Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2352 del 31/01/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 2352 Anno 2018
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: FIECCONI FRANCESCA

ORDINANZA

sul ricorso 13748-2014 proposto da:
FEDELI BASILIO,

elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA BOEZIO 14, presso lo studio dell’avvocato ALBERTO
MARSILI FELICIANGELI, rappresentato e difeso
dall’avvocato NAZZARENO CIARROCCHI giusta procura
speciale in calce al ricorso;
– ricorrentecontro
2017
2273

AZIENDA SANITARIA UNICA REGIONALE MARCHE – ASUR che
ha incorporato la ASL N. 12 di San Benedetto del
Tronto, in persona del legale rappresentante Dr.
GIANNI GENGA – Direttore Generale, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PANAMA 88, presso lo studio

1

Data pubblicazione: 31/01/2018

dell’avvocato GIORGIO SPADAFORA, che la rappresenta e
difende giusta procura speciale a margine del
controricorso;
VANNINI VIVIANA in qualità di coerede del Dr. GENNARO
PENNETTI, domiciliata ex lege in ROMA, presso la

e difesa dall’avvocato ROBERTO CATALDI giusta procura
speciale del Dott. Notaio NAZZARENO CAPPELLI in
ASCOLI PICENO il 7/11/2017 rep. n. 122441;
AZIENDA SANITARIA UNICA REGIONALE DELLE MARCHE la
quale è subentrata quale incorporante all’Azienda
Sanitaria USL 13 di Ascoli Piceno, nella persona del
legale rappresentante Dr. GIANNI GENGA, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE BASTIONI MICHELANGELO 5 A
presso lo studio dell’avvocato MONICA SAVONI,
rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO
MAROZZI giusta procura speciale a margine del
controricorso;
– controricorrentinonchè contro

ASSITALIA LE ASSICURAZIONI D’ITALIA SPA , ASUR MARCHE
ASCOLI PICENO , DE VECCHIS LUCIO, PENNETTI GENNARO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 936/2013 della CORTE D’APPELLO
di ANCONA, depositata il 06/12/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di

2

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata

consiglio del

22/11/2017

dal

Consigliere

Dott.

FRANCESCA FIECCONI;

3

RILEVATO IN FATTO
1. Con ricorso per cassazione notificato il 29/04/2014 e depositato il
16/05/2014,Basilio FEDELI,assistito dal legale munito di procura speciale
rilasciata in calce al ricorso, ricorre in cassazione avverso la sentenza
n.936 /2013 della Corte di appello di Ancona, pronunciata nei confronti
del medesimo e di ASUR MARCHE ASCOLI PICENO, Lucio DE VECCHIS e

data 18/06/2014, depositata il 6/12/2013 e notificata il 28 febbraio
2014, assumendo che la Corte d’appello non abbia correttamente
considerato la sua pretesa di riforma della sentenza di primo grado del
Tribunale di Ascoli Piceno, nella parte che ha respinto la richiesta di
risarcimento del danno per malpractice medica decidendo sulla base di
una CTU ritenuta nulla per violazione del contradittorio e, in particolare,
non tenendo conto dell’ omessa prestazione di consenso informato
correlata a una prestazione medico-sanitaria di tipo ortopedico risalente
al 6.10.1993, accertata dallo stesso CTU che, però, nella sua relazione
aveva escluso comportamenti negligenti in capo ai sanitari convenuti.
Deduce che la Corte d’appello abbia erroneamente rilevato che la pretesa
risarcitoria collegata all’omessa prestazione di consenso informato fosse
incorsa nelle preclusioni di cui all’art. 183 cod.proc.civ., secondo il testo
antecedente alla riforma del 2005 – essendo il procedimento iniziato
innanzi al Tribunale di Ascoli Piceno in data 21.03.1997 – .
1.1.

Nel procedimento in cassazione si costituiva l’ AZIENDA SANITARIA

UNICA REGIONALE MARCHE -ASUR mediante controricorso notificato il 9
giugno 2014 e munito di procura speciale rilasciata al difensore a
margine del ricorso, con il quale chiedeva il rigetto del ricorso,
deducendo che nella domanda e nelle successive memorie della fase di
primo grado l’attore non aveva mai prospettato un pregiudizio correlato
all’omesso consenso informato, non essendo tale domanda deducibile
neanche dal contenuto delle difese, ma solo e tardivamente nella replica
alle conclusionali di cui all’art. 190 cod. proc. civ., come rilevato dalla
Corte d’appello nella sentenza oggetto d’impugnazione.
3 kl5

Gennaro PENNETTI (in qualità di ente ospedaliero e dei medici curanti) in

1.2.

