti, i donatari ben potevano disporne in qualunque modo, vuoi attraverso una divisione transattiva, vuoi mediante una transazione divisoria, senza con ciò dover previamente modificare o rettificare il contenuto del loro titolo di provenienza.

5. – Il quinto motivo lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 335 c.p.c., dell’art. 12 preleggi e dell’art. 91 c.p.c., nonchè il vizio di motivazione, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. La Corte d’appello, non riunendo le due impugnazioni, quella contro la sentenza non definitiva n. 576/06 e quella contro la sentenza definitiva n. 1003/08, pur essendo la “riunione obbligatoria, ex art. 335 c.p.c., (trattandosi) di cause inscindibili” (sic. a pag. 21 del ricorso) ed essendo state chiamate le due cause alla medesima udienza una di seguito all’altra, avrebbe finito per provocare un’illegittima duplicazione della condanna dell’odierna ricorrente alle spese di una medesima lite.

5.1. – Il motivo è inammissibile, perchè attribuisce alla sentenza impugnata ben altro rispetto a quanto in essa è esplicitato.

Contrariamente a quanto oggi il motivo di ricorso intende accreditare, in allora davanti alla Corte ligure l’odierna ricorrente chiese che alla causa d’appello contro la sentenza non definitiva n. 576/06 fosse riunita non già l’impugnazione contro la sentenza definitiva n. 1003/08 emessa all’esito del medesimo giudizio di primo grado, ma l’appello contro un’altra sentenza, la n. 544/06, anch’essa definitiva sì, ma – si dà il caso – pronunciata a conclusione di un altro giudizio tra le medesime parti (come del resto chiarisce la stessa parte ricorrente nella narrativa del suo ricorso: v. pagg. 4 e ss.). Quest’ultimo giudizio era stato promosso dalla M. (e non dagli I.), ed aveva ad oggetto un regolamento di confini, una negatoria servitutis e l’accertamento della nullità del contratto di cui alla ridetta scrittura privata del 25.9.1989.

Che tale fosse la richiesta della M. è dimostrato delle conclusioni così come riportate nell’epigrafe della sentenza d’appello n. 1051/11, oggetto del presente ricorso: “… disporre la riunione ex art. 273 c.p.c. tra il presente procedimento e quello relativo all’appellata sentenza n. 544/06, emessa anch’essa dal Tribunale della Spezia, aventi in comune l’accertamento della validità o meno della scrittura privata 25.9.89 nella parte in cui trasferisce, a titolo gratuito, la proprietà dell’area individuata dalla lettera C) dell’allegata planimetria”.

Coerentemente all’oggetto della richiesta, la Corte territoriale ritenne di non riunire dette impugnazioni, diverso essendo il petitum e la causa petendi delle due cause. Decisione, quest’ultima, non censurabile sia perchè ai sensi dell’art. 335 c.p.c. è obbligatoria sola la riunione delle impugnazioni contro una medesima sentenza, sia perchè il provvedimento positivo o negativo sulla riunione di due o più cause pendenti davanti allo stesso giudice, in quanto di natura ordinatoria e non produttivo di effetti sulla decisione, non è censurabile in cassazione (Cass. n. 6453/83). Non senza chiosare che, ad ogni modo, qualsiasi delle riunioni ipotizzabili in appello non avrebbe esentato la parte soccombente dalle spese per ciascuna causa, indipendentemente dal grado di connessione.

6. – In conclusione il ricorso va respinto.

7. – Nulla per le spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2017

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