Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23528 del 27/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 27/10/2020, (ud. 05/03/2020, dep. 27/10/2020), n.23528

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9539-2019 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, TRIBUNALE AMMINISTRATIVO

REGIONALE ABRUZZO SEZ. (OMISSIS), MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE

FINANZE, elettivamente domiciliati in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e

difende;

– ricorrenti –

contro

NUOVA COEDMAR SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 854/2018 della COMM. TRIB. REG. di L’AQUILA,

depositata il 19/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/03/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MARIA FASANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TOMMASO BASILE che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito per i ricorrenti l’Avvocato DIODATO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Nuova Co.ED.MAR S.r.l. impugnava innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Pescara l’invito al pagamento n. 22/2016 del 9.5.2016, per omesso versamento del contributo unificato di Euro 6000,00, dovuto per il deposito di motivi aggiunti nell’ambito del ricorso n. 96/2016 proposto davanti al T.A.R. dell’Abruzzo. La contribuente deduceva, inter alla, l’insussistenza dei presupposti per il pagamento del contributo, atteso che i motivi aggiunti non costituivano una domanda nuova, nè derminavano un ampliamento del tema decisionale, atteso che con essi la società si era limitata a riprodurre le identiche censure e le medesime conclusioni avanzate nel ricorso originario. La Commissione Tributaria Provinciale, con sentenza n. 503/1/17, accoglieva ricorso. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il TAR dell’Abruzzo – Sezione di Pescara proponevano appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo che, con sentenza n. 854/2/18, respingeva il gravame. La Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il TAR dell’Abruzzo – Sezione di Pescara ricorrono per la cassazione della sentenza, svolgendo un unico motivo. Nuova CO.ED.MAR S.r.l. non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata, denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 6 bis e 6 bis 1 e dell’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, atteso che, se i giudici di appello avessero fatto corretta applicazione delle norme indicate, alla luce dell’interpretazione fornita dalla Corte di Giustizia, avrebbero dovuto ritenere che, dal momento che la società Nuova CO.ED.MAR S.r.l. aveva impugnato con motivi aggiunti un atto diverso da quelli oggetto di contestazione con il ricorso principale, aveva introdotto in giudizio una domanda nuova, essendo così obbligata al versamento del contributo unificato. Secondo i ricorrenti la domanda andrebbe considerata nuova tutte le volte in cui si impugna un nuovo provvedimento, e ciò a prescindere della identità o meno delle censure avanzate nei rispettivi atti demolitori. Nella fattispecie, con l’atto per motivi aggiunti la controparte non avrebbe addotto nuove ragioni rispetto a quelle sottese al primo ricorso, ma contestato un nuovo provvedimento, differente da quelli precedentemente impugnati. Ne consegue che, avendo formulato una domanda nuova, diversa per oggetto da quello proposta ab origine, la società sarebbe obbligata al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

2. Il ricorso è fondato per i principi di seguito enunciati.

2.1. Il D.P.R. n. 115 del 2002 Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, art. 13, comma 6 bis, nel prevedere gli importi del contributo unificato per i ricorsi proposti davanti ai Tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, espressamente richiama “i ricorsi di cui all’art. 119 c.p.a., comma 1, lett. a)”, specificando che “ai fini del presente comma, per ricorsi si intendono quello principale, quello incidentale e i motivi aggiunti che introducono domande nuove”. Il presupposto d’imposta è costituito, ai sensi del T.U. n. 115 del 2002, art. 14, dal deposito dell’atto introduttivo del giudizio con il quale si instaura il processo amministrativo di primo ovvero di secondo grado. Per “ricorso” si intende anche il ricorso incidentale (o di appello incidentale) ed i motivi aggiunti che introducono domande nuove. In queste due ipotesi l’onere tributario sorge al momento del deposito dell’atto – motivi aggiunti o ricorso incidentale cui accede.

2.2. Il D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 43, prevede due tipologie di motivi aggiunti, che consentono al ricorrente principale e a quello incidentale di introdurre sia nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte, sia domande nuove purchè connesse con quelle già proposte.

Vengono definiti “motivi aggiunti propri” (cioè quelli che prospettano censure nuove avverso gli stessi atti) quelle censure aggiunte o motivi di ricorso aggiunti nei confronti di un provvedimento già impugnato in conseguenza della conoscenza di atti ulteriori rispetto a quelli noti allo stesso ricorrente al momento della proposizione del ricorso. In sostanza, i motivi aggiunti propri consentono al ricorrente di porre a fondamento della propria domanda ulteriori ragioni, in fatto e in diritto, in aggiunta a quelle già dedotte nel corso del giudizio.

