Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23526 del 09/10/2017


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Cassazione civile, sez. II, 09/10/2017, (ud. 12/01/2017, dep.09/10/2017),  n. 23526

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18507-2012 proposto da:

R.A., (OMISSIS), R.E., (OMISSIS),

R.S., (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLE

QUATTRO FONTANE 161, presso lo studio dell’avvocato GUIDO FOGLIA,

rappresentati e difesi dall’avvocato IGNAZIO DE MAURO;

– ricorrenti –

contro

F.G. e RO.RO., COMUNE di TREMESTIERI ETNEO in persona

del Sindaco pro tempore;

– intimati –

avverso la sentenza n. 813/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 04/06/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2017 dal Consigliere Dott. D’ASCOLA PASQUALE;

udito l’Avvocato MARIA CONCETTA LA DELFA, con delega dell’Avvocato

IGNAZIO DE MAURO difensore dei ricorrenti, che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO ROSARIO GIOVANNI che ha concluso per l’accoglimento del primo

e del secondo motivo e per l’assorbimento degli altri motivi di

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Gli odierni ricorrenti R. hanno agito, con atto del 1999, e citazione in riassunzione del 2001, nei confronti di F.G. e Ro.Ro. con actio negatoria servitutis relativa al rispetto di distanze legali nell’apertura di vedute dal fabbricato di proprietà dei coniugi F. sito in (OMISSIS), confinante con il lato Nord dell’immobile di proprietà degli attori. Il tribunale di Catania sez. Mascalucia il 26 gennaio 2006 ha accolto la domanda.

La Corte di appello di Catania con sentenza 4 giugno 2011 in riforma della sentenza di primo grado ha rigettato la domanda R., perchè ha ritenuto non provata la proprietà “degli attori sul citato immobile”.

Gli attori hanno proposto ricorso per cassazione, con cinque motivi, di cui l’ultimo relativo alle spese di lite.

I F. – Ro., nonostante notifica presso il domiciliatario eseguita il 19 luglio 2012, sono rimasti intimati.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2) Il primo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., artt. 1362 e 1363 c.c., e vizi di motivazione.

Lamenta che,a differenza del primo giudice, il quale aveva rilevato la tardività e genericità della contestazione della proprietà dell’immobile R., la Corte di appello aveva ritenuto adeguata la contestazione mossa dai convenuti. Rilevano la illogicità di tale conclusione, posto che la contestazione iniziale dell’altrui diritto era stata collegata dai convenuti al fatto che le aperture erano esistenti da lungo tempo, senza negare specificamente la carenza di legittimazione degli attori o della produzione del loro titolo.

Il secondo motivo espone le medesime censure sotto altro profilo.

Gli attori evidenziano che non solo i F. non avevano negato la posizione legittimante degli attori ma l’avevano riconosciuta proponendo domanda riconvenzionale per l’usucapione del diritto a mantenere le aperture, situazione protrattasi per tutto il giudizio di primo grado fino alla comparsa conclusionale. Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta violazione degli artt. 99,100,115 e 112 c.p.c., e vizi di motivazione.

Sostiene che la Corte di appello ha correttamente inquadrato come negatoria servitutis l’azione proposta e ha ricordato che l’attore non ha specifici oneri di prova, ma avrebbe poi richiesto agli attori la prova del titolo di proprietà. Aggiunge che l’eccezione relativa alla concreta titolarità del diritto controverso è soggetta a oneri di tempestiva formulazione.

Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 99,112 e 115 c.p.c. e vizi di motivazione.

Oltre a ribadire di dover solo fornire la prova della legittimazione, i ricorrenti affermano che tutti gli elementi addotti in corso di istruttoria, ed elencati nel motivo, conducevano a riconoscere la qualifica di proprietari del terreno in capo agli attori, ma non erano stati presi in esame dalla Corte di appello.

3) Il ricorso, da esaminare complessivamente per la stretta connessione dei motivi, è fondato.

Va subito chiarita la questione della tempestività o meno del rilievo della carenza di titolarità del diritto controverso.

