Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23522 del 18/11/2016


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Cassazione civile sez. lav., 18/11/2016, (ud. 18/07/2016, dep. 18/11/2016), n.23522

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 12906/2010 proposto da:

C.G.B., C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA BUFALOTTA 174, presso lo studio

dell’avvocato PATRIZIA BARLETTELLI, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIUSEPPE DI TRAPANI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA n. 29 presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati ALESSANDRO RICCIO, MAURO RICCI e CLEMENTINA PULLI, giusta

delega in calce alla copia del ricorso notificato;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 669/2009 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 08/05/2009, R.G. N. 1441/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/07/2016 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato CLEMENTINA PULLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’inammissibilità, in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 23/4 – 8/5/2009 la Corte d’appello di Palermo, accogliendo l’impugnazione dell’Inps, ha riformato la sentenza del Tribunale di Marsala che l’aveva condannato a corrispondere a C.G.B. l’assegno ordinario di invalidità a decorrere dal mese di marzo del 2006 e, per l’effetto, ha rigettato la domanda dell’appellato. La Corte di merito ha, invero, accertato, tramite consulenza tecnica d’ufficio, che le infermità dalle quali il C. era affetto non avevano avuto un’incidenza tale da determinare una riduzione della capacità lavorativa in occupazioni confacenti alle sue attitudini di lavoro per la fruizione dell’assegno ordinario di invalidità.

Per la cassazione della sentenza ricorre il C. con due motivi.

Per l’Inps vi è delega al difensore in calce al ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 416 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dolendosi della violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato che sarebbe ravvisabile nel fatto che la Corte di merito ha posto a base della decisione di rigetto della domanda originaria la circostanza, non costituente oggetto di allegazione e di indagine in entrambi i gradi del giudizio di merito, della titolarità dell’azienda, quale elemento di valutazione ai fini del riconoscimento dell’assegno ordinario di invalidità.

1.a. Il motivo è infondato.

Osserva, infatti, la Corte che non è ravvisabile nella fattispecie il lamentato vizio di corrispondenza tra quanto chiesto e quanto fatto oggetto di pronunzia, dal momento che i giudici d’appello si sono attenuti esattamente alla disamina della sussistenza dei presupposti del diritto vantato dall’assistito, tra i quali quello sanitario, posto che in materia di invalidità pensionabile, la L. n. 222 del 1984, ha adottato, come criterio di riferimento ai fini del conseguimento del diritto all’assegno ordinario di invalidità, non la riduzione della generica capacità lavorativa, secondo quanto previsto dalla L. 30 marzo 1971, n. 118, per i mutilati ed invalidi civili, bensì la riduzione della capacità lavorativa in occupazioni confacenti alle attitudini dell’assicurato. Si è, invero, statuito (Cass. Sez. Lav. n. 6185 del 13.5.2000) che “il requisito della riduzione a meno di un terzo della capacità di lavoro dell’assicurato in occupazioni confacenti alle sue attitudini, previsto dalla L. n. 222 del 1984, art. 1, ai fini del conseguimento del diritto all’ assegno ordinario di invalidità, se non consente la valutazione dei fattori socio – economici – come accadeva, invece, in precedenza in tema di pensione di invalidità (disciplinata dal R.D.L. n. 636 del 1939, art. 10, come modificato dalla L. n. 160 del 1975, art. 24) per la quale era consentito il riferimento alla capacità di guadagno, con conseguente rilevanza non solo dei criteri medico – legali e delle caratteristiche soggettive dell’assicurato (età, sesso, attitudini), ma anche dei fattori economico – sociali ed ambientali in grado di incidere, sia positivamente sia negativamente, sulla possibilità di proficua utilizzazione delle residue energie lavorative dell’invalido – impone tuttavia di continuare a tenere conto dell’età e della formazione professionale del soggetto (come si evince dal richiamo della norma alle attitudini) valutando la possibilità di una continuazione dell’impegno lavorativo e l’eventuale carattere usurante di questo, anche con riferimento ad attività diverse (ma tuttavia confacenti alle attitudini) da quella espletata”.

Pertanto, non può condividersi la censura del ricorrente – secondo il quale non poteva costituire oggetto di indagine, in quanto non facente parte del contraddittorio, la circostanza della titolarità dell’azienda – dal momento che i giudici d’appello hanno ricavato tale dato di fatto dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta in seconde cure nel rispetto del contraddittorio ed hanno condiviso le conclusioni dell’ausiliare in ordine alla inidoneità delle accertate infermità ad incidere sulla capacità lavorativa del C. in occupazioni confacenti alle sue attitudini, quale titolare di un’azienda, in maniera tale da ridurla nei limiti previsti dalla legge per la fruizione dell’assegno ordinario di invalidità.

In definitiva, la circostanza che la condizione di titolare d’azienda sia stata valorizzata nel giudizio di secondo grado ai fini della esatta identificazione delle attitudini lavorative dell’appellato non rappresenta, come vorrebbe far intendere l’odierno ricorrente, un elemento che non avrebbe potuto entrare a far parte dell’indagine, atteso che trattasi di elemento istruttorio regolarmente acquisito agli atti del processo e liberamente apprezzato dalla Corte territoriale proprio al fine di verificare la ricorrenza di un presupposto del diritto oggetto di causa.

2. Col secondo motivo, dedotto per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il ricorrente lamenta che la circostanza della titolarità di azienda, sulla quale è basata la decisione di rigetto della domanda, non sarebbe stata congruamente motivata e che la stessa Corte territoriale avrebbe apoditticamente escluso che le malattie dalle quali egli era risultato essere affetto avessero avuto un’incidenza tale da determinare una riduzione della capacità lavorativa nei limiti previsti dalla legge in attività confacenti alle sue attitudini per la fruizione dell’assegno triennale di invalidità richiesto.

2.a. Anche tale motivo è infondato, atteso che attraverso lo stesso viene censurato un aspetto del giudizio, interno all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, che attiene al libero convincimento del giudice – congruamente motivato ed immune da vizi di ordine logico-giuridico, sia nella parte in cui richiama gli esiti degli accertamenti peritali, sia in quella in cui ne condivide le conclusioni – e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione. (v. ad es. Cass. sez. lav. n. 6064 del 6.3.2008)

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 1100,00, di cui Euro 1000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 18 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2016

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