Seguendo l’insegnamento della dottrina processual-civilistica, la causa petendi, espressione latina “ragione del domandare”, può essere considerata il titolo giuridico su cui si fonda la pretesa sostanziale: essa rappresenta la ragione obiettiva su cui la domanda si fonda, ossia il diritto sostanziale affermato in forza del quale viene chiesto il petitum. Con la causa petendi si indicano l’insieme dei fatti che, alla luce della norma di legge invocata, hanno l’effetto di costituire il diritto soggettivo fatto valere in giudizio con la domanda proposta. I fatti che confluiscono nella causa petendi vengono, pertanto, detti costitutivi, per distinguerli da quelli posti a fondamento delle eccezioni di merito sollevate dal convenuto, che sono chiamati estintivi, impeditivi o modificativi, in quanto negano il diritto affermato dalla controparte. La causa petendi assieme al petitum rappresentano uno degli elementi oggettivi che contribuiscono all’identificazione dell’azione esercitata.

Con i “motivi aggiunti propri”, pertanto, ricorrendone i presupposti per la proposizione, si possono prospettare vizi diversi ed ulteriori rispetto a quelli già dedotti con il ricorso introduttivo, ampliando in tal modo il thema decidendum sul fronte della causa petendi. Con tale tipologia di motivi aggiunti si individuano quelle deduzioni integrative che il ricorrente può proporre, ampliando l’oggetto del giudizio, senza alcun limite di contenuto e, quindi, senza alcun limite di novità dei motivi, in relazione “alla successiva conoscenza di altre parti del provvedimento impugnato o di altri atti connessi al provvedimento impugnato”.

2.3. “I motivi aggiunti impropri” (e cioè quelli diretti ad impugnare nuovi atti facenti parte della procedura di aggiudicazione, anche solo per illegittimità derivata), invece, consentono al ricorrente di impugnare un atto emanato in pendenza di giudizio, purchè la nuova domanda sia connessa a quella già proposta e, quindi, di ampliare il petitum originario. Non si tratta di motivi aggiunti in senso proprio, in quanto con essi non si aggiungono ulteriori motivi al ricorso avverso un provvedimento già sottoposto al vaglio giurisdizionale, ma si impugnano uno o più provvedimenti connessi a quello già impugnato.

Ne consegue che se la prima tipologia di motivi aggiunti si risolve nell’ampliamento della causa petendi del ricorso originario, ossia nell’aggiunta di nuovi motivi a quelli già dedotti contro l’atto impugnato, ciò che il legislatore consente attraverso la seconda tipologia di motivi aggiunti (impropri) è l’ampliamento del petitum del ricorso e, dunque, l’impugnazione di atti diversi da quello già investito del gravame.

In realtà i motivi aggiunti impropri, agendo proprio sul petitum, estendono l’istanza annullatoria ad un altro provvedimento connesso con quello già oggetto dell’atto introduttivo del giudizio e deducono contro di esso gli stessi vizi di legittimità (illegittimità derivata) e/o vizi diversi (illegittimità autonoma).

2.4. In passato, la differenza tra le descritte tipologie di motivi aggiunti veniva considerata decisiva ai fini dell’applicazione del contributo unificato. Si riteneva, infatti, che il contributo unificato non dovesse essere corrisposto quando attraverso i motivi aggiunti fossero state prospettate “nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte”, vale a dire in caso di proposizione di motivi aggiunti “propri”. Viceversa, si riteneva che fossero soggetti al contributo unificato i motivi aggiunti “impropri”, vale a dire quei motivi aggiunti che estendevano l’impugnazione ad ulteriori atti rispetto a quelli implicati nel ricorso principale, indipendentemente dal contenuto della “nuova” impugnazione e dal “grado” di connessione esistente tra gli stessi atti impugnati. Tale interpretazione era basata sulla formulazione letterale del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 6 bis e 6 bis 1, in base al quale il contributo unificato è dovuto soltanto in caso di proposizione di “motivi aggiunti che introducono domande nuove”. Questa impostazione aveva trovato riscontro nella circolare del Segretario Generale della Giustizia amministrativa del 18 ottobre 2011 (aggiornata il 22 ottobre 2014 e ribadita dalla circolare del 23 ottobre 2015) ove era stato stabilito che il contributo unificato fosse dovuto in caso di motivi aggiunti diretti a impugnare “provvedimenti diversi da quelli già portati all’attenzione del giudice col ricorso introduttivo”.

