Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23518 del 20/09/2019

Cassazione civile sez. lav., 20/09/2019, (ud. 12/06/2019, dep. 20/09/2019), n.23518

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2215/2018 proposto da:

CONSORZIO DI BONIFICA BASSO IONIO REGGINO, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in VIA DI

RIPETTA, 142, VIA POSSIDONEA 46B, presso lo studio dell’avvocato

NATALE CARBONE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

CARMELA INFORTUNA;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLA

D’ALOISIO, LELIO MARITATO, EMANUELE DE ROSE, GIUSEPPE MATANO, ESTER

ADA SCIPLINO;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 653/2017 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 04/07/2017 R.G.N. 922/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/06/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito il P.M.,in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato NATALE CARBONE;

udito l’Avvocato ANTONINO SGROI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Si controverte dell’opposizione del Consorzio di Bonifica Basso Ionio Reggino a ventisette avvisi di addebito contenenti l’intimazione di pagamento di contributi previdenziali pretesi dall’Inps.

Il giudice del lavoro del Tribunale di Reggio Calabria accolse l’opposizione, mentre la Corte d’appello della stessa sede ha parzialmente accolto l’impugnazione dell’Inps, confermando la decisione gravata limitatamente alla statuizione relativa all’accertata decadenza procedimentale e non sostanziale di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 25, con riferimento alle pretese contributive diverse da quelle inerenti l’anno 2010, mentre in riforma della stessa sentenza ha condannato il predetto Consorzio al pagamento dell’importo complessivo di Euro 636.123,55.

Ha spiegato la Corte che l’Inps aveva prodotto diversi atti interruttivi della prescrizione indirizzati al soggetto debitore, ossia all’ente estinto (Consorzio di Bonifica Calabro Jonico Meridionale) nei cui rapporti attivi e passivi era subentrato l’ente appellato in forza della Delib. Regionale 28 luglio 2008, n. 526. Inoltre, i 27 