Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23519 del 20/09/2019

Cassazione civile sez. lav., 20/09/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 20/09/2019), n.23519

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6178/2015 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE

MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato ELIO VITALE, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente principale –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA GIUSEPPE MERCALLI 13 SC. C, presso lo studio dell’avvocato

PIERLUIGI GIAMMARIA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

e contro

P.A.;

– ricorrente principale –

intimato –

avverso la sentenza n. 8346/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 03/11/2014, R.G.N. 6380/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha accolto l’opposizione e, revocato il decreto ingiuntivo, ha condannato P.A. a corrispondere a R.F.I. s.p.a. la somma di Euro 2.252,77 oltre interessi legali. Il giudice di secondo grado ha evidenziato che la circostanza che l’attuale datore di lavoro del P. era Trenitalia s.p.a. era pacifica tra le parti. Ha poi sottolineato che il credito vantato da F.S. s.p.a. non era passato a Trenitalia poichè, come accertato dallo stesso Tribunale, all’atto della cessione del ramo di azienda, e del conseguente passaggio del rapporto di lavoro, il credito non era ancora divenuto liquido ed esigibile. Pertanto ne era divenuta titolare R.F.I. s.p.a. che era subentrata a F.S. s.p.a.. Ha accertato che il credito era assistito da adeguata prova scritta e che la società aveva offerta la prova che il lavoratore aveva effettivamente percepito le somme poi oggetto di ripetizione atteso che aveva agito esecutivamente e il giudice dell’esecuzione gliele aveva assegnate. Ha ritenuto infondata l’eccezione di prescrizione degli interessi sulle somme chieste in restituzione osservando che il termine, decennale e non quinquennale, non era ancora decorso nel 2008 quando gli interessi erano stati chiesti. Ha respinto la domanda di condanna al pagamento della rivalutazione monetaria evidenziando che questa non era stata chiesta con il decreto ingiuntivo. Quanto agli ulteriori interessi, li ha ritenuti dovuti sulla somma capitale e non sull’intero importo in quanto con il decreto ingiuntivo era stata chiesta la sorte e gli interessi fino a quel momento maturati.

2. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso P.A. affidato a tre motivi illustrati da memoria. Ha resistito con controricorso R.F.I. s.p.a. ed, in via incidentale, ha chiesto la riforma della sentenza con riguardo alla data di decorrenza della prescrizione decennale.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

3. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1321 c.c. e segg., artt. 1362 c.c. e segg., artt. 1372 e 2697 c.c. e degli artt. 81,100, 110,111 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti decisivi per il giudizio nonchè per illogicità e non congruità della motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

3.1. Sostiene il ricorrente che la Corte di merito avrebbe confuso la data del 28 marzo 2001, nella quale il Tribunale, giudice di appello ha riconosciuto il diritto alla restituzione della somma, con la data di insorgenza del diritto alla restituzione, coincidente invece con la riscossione della somma (il 17 ottobre 1989). Ugualmente avrebbe errato la Corte di appello nel ritenere che il credito era sorto dopo la cessione di ramo di azienda e, conseguentemente, che non potesse risultare dalle scritture contabili della società datrice di lavoro del P. (Trenitalia s.p.a.) escludendone la legittimazione passiva.

4. Con il secondo motivo di ricorso viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 1199,1321,1282,1362 c.c. e segg., artt. 1372,2033,2699,2700,2702,2714,2715,2697 e 2928 c.c., artt. 132,161,221 c.p.c., art. 327 c.p.c., comma 1, artt. 553 e 630 c.p.c. e dell’art. 119 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, oltre che l’insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione a fatti decisivi per il giudizio e l’illogicità e non congruità della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

4.1. Deduce il P. che la Corte di appello ha ritenuto sussistente la prova scritta del credito azionato col decreto ingiuntivo sebbene egli avesse eccepito, nel contestare l’esistenza stessa di una procedura esecutiva per conseguire le somme, che non era stata prodotta la sentenza di primo grado che aveva dato luogo all’esecuzione ed all’assegnazione, in sede esecutiva, della somma di cui, nel presente procedimento, era stata chiesta la ripetizione. Rileva che, peraltro, anche la sentenza di appello era stata prodotta senza la necessaria attestazione di conformità. Osserva che erroneamente la Corte di appello avrebbe ritenuto provata l’esecuzione, di cui il P. aveva contestato l’esistenza, attribuendo rilievo a documenti che non contenevano riferimenti alla specifica procedura e trascurando di considerare che l’invio di un precetto, di un pignoramento presso terzi e l’esistenza di una ordinanza di assegnazione di somme non erano state provate dalla società che ne era onerata. Evidenzia l’onere di eccepire la falsità dei documenti prodotti dalla società non incombeva sul lavoratore Si trattava infatti di documentazione inidonea ad offrire la prova dell’avvenuta percezione delle somme rivendicate in restituzione. Deduce che, invece, era onere della società dimostrare che il lavoratore le aveva ricevute e che, invece, la società non aveva depositato alcuna quietanza. Sottolinea l’illogicità e incongruità della motivazione della sentenza della Corte territoriale per avere ritenuto dimostrata la percezione delle somme all’esito dell’assegnazione con la quale si è conclusa la procedura esecutiva.