La stessa circolare al punto B.2, relativo ai motivi aggiunti, chiariva che l’obbligo contributivo sorge solo nel caso di “atti processuali (…) che comportino un sostanziale ampliamento del “thema decidendum” nel duplice senso: di estendere l’impugnazione a provvedimenti diversi da quelli già portati all’attenzione del giudice con il ricorso introduttivo; di introdurre nuove azioni di accertamento o di condanna”. Al successivo punto B.3 si specificava che “l’individuazione da parte dell’ufficio giudiziario del presupposto di imposta, in relazione al deposito di motivi aggiunti, andava effettuata tenendo conto dei seguenti requisiti, che dovevano sussistere congiuntamente:

a) Impugnazione di un atto (di qualsiasi natura e portata sostanziale) “nuovo”, vale a dire non gravato col ricorso introduttivo del giudizio, ovvero richiesta di accertamento di un rapporto, ovvero azione di condanna (…) formulate per la prima volta in giudizio;

b) Notifica dei motivi aggiunti all’amministrazione emanante ed ai controinteressati.

Secondo tale circolare “se la pluralità di domande è il frutto di un ampliamento successivo, l’operato con i motivi aggiunti, al deposito di tali atti andrà versato un ulteriore contributo unificato”; al contrario nelle ipotesi in cui “con i motivi aggiunti venga impugnato l’originario provvedimento per vizi diversi da quelli fatti valere con il ricorso originario” (ossia in caso di proposizione di motivi aggiunti propri), il contributo non sarà dovuto. In tal modo si attribuiva rilevanza decisiva al contenuto ed alla natura ampliativa del thema decidendum dell’atto giudiziario che andava a depositare rispetto all’intestazione dell’atto stesso.

2.5. Questa interpretazione non può essere più totalmente condivisa a seguito della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 6 ottobre 2015, n. 61 resa nella causa C-61/14, secondo cui il criterio per stabilire il pagamento del contributo unificato, in ipotesi di proposizione di motivi aggiunti, è quello del “considerevole ampliamento dell’oggetto della controversia già pendente”.

La Corte UE, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità rispetto alla normativa Europea dell’importo del contributo unificato previsto dalla legislazione nazionale in materia di appalti, per un verso, ha dichiarato compatibile con tale normativa il suddetto importo, e, per altro verso, ha statuito che un’applicazione multipla dei tributi giudiziari nell’ambito del medesimo giudizio possa trovare giustificazione solo se l’oggetto del ricorso principale e quello dei motivi aggiunti siano “effettivamente distinti” e qualora questi ultimi diano luogo a “un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente”.

Si è ritenuto legittimo e coerente con la normativa comunitaria, non solo la disposizione sul contributo unificato particolarmente oneroso, ma anche la norma che prevede il cumulo di più contributi, semprechè siano proposti motivi aggiunti alla domanda introduttiva del giudizio. A parere della Corte, infatti, il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale non viene pregiudicato dalle misure processuali adottate dal Legislatore nazionale, posto che il diritto dell’Unione riconosce ad ogni Stato membro la possibilità di stabilire l’ammontare del contributo unificato, tenendo conto del necessario finanziamento dell’attività giurisdizionale e, in secondo luogo, dell’effetto dissuasivo rispetto alla proposizione di domande infondate.

La Corte di Giustizia afferma che non sussiste alcun contrasto della normativa nazionale in materia di contributo unificato in tema di appalti pubblici con i principi Europei di effettività ed equivalenza. La previsione del pagamento del contributo contribuisce al buon funzionamento del sistema giurisdizionale, in quanto costituisce una fonte di finanziamento dell’attività giurisdizionale degli Stati membri purchè si realizzi un “ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente”. Nella stessa pronuncia si precisa, altresì, che, qualora non si verifichino le predette condizioni, “l’obbligo di pagamento aggiuntivo di tributi giudiziari in ragione della presentazione di tali motivi si pone in contrasto con l’accessibilità dei mezzi di ricorso garantita dalla Dir. n. 89/665 e con il principio di effettività.”