Sul punto le Sezioni Unite (Cass. 2951/16) hanno di recente capovolto l’orientamento precedente e hanno affermato che la titolarità, costituendo un elemento costitutivo del diritto fatto valere in giudizio, può essere negata dal convenuto con una mera difesa e cioè con una presa di posizione negativa, che contrariamente alle eccezioni in senso stretto, non è soggetta a decadenza ex art. 167 c.p.c., comma 20. Hanno precisato che il medesimo art. 167, comma 10, chiede al convenuto di proporre nella comparsa di risposta tutte le difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore fondamento delle domanda, ma tale disposizione non prevede decadenza. Hanno chiarito che pertanto la questione che non si risolva in un’eccezione in senso stretto può essere posta dal convenuto anche oltre quel termine e può essere sollevata d’ufficio dal giudice; essa può anche essere oggetto di motivo di appello, perchè l’art. 345 c.p.c., comma 20, prevede il divieto di “nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio”; tuttavia, la presa di posizione assunta dal convenuto con la comparsa di risposta, può avere rilievo, perchè può servire a rendere superflua la prova dell’allegazione dell’attore in ordine alla titolarità del diritto; ciò avviene nel caso in cui il convenuto riconosca il fatto posto dall’attore a fondamento della domanda oppure nel caso in cui articoli una difesa incompatibile con la negazione della sussistenza del fatto costitutivo.

La Corte di appello ha enunciato il principio opposto, tradizionale, secondo cui anche le mere difese sono soggette alle preclusioni che maturano al compimento della fase di trattazione, ma ha ritenuto (con Cass. 17947/06) che in caso di tardiva contestazione l’esclusione dei fatti contestati dal thema decidendum (con la conseguente inopponibilità nelle fasi successive del processo) si verifica solo allorchè il giudice non sia in grado, in concreto, di accertarne l’esistenza o l’inesistenza, ex officio, in base alle risultanze ritualmente acquisite.

Con questo slittamento dalla ipotesi di tardività del rilievo difensivo alla libera verificabilità della situazione legittimante, la Corte di appello si è posta il problema di dover esaminare l’esistenza della titolarità del diritto controverso. Ha poi risolto la causa sulla base della mancanza di idonea documentazione della prova “di un valido diritto di proprietà degli attori”, osservando che a tal fine erano inidonei la dichiarazione di successione e i certificati di famiglia storici prodotti da parte attrice.

In tal modo si è esposta alle censure di cui al ricorso, perchè ha mal applicato e comunque motivato in modo insufficiente e contraddittorio la regola di diritto che pur aveva avuto presente nel citare, a pag. 4, Cass. 24028/04, in ordine ai limitati oneri probatori che ha l’attore che con la “negatoria servitutis” tende alla negazione di qualsiasi diritto, anche dominicale.

4) Sul punto la giurisprudenza di questa Corte, cui la sentenza impugnata ha prestato apparentemente ossequio, insegna che la parte che agisce con questa azione non ha l’onere di fornire, come nell’azione di rivendica, la prova rigorosa della proprietà – neppure quando abbia chiesto la cessazione della situazione antigiuridica posta in essere dall’altra parte – essendo sufficiente la dimostrazione, con ogni mezzo ed anche in via presuntiva, di possedere il fondo in forza di un titolo valido; l’azione, infatti, non mira all’accertamento dell’esistenza della titolarità della proprietà, ma a chiedere la cessazione dell’attività lesiva, mentre al convenuto incombe l’onere di provare l’esistenza del diritto di compiere detta attività. (conf. da ultimo Cass. 472/17).

Alla luce di questo principio, ribadito anche a pag. 8 in fine, la Corte di appello non avrebbe dovuto pretendere la (risolutiva e incontestabile) esibizione materiale del titolo di acquisto originario dal quale derivava il possesso.

Restava in tal modo vanificata infatti la possibilità, pur declamata dalla stessa Corte di appello, di offrire la prova della titolarità della situazione legittimante anche mediante presunzioni, strumento probatorio ovviamente più instabile ma consentito, al quale la Corte di appello non ha prestato alcuna attenzione.

Vi è stata dunque mancata applicazione della corretta regula iuris pur enunciata e immediatamente contraddetta.