Entrambe le parti depositavano ulteriori memorie difensive a

supporto delle rispettive pretese
RILEVATO IN DIRITTO
2. Quale unico motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione o falsa
applicazione delle norme di diritto ex art. 360, n. 3 cod. proc. civ., in

avendo il giudice d’appello considerato che si fosse operata una
emendatici libelli, come tale ammissibile sia nel corso del primo grado di
giudizio che in quello di secondo grado, come indicato dalla pronuncia
della cassazione, sez. II, n. 9266 del 19/04/2010. Il ricorrente assume
che tale domanda non risentirebbe di preclusioni o decadenze, poiché il
potere officioso del giudicante di rilevare l’inammissibilità riguarderebbe,
secondo le vecchie disposizioni processuali, solo la mutati° libelli, tant’è
che il giudice di primo grado aveva ritenuto di dovere chiedere
chiarimenti al CTU in merito a tale pretesa, il quale ha confermato
l’assenza di consenso informato, pur escludendo la sussitenza di
comportamenti colposi in capo ai sanitari. In particolare, il ricorrente
riferisce di avere subito un danno biologico di 10 punti percentuale
superiore a quello derivante dal trauma per il quale era ricorso alle cure
dei sanitari convenuti. Il giudice di primo grado aveva ritenuto infondata
l’eccezione di nullità della CTU, sulla base della quale era possibile
escludere la sussistenza di comportamenti colposi in capo ai sanitari,
ritenendo che anche l’accertata carenza di consenso informato non
avesse determinato danni in capo all’attore. Chiede pertanto il ricorrente
che sia cassata con rinvio la sentenza di secondo grado che, invece,
aveva dichiarato processualmente non ammissibile lo scrutinio della
domanda risarcitoria correlata all’omesso consenso informato, dovendosi
anche rilevare l’erroneità della statuizione del giudice di seconde cure
nella parte in cui aveva qualificato come extracontrattuale, e non
contrattuale, la domanda giudiziale svolta dall’attore, statuendo

4

relazione agli artt. 183 e 184 (vecchia formulazione) cod. proc. civ., non

erroneamente anche sui relativi oneri probatori dell’attore in tema di
consenso informato.
2.1.

La parte controricorrente deduce innanzitutto che tale domanda

integri una violazione processuale che avrebbe dovuto essere fatta valere
a norma dell’art. 360, n.4 cod. proc. civ. e non sotto il profilo della
violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell art. 360,

domanda, indicando che la domanda intesa a far valere l’omesso
consenso informato e i correlati danni sia ontologicamente diversa da
quella collegata all’accertamento, citando in proposito la sentenza della
Cassazione n. 25764/2013: nel corso del giudizio di primo grado sarebbe
pertanto intervenuto un mutamento della domanda del tutto
inammissibile anche sotto lo scudo delle vecchie norme processuali.
2.2.

In

relazione

controricorrente,

alla
questa

questione
Corte,

d’inammissibilità
pur aderendo

posta

dalla

all’orientamento

giurisprudenziale (Cass. 26091/05) secondo cui l’indicazione delle norme
che si assumono violate non si pone come requisito autonomo ed
1-;

imprescindibile ai fini dell’ammissibilità del ricorso in cassazion- ért-ratta
pur sempre di un elemento richiesto al fine di chiarire il
contenutodell’impugnazione, e di identificarne i limiti, ragion per cui la
mancata indicazione delle disposizioni di legge può comportare
l’inammissibilità della singola doglianza solo qualora gli argomenti addotti
non consentano di individuare le norme e i principi di diritto che si
assumono violati. Dal contenuto del ricorso, pur tuttavia, si desume
chiaramente che la censura relativa alla violazione di legge , mossa dal
ricorrente, attiene alla mancata osservanza delle norme processuali
vigenti all’epoca dell’instaurazione del procedimento di primo grado, non
sussistendo alcuna differenza, sul piano logico, tra la dedotta violazione
di norme di diritto e la violazione di norme processuali. Pertanto, al fine
di vagliare l’ammissibilità della suddetta censura, in tale caso è
sufficiente rilevare che la tassatività e la specificità del motivo di censura
esigono che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche di censura

n.3 cod. proc. civ.. Nel merito la resistente deduce l’infondatezza della

enucleate dal codice di rito, come risulta facilmente rilevabile nel caso di
specie (cfr. anche Cass. n. 18202/2008).
2.3.