2.6. Il Collegio ritiene importante precisare che la Corte di giustizia ha ritenuto che “spetta al giudice nazionale esaminare gli oggetti dei ricorsi presentati da un amministrato e dei motivi dedotti dal medesimo nel contesto di uno stesso procedimento” e se “il giudice nazionale (…) accerta che tali oggetti non sono effettivamente distinti o non costituiscono un ampliamento considerevole dell’oggetto della controversia già pendente, è tenuto a dispensare l’amministrato dall’obbligo di pagamento di tributi giudiziari cumulativi”.

Siffatto accertamento certamente non sfugge all’ambito della giurisdizione amministrativa. Del resto sarebbe singolare che tale accertamento non fosse consentito al giudice che è chiamato dalla legge ad esaminare il contenuto intrinseco degli stessi atti (ricorso originario e motivi aggiunti), così come è consentito al giudice tributario tenuto all’accertamento della debenza del tributo, il quale, a tale fine, deve verificare se vi sia stata nella fattispecie in esame una dilatazione del “thema decidendum”.

Va evidenziato che, dopo la pronuncia della Corte di Giustizia n. 61 del 2015, la posizione dell’Amministrazione fiscale è stata chiaramente espressa dalla circolare adottata dal Segretario Generale della Giustizia Amministrativa del 23 ottobre 2015, secondo cui il tributo non è dovuto solo in caso di “invarianza dell’oggetto (…) vale a dire in assenza dell’impugnazione di un ulteriore provvedimento amministrativo”.

2.7.Per la valutazione della questione relativa alla debenza del contributo unificato in ipotesi di proposizione di motivi aggiunti, tenuto conto dell’interpretazione offerta dalla giurisprudenza Eurocomunitaria, un ausilio può essere offerto dall’istituto della connessione, utile per comprendere se la proposizione dei motivi aggiunti determini un ampliamento dell’oggetto della causa principale da valutarsi “considerevole”, ovvero per stabilire se gli oggetti del ricorso introduttivo e quello dei motivi aggiunti siano “effettivamente distinti”.

L’istituto della connessione è stato considerato come un criterio implicito di distribuzione della competenza, in quanto consente l’impugnazione innanzi allo stesso giudice di più atti che, se impugnati separatamente, apparterrebbero alla cognizione di giudici differenti. Ai sensi dell’art. 32 c.p.a., comma 1, è sempre ammissibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse, proposte in via principale o in via incidentale. Il Consiglio di Stato, Sez. V, 14.12.2011, n. 6537 ha precisato che nel giudizio amministrativo assume rilevanza solo la connessione oggettiva, per cui il cumulo di domande presuppone che le medesime siano o contemporaneamente connesse dal punto di vista oggettivo e soggettivo, oppure semplicemente connesse dal punto di vista oggettivo. La ratio dell’istituto interpretativo deve essere colta nell’esigenza di evitare la confezione tra controversie diverse, con conseguente aggravio dei tempi del processo, nonchè nella necessità di impedire l’elusione di disposizioni fiscali, atteso che con il ricorso cumulativo il ricorrente chiede più pronunce giurisdizionali provvedendo una sola volta al pagamento dei relativi tributi.

Il fenomeno processuale della connessione, tra cause o tra domande, o, tra azioni, riporta ad un fenomeno unico che è quello del collegamento tra diverse vicende sostanziali, oggetto di diverse domande giudiziali, e, in quanto tali, materia di diverse cause. Assume pertanto rilievo la connessione oggettiva che deve sussistere tra domande giudiziali, essendo scontata l’identità soggettiva della parte che la propone, cioè quello dei rapporti tra ricorso principale e ricorso incidentale che si pone anche per le domande proposte con i rispettivi motivi aggiunti. Nella giurisprudenza amministrativa la connessione oggettiva viene colta generalmente nel collegamento procedimentale o funzionale tra atti diversi, e, poichè la vicenda sostanziale appare unitaria in quanto unici o coordinati siano gli interessi pubblici perseguiti e quelli del privato coinvolti, è necessario che i diversi atti appartengano ad un unico procedimento, e siano espressione di un unico potere, oppure siano conclusivi di procedimenti autonomi ma collegati tra loro.

La connessione amministrativa viene analizzata nella giurisdizione non più come nesso esistente tra atti e provvedimenti collegati tra loro, ma anche come collegamento tra domande che recano elementi oggettivi almeno in parte identici.