4.1) La motivazione resa, oltre che contraddittoria, si rivela anche gravemente insufficiente.

Essa infatti, come rilevato nel primo motivo, non ha preso in esame i rilievi del tribunale in ordine alla scarsa rilevanza di una tardiva contestazione, esplicitata solo in comparsa conclusionale, atteso che la comparsa di risposta si era limitata a negare il diritto degli attori a ottenere la chiusura delle aperture in contestazione.

Nè la Corte ha esaminato l’altra considerazione del tribunale, relativa alla portata del tardivo rilievo che in quanto “spogliato di ogni elemento di concreta serietà” non è apparso al primo giudice tale da giustificare una verifica officiosa sul punto. Non si è quindi interrogata sull’esistenza di un raggiungimento della prova grazie proprio alla non contestazione e quindi se fosse vietato al convenuto, per il principio di preclusione in senso causale, di rendere controverso un fatto non contestato, nè attraverso la revoca espressa della non contestazione, nè deducendo una narrazione dei fatti alternativa e incompatibile con quella posta a base delle difese precedentemente svolte (Cass. 26859/13).

Manca inoltre, a proposito della inconsistenza della contestazione del titolo legittimante, ogni valutazione circa il fatto che l’iniziale resistenza era stata argomentata in relazione all’esistenza “da lungo tempo” delle aperture. Questa osservazione conclusiva del primo motivo si salda con il rilievo, valorizzato nel motivo seguente, relativo alla circostanza che parte resistente aveva agito in via riconvenzionale per far valere l’usucapione del diritto a mantenere le vedute, domanda maggiormente compatibile con un sostanziale riconoscimento dell’esistenza di un diritto poziore dell’attore contro cui veniva esperita la riconvenzionale.

Anche in questo caso v’è un nesso con un profilo esposto nel successivo motivo: ivi parte ricorrente ha infatti evidenziato che la Corte di appello non ha considerato, nè tenuto conto, della mancanza di prova, da parte dei F., dell’esistenza del diritto di compiere l’attività lesiva denunciata dai R. con l’azione negatoria.

Il ricorso coglie nel segno anche quando nel quarto motivo lamenta la mancata valutazione delle risultanze scaturite dalla relazione del consulente di ufficio, dal comportamento processuale delle parti e dall’audizione della teste D., catastalmente intestataria del fabbricato, nonchè dal silenzio serbato in proposito anche dai testi di controparte.

Infine, sempre nel quarto motivo, è messa in rilievo la necessità che fosse oggetto di apprezzamento da parte della Corte di appello la documentazione prodotta, al fine di valutare se essa potesse giovare a documentare che gli attori avevano ereditato dal “comune dante causa” il terreno per il quale domandavano tutela.

In proposito mette conto ricordare che, pur non avendo la denuncia di successione, come ritenuto dalla Corte di appello, idoneità a rendere sufficiente prova del diritto di proprietà di un determinato bene, tuttavia la giurisprudenza le riconosce a questo fine rilevanza civilistica di tipo indiziario (Cass. 14395/04) e dunque valorizzabile per la prova mediante presunzioni.

Nè va trascurata la portata probatoria che ha, per chi vanti l’asserita qualità di erede di altro soggetto, la produzione degli atti dello stato civile, dai quali sia dato desumere quel rapporto di parentela con il “de cuius” che legittima alla successione ai sensi degli artt. 565 e ss c.c. (Cass. 13738/05).

Inadeguata resta pertanto la motivazione della sentenza impugnata, che ha considerato “assolutamente inidonei”, senza analizzarli specificamente, i “certificati di famiglia storici” prodotti da parte ricorrente.

5) L’insieme di queste omissioni motivazionali e le violazioni di legge che queste omissioni suppongono in relazione alla prova della titolarità del diritto ad agire in negatoria servitutis impongono la cassazione della sentenza impugnata.

Altra sezione della Corte di appello di Catania dovrà pertanto riesaminare il gravame proposto da parte F., conformandosi agli obblighi motivazionali sopraindicati.

Il giudice di rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Catania, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ sezione civile, il 12 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2017

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