5. Le censure possono essere esaminate congiuntamente e preseentano vari profili di inammissibilità.

5.1. Va premesso in via generale che al ricorso trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che, nel testo riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione consente la denuncia dell’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Inoltre introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. Sez. U. 07/04/2014 n. 8053).

5.2. In questo quadro va rilevato che, sebbene nelle rubriche delle censure vengano dedotte violazioni delle norme in tema di adempimento delle obbligazioni, interessi sulle obbligazioni restitutorie, regole dell’interpretazione, efficacia dei contratti, ripetizione di indebito, efficacia probatoria degli atti pubblici e delle copie degli atti prodotti in giudizio, disposizioni in tema di distribuzione dell’onere della prova ed estinzione dell’obbligazione pecuniaria oggetto di assegnazione nell’ambito della procedura esecutiva, nei contenuti le doglianze propongono una nuova e più favorevole ricostruzione dei fatti che nel giudizio di legittimità non è consentita. Il giudice di appello, nel ricostruire il complesso iter che ha dato luogo all’assegnazione in sede esecutiva di somme, sulla base di un titolo successivamente annullato (da qui l’azione di ripetizione della società), ha motivatamente chiarito le ragioni per le quali l’obbligazione era sorta quando la cessione del ramo di azienda da FS s.p.a. a Trenitalia, e per l’effetto il trasferimento del rapporto di lavoro, era già intervenuta. Da tale accertamento ha tratto poi la coerente conclusione che, trattandosi di credito avente ad oggetto la restituzione di somme in esubero pagate dalla società cedente che è sorto successivamente alla cessione (per effetto della pronuncia del giudice che ha riformato la sentenza posta in esecuzione dal P.), questo non poteva risultare dalle scritture contabili al momento della cessione. Come ha correttamente osservato, e l’affermazione non può non essere condivisa, l’obbligazione restitutoria, sorta per effetto della

riforma della sentenza che aveva riconosciuto il diritto del P. alle somme cui questi aveva dato esecuzione, e dunque non se ne poteva trarre alcuna evidenza dalle scritture della società cedente. Non solo nella sostanza non è dedotta una violazione di legge ma inoltre neppure si possono ravvisare gli estremi del vizio di motivazione denunciato posto che i fatti sono stati tutti esaminati e la sentenza è sorretta da una motivazione, che, pur nella sua sinteticità, espone le ragioni che hanno convinto il Collegio della sussistenza della legittimazione di F.S. s.p.a. nell’azione di ripetizione oltre che della sua fondatezza eccezion fatta per la richiesta di rivalutazione ed interessi, la prima non spettante ed i secondi dovuti solo sulla somma capitale.

La Corte di merito ha accertato infatti che già nel contratto di affitto, e poi quindi nel contratto di cessione di ramo di azienda, ITF s.p.a., poi divenuta Trenitalia s.p.a., subentrava solo in debiti e crediti risultanti da scritture contabili e non in quelli che, pur relativi ad atti o fatti antecedenti l’affitto e poi la cessione non vi erano iscritti. Conseguentemente la sentenza ha, correttamente, escluso la legittimazione di Trenitalia a chiedere la restituzione delle somme pagate al lavoratore prima della cessione, avendo accertato che indebito era sorto solo con la sentenza di appello del Tribunale che aveva riformato la condanna di F.S. s.p.a. al pagamento delle somme in favore del P.. Fino a quella data non esisteva alcun pagamento indebito che, comunque, non era certo nel suo ammontare nè tanto meno liquido sicchè non poteva essere indicato nelle scritture contabili la cui produzione è stata correttamente ritenuta irrilevante dalla Corte di appello. Quanto alla mancata produzione di una quietanza attestante l’avvenuto pagamento delle somme poi chieste in restituzione, va rilevato che la sentenza, attraverso un ragionamento presuntivo indenne da errori poichè fondato su vari elementi indiziari precisi nel contenuto e tra loro convergenti, ha accertato che l’avvenuto pagamento era desumibile dall’assegnazione in sede esecutiva delle somme e dalla circostanza che successivamente nessuna ulteriore azione era stata coltivata dal lavoratore la cui obbligazione era stata evidentemente soddisfatta. Va in proposito qui ribadito che l’ordinanza di assegnazione del credito pignorato, emanata a seguito della positiva dichiarazione del terzo, rappresenta, per la sua natura liquidativa e satisfattiva, l’atto finale e conclusivo del procedimento di espropriazione verso terzi, che determina il trasferimento coattivo del credito pignorato dal debitore esecutato al creditore del medesimo, e il momento finale e l’atto giurisdizionale conclusivo del processo di espropriazione presso terzi. A tal fine non rileva il disposto dell’art. 2928 c.c., secondo il quale il diritto dell’assegnatario verso il debitore si estingue solo con la riscossione del credito assegnato, atteso che tale previsione non ha l’effetto di perpetuare la procedura esecutiva, la cui funzione è già stata assolta mediante l’assegnazione, ma ha solo effetti di diritto sostanziale, a maggior tutela del creditore, consentendogli, in caso di mancata riscossione, di intraprendere un nuovo procedimento esecutivo in base al medesimo titolo. (cfr. Cass. 03/08/2017 n. 19394, 07/06/2016 n. 11660, 19/03/2009 n. 6690, 05/09/2006 n. 19056). Grava perciò sul creditore, ove ne abbia interesse, dimostrare di non essere stato effettivamente pagato, sia per escutere l’originario debitore, che con l’assegnazione perde la disponibilità del credito, sia per intraprendere una nuova procedura esecutiva.

6. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta l’indebita condanna al pagamento degli interessi legali sulla somma chiesta in restituzione.

6.1. Sostiene il ricorrente che in violazione degli artt. 1282,1283,2946,2948 c.c. e dell’art. 112 c.p.c. e con motivazione insufficiente, contraddittoria, illogica e incongrua la Corte di merito ha ritenuto che il termine di prescrizione degli accessori decorresse dalla assegnazione del 1989 e che alla data del 2008 tale termine non fosse ancora decorso. Ritiene poi che comunque la sentenza non avrebbe indicato l’esatta data di decorrenza (giorno mese anno) della prescrizione dell’indebito e che si sarebbe fatto decorrere il termine dal provvedimento di assegnazione delle somme invece che, come era corretto, dalla percezione delle stesse. Ribadisce che il termine di prescrizione degli accessori sarebbe quinquennale e non decennale, come statuito dalla sentenza impugnata, e che, comunque, la sentenza del Tribunale che ha riformato la sentenza del Pretore non ha riconosciuto il diritto della società a percepire alcuna somma per sorte ed interessi. Conseguentemente il diritto a percepire gli interessi sulla somma da ripetere si sarebbe comunque prescritto.

7. La censura è infondata.

7.1. Va rammentato che l’azione di ripetizione di somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva, successivamente riformata in appello con sentenza confermata dalla Cassazione, non si inquadra nell’istituto della “condictio indebiti” (art. 2033 c.c.), dal quale differisce per natura e funzione, non venendo, tra l’altro, in rilievo gli stati soggettivi di buona o mala fede dell'”accipiens”, atteso che il diritto alla restituzione sorge direttamente in conseguenza della riforma della sentenza, la quale, facendo venir meno “ex tunc” e definitivamente il titolo delle attribuzioni in base alla prima sentenza, impone di porre la controparte nella medesima situazione in cui si trovava in precedenza. Pertanto, gli interessi legali devono essere riconosciuti dal giorno del pagamento e non da quello della domanda. (cfr. Cass. 05/08/2005 n. 16559 ed anche Cass. 18/06/2009 n. 14178 ed anche Cass. 10/07/2014 n. 15850 e 09/11/2015n. 22816). Va poi rilevato che, trattandosi della restituzione di una somma pagata in unica soluzione correttamente la durata della prescrizione è stata ritenuta decennale e, decorrendo dalla data di insorgenza del diritto alla restituzione delle somma pagata (con la sentenza di appello, il 28 marzo 2001, che ha riformato la statuizione di condanna del Pretore) e dunque, come correttamente accertato dalla Corte di appello, alla data del decreto ingiuntivo, il 5 agosto 2010 gli interessi sulla somma chiesta in restituzione non si erano ancora prescritti.

8. Quanto al ricorso incidentale della società questo deve essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse essendo stato proposto dalla parte vittoriosa in appello ed essendo diretto ad incidere solo sulla motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass. 16/01/2015 n. 658 e 24/03/2010n. 7057).

9. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso principale deve essere rigettato ed il ricorso incidentale deve essere dichiarato inammissibile. L’esito del giudizio giustifica la compensazione delle spese, mentre va dato atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principale ed incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis del citato D.P.R..

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale. Compensa le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2019

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