All’interno di tale cornice concettuale, la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto la sussistenza della connessione oggettiva: a) quando tra gli atti impugnati viene ravvisata quantomeno una connessione procedimentale di presupposizione giuridica o di carattere logico, in quanto diversi atti incidono sulla medesima vicenda; b) quando le domande cumulativamente avanzate si basano sugli stessi presupposti di fatto o di diritto e siano riconducibili nell’ambito dello medesimo rapporto o di un’unica sequenza procedimentale; c) quando sussistono elementi di connessione tali da legittimare la riunione dei ricorsi.

2.8. Tenendo conto dell’indirizzo espresso dalla sentenza della Corte di Giustizia, l’istituto della connessione oggettiva rileva, ai fini della esenzione del contributo unificato, solo se determina un “considerevole” ampliamento dell’oggetto della causa principale con i motivi aggiunti.

Si pongono, pertanto, delicate questioni: a) l’accertamento dei requisiti perchè si abbia una connessione oggettiva tra le domande; b) l’interpretazione del rapporto di connessione tra domande contenute nel ricorso principale (e nei motivi aggiunti) e domande contenute nel ricorso incidentale (e motivi aggiunti).

Emerge, quindi, la necessità di evidenziare se vi sia tra le cause una connessione “forte” o una connessione “debole”.

Il legame tra i provvedimenti, infatti, può essere di varia intensità, tanto che si possono prefigurare due tipi di connessioni: quelle “forti” (ovvero qualificate, necessarie) e quelle “deboli” (ovvero semplici, non necessarie).

La connessione meramente soggettiva e quella fattuale (o causale) possono essere qualificate come connessioni deboli. Nel primo caso (nel caso di connessione soggettiva) gli elementi di contatto sono meramente formali (vale a dire i soggetti attivi e passivi).

L’indirizzo prevalente della giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato ad plenaria n. 29 del 2013) ritiene tale tipologia di connessione giuridicamente irrilevante da un punto di vista processuale, o, meglio dire, non idonea, di per sè, a rendere ammissibile la proponibilità dei motivi aggiunti mediante l’impugnazione di atti o provvedimenti ulteriori rispetto a quello impugnato con il ricorso principale.

Nel secondo caso (connessione fattuale), inoltre, gli elementi di contatto si riferiscono a caratteri esterni all’atto (i presupposti di fatto e/o di diritto dello stesso), sicchè non è rinvenibile uno stretto e diretto legame, di tipo strutturale o funzionale, tra i poteri pubblici e i provvedimenti amministrativi che ne sono espressione.

I requisiti di connessione oggettiva “forte” vengono individuati dalla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato Sez. V, 17 gennaio 2011, n. 202; Cons. Stato Sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8251; Cons. Stato, Sez. VI, 17 marzo 2010, n. 1564): a) quando fra gli atti impugnati viene ravvisata una connessione procedimentale di presupposizione giuridica (es. tra dichiarazione di pubblica utilità e provvedimento di esproprio); b) o un presupposizione di carattere logico (cioè un rapporto di pregiudizialità in senso sostanziale o almeno processuale, perchè esame del provvedimento che costituisce un antecedente logico – giuridico è essenziale per poter esaminare il provvedimento conseguente).

Non tutte le ipotesi di connessione oggettiva determinano un “considerevole ampliamento dell’oggetto della controversia”. Ciò, in quanto, all’interno della generale categoria della connessione rilevante nel processo amministrativo, la forma più intensa di connessione è quella per pregiudizialità – dipendenza: essa ricorre quando sussiste un legame di consequenzialità necessaria tra i provvedimenti. Ossia quando un atto costituisce il fondamento di un altro atto, sicchè l’illegittimità di quello pregiudiziale provoca l’illegittimità di quello dipendente.

In questa ipotesi, laddove l’invalidità dell’atto presupposto sia considerata causa invalidante consequenziale dell’atto applicativo, si riconosce che sussiste un “unico oggetto del giudizio”, sia pure preordinato all’adozione di una pluralità di statuizioni di annullamento.

Quindi, la differenza tra connessioni deboli e connessioni forti rappresenta il riferimento fondamentale da cui partire per individuare i possibili casi di esenzione dal contributo unificato alla luce dei principi enunciati dalla sentenza della Corte di Giustizia.

Nell’ipotesi di connessione debole tra atti, come quella fattuale o causale, pur legittimando il giudice a trattare congiuntamente le questioni, non è idonea a sottrarre i motivi aggiunti impropri all’obbligo del pagamento del contributo unificato.