La questione d’inammissibilità del ricorso posta dalla parte

resistente è pertanto infondata.
3. In merito alla censura correlata alla dichiarazione d’inammissibilità
dell’appello, rilevata dalla Corte territoriale sull’assunto della novità della

alla tardiva proposizione della medesima nella fase di primo grado,
osserva questa Corte che la doglianza del ricorrente si affida a un
precedente in materia di controversie agrarie, secondo il quale la diversa
quantificazione o specificazione di una pretesa, fermi i fatti costitutivi,
non comporta la prospettazione di una nuova domanda e quindi una
mutatio libelli.

Più in generale, in tale precedente si ribadisce un

consolidato orientamento di questa Corte, in base al quale si verifica una
mutati° libelli, e non già una mera emendatio, quando una domanda
venga impostata su presupposti di fatto e su conseguenti situazioni
giuridiche non prospettati in precedenza, con conseguente immutazione
dei fatti costitutivi del diritto fatto valere.
3.1.

Nell’ipotesi di omesso consenso informato, occorre tuttavia far

riferimento alla giurisprudenza formatasi nel delicato settore della
responsabilità medica, ove la Corte di legittimità ha già segnato una
netta distinzione tra i diversi tipi di domande risarcitorie concernenti la
responsabilità medica, e soprattutto in riferimento a quelle che
coinvolgono l’omesso consenso informato. Ed invero, tale domanda
comporta l’introduzione nel processo di un nuovo tema di indagine e di
decisione che altera l’oggetto sostanziale dell’azione e i termini della
controversia, tanto da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta
valere in precedenza (v. sul punto Cass. n. 10741/2009 e Cass. n.
18513/2007, che ha qualificato come mutamento della causa petendi il
porre a fondamento dell’azione di risarcimento danni conseguenti ad
intervento chirurgico il difetto di consenso informato, dopo aver fondato
tale azione sulla colpa professionale).
6

domanda ai sensi dell’ art. 345, comma 1, cod. proc. civ., in relazione

3.2.

La domanda ritenuta non ammissibile dalla Corte d’appello perché

intervenuta «quando oramai erano scaduti i termini perentori per
apportare modifiche alla domanda introdotta dall’attore con atto di
citazione» ha, dunque, come presupposto proprio l’esame delle
conseguenze risarcitorie relative all’omessa informazione sul trattamento
medico sanitario proposto, pretesa che può assumere rilievo anche ove

medica, (come accertato in via definitiva dal giudice del merito nel caso
di specie), richiedendo tuttavia -in più- la prova che l’adempimento
dell’obbligo informativo avrebbe con certezza prodotto l’effetto del rifiuto
della prestazione medica, soggetta al principio della libera
autodeterminazione del soggetto che vi si sottopone (v. Cass.
18513/2007, Cass 2468/2009, Cass 2847/2010 e sez. 3 Cass n.
11950/2013). Di questa stregua, la formulazione della domanda di
risarcimento dei danni conseguenti a una prestazione medica resa in
difetto di consenso informato, in aggiunta all’azione risarcitoria fondata
sulla sola colpa professionale, comporta inevitabilmente un ampliamento,
di non poco conto, sia del tema di indagine sia di quello decisionale,
occorrendo verificare conseguentemente se l’osservanza, da parte del
sanitario, dell’obbligo di fornire al paziente le necessarie informazioni sul
bilancio tra rischi e vantaggi dell’intervento ne avrebbe con certezza
impedito l’esecuzione.
3.3.

Ne consegue che tale domanda risarcitoria, intervenuta al di fuori

dei termini processuali che regolano il giusto contraddittorio, si qualifica
come un’ inammissibile mutatio libelli anche sotto il regime del processo
civile vigente all’epoca dell’instaurazione della controversia, come tale
non sanabile, posto che l’accertamento della violazione dell’obbligo di
acquisire il «consenso informato» alla prestazione medica, effettuato
dal CTU nel corso del procedimento di primo grado, certamente non è
valso a determinare un’ implicita accettazione del contraddittorio su un
tema processuale che rappresenta un elemento di novità rispetto
all’iniziale tema del condendere.
7

non sussista in ipotesi una lesione della salute collegata a negligenza

3.4.

Il ricorso, pertanto, è infondato, con ogni ulteriore conseguenza in

merito alle spese di lite.
P.Q.M.

I.

Rigetta il ricorso, condannando il ricorrente alle spese di lite, liquidate
in C 2.100,00, oltre spese, pari a C 200,00, spese generali e contributi

II.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso , a norma del comma 1-bis,
dello stesso articolo 13;

Così deciso in Roma il 22/11/2017

di legge;

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