In questo caso, le impugnazioni sono dirette contro provvedimenti formalmente e sostanzialmente distinti, ciascuno dotato di una autonoma efficacia lesiva e ciascuno potenzialmente affetto da autonomi vizi di legittimità.

L’impugnazione con motivi aggiunti di provvedimenti debolmente connessi, ovvero non legati da un rapporto di pregiudizialità -dipendenza con quello gravato con ricorso principale, determinando un effettivo e sostanziale ampliamento dell’oggetto della controversia, deve essere sempre assoggettato al pagamento del contributo unificato.

Solo la connessione “forte” tra atti, applicando il criterio individuato dalla Corte di giustizia, è idonea ad escludere l’assoggettabilità dei motivi aggiunti impropri al contributo unificato.

Da siffatti rilievi consegue che ha senso non tanto individuare una disciplina unitaria della connessione oggettiva ai fini dell’accertamento dei presupposti per il pagamento del contributo unificato, quanto piuttosto una pluralità di discipline in relazione alle diverse situazioni in cui emerge una connessione oggettiva “forte” idonea ad escludere un considerevole ampliamento dell’oggetto della controversia.

2.9. Tale valutazione non deve essere condizionata dal fatto che il contribuente, con il risorso principale e con i motivi aggiunti, abbia inteso perseguire lo stesso bene della vita.

Il Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 27.4.2015, n. 5, ha stabilito che “nel giudizio impugnatorio di legittimità di primo grado, l’unicità o pluralità di domande proposte dalle parti, mediante ricorso principale, motivi aggiunti o ricorso incidentale, si determina esclusivamente in funzione della richiesta di annullamento di uno o più provvedimenti autonomamente lesivi”.

Secondo il Consiglio di Stato, il provvedimento sul quale determinare un’eventuale pluralità di domande non deve essere ricercato nelle declinazioni che il bene della vita protrebbe assumere in relazione all’accoglimento delle relative doglianze, bensì sul numero dei provvedimenti (autonomamente lesivi) che sono stati oggetto di impugnazione. L’Adunanza Plenaria ha seguito l’indirizzo espresso da questa Corte con le sentenze a SS.UU. n. 26242 e 26343 del 2014 che, con riferimento al processo civile e ai rapporti tra privati, hanno rilevato l’unicità delle azioni proposte sulla base dell’unicità della causa petendi, e della situazione soggettiva sostanziale, relativamente all’impugnazione dell’unico atto in cui era stata consacrata l’attività negoziale.

Ne consegue che, in tema di pagamento del contributo unificato, l’unicità o pluralità di domande proposte dalle parti, mediante ricorso principale, motivi aggiunti, o ricorso incidentale, si determina esclusivamente in funzione della richiesta di annullamento di uno o più provvedimenti autonomamente lesivi. Il cumulo delle domande, la cui ammissibilità nel processo amministrativo è innegabile in forza del disposto di cui all’art. 32 c.p.a., deve essere ancorata a determinati postulati di fondo, che vengono in rilievo in particolare modo nel processo im-pugnatorio. A tale proposito assume importanza il contenuto dell’art. 40 c.p.a., comma 1, lett. b), che, nell’individuare il contenuto necessario del ricorso, stabilisce che lo stesso deve contenere fra l’altro “l’indicazione dell’oggetto della domanda, ivi compreso l’atto e il provvedimento impugnato”, con ciò lasciando intendere, testualmente, che nel giudizio impugnatorio a ciascun ricorso corrisponde di norma l’impugnativa di un solo provvedimento, sicchè quando con i motivi aggiunti si impugnano altri provvedimenti si pone la questione del pagamento del contributo unificato e, quindi, sulla base dei principi espressi dalla Corte di Giustizia, del “considerevole” ampliamento dell’oggetto del giudizio.

2.10. Ciò premesso, i giudici di appello hanno precisato in motivazione che, con la “memoria e motivi aggiunti del 1.4.2016”, la società Nuova CO.ED.MAR a.r.l. ha impugnato un altro atto amministrativo, ossia la determina dirigenziale del settore lavori pubblici del Comune di Ortona n. 79 del 2016, con cui era stato espresso il rigetto della richiesta proposta dalla società contribuente di un intervento in autotutela.

Più precisamente, con ricorso R.G. n. 95 del 2016, è stata impugnata la Determinazione III Settore del Comune di Ortona n. 15 del 17.1.2016 di aggiudicazione definitiva all’A.T.I. la Dragaggi s.r.l. – Mari Ter s.r.l. – Sapir Engineering s.r.l. dell’appalto per l’affidamento della “Progettazione definitiva, esecutiva, realizzazione opere di escavazione e approfondimento dei fondali del bacino portuale di Ortona”, “nonchè di tutti gli atti presupposti, collegati, connessi e consequenziali ivi compresa la nota prot. n. 2926 del 29.1.2016 di comunicazione della aggiudicazione definitiva, la Determinazione III Settore del Comune di Ortona n. 631 del 29.12.2015 di aggiudicazione provvisoria e tutti i verbali di gara – dalla prima seduta del 30.10.2015 all’undicesima del 28.12.2015, nella parte in cui l’A.T.I. la Dragaggi s.r.l., MariTER s.r.l. – Sapir Engineerging s.r.l. non è stata esclusa dalla gara e nella parte in cui la sua offerta non è stata ritenuta anomala e inaffidabile, nonchè ove occorra, del chiarimento del RUP n. 2, 17.9.2015” (v. ricorso per cassazione p. 8).

Con la memoria per motivi aggiunti del 1.4.2016 è stata, invece, impugnata la “determinazione dirigenziale del Settore Lavori Pubblici del Comune di Ortona n. 79 del 29.2.2016, comunicata in data 2.3.2016 con nota pec. Prot. n. 6059/2016, che ha rigettato la richiesta di intervento in autotutela avanzata dalla Nuova Co.ED.MAR tramite preavviso di ricorso ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 243 bis, presentato il 20.2.2016”.

Ne consegue che tale ultimo atto, benchè connesso con il bene della vita vantato dalla contribuente, è autonomo rispetto agli atti impugnati con il ricorso principale, atteso che, trattandosi di un rigetto di una richiesta di intervento in autotutela, si discosta dalla procedimentalizzazione della procedura di gara che giustificherebbe una connessione “forte” tra i provvedimenti amministrativi, nell’ipotesi in cui sia riconoscibile un rapporto di pregiudizialità – dipendenza tra atti.

Nella fattispecie, con motivi aggiunti è stato impugnato un altro provvedimento amministrativo, autonomamente lesivo, sebbene riferito al medesimo bene della vita vantato dalla società ricorrente (che è quello di ottenere l’aggiudicazione dell’appalto).

Tale argomentazione è supportata anche dall’indirizzo espresso dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui il numero delle domande viene misurato proprio sul numero delle ragioni sulle quali esse si fondano, sicchè si è ritenuto che la domanda di annullamento del provvedimento di aggiudicazione non coincide con la domanda di annullamento del provvedimento stesso (Cons. Stato, Sez. IV, Sent. 11.9.2012, n. 4827; Cons. di Stato, Sez. VI, ord. 11.12.2013, n. 761).

Nello specifico, mentre la prima domanda proposta dalla società contribuente era finalizzata alla ripetizione della gara, la seconda domanda mirava alla aggiudicazione della gara, mediante la richiesta di un intervento in autotutela avanzata dalla Nuova CO.Ed.Mar tramite preavviso di ricorso ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006, ex art. 243 bis: la diversa ragione fondante le due domande, benchè basate sulla stessa azione (di annullamento), avrebbe consentito anche una diversa ed autonoma trattazione, sicchè il differente effetto conformativo derivante dalla pronuncia di annullamento non può che portare ad inquadrare le citate domande come differenti (Cons. di Stato Sez. V, ord. 22.12.2014, n. 6204). Con la domanda di annullamento del rigetto dell’istanza di autotutela, la contribuente ha mirato alla aggiudicazione della gara, sicchè l’impugnazione del rigetto ha comportato un sicuro ampliamento del tema decisionale, con conseguente obbligo di pagamento del contributo unificato.

3. I giudici di appello non hanno fatto buon governo dei principi espressi, introducendo un non meglio specificato criterio qualitativo per la valutazione dell’ampliamento “considerevole” dell’oggetto della controversia già pendente, al fine di escludere l’obbligo del pagamento del contributo.

Il ricorso va pertanto accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, decidendo nel merito, va rigettato il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente.

La novità della questione trattata suggerisce la compensazione delle spese di lite di ogni fase e grado.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente.

Compensa integralmente tra le parti le spese di lite di ogni fase e grado. Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Così deciso in Roma, il 5 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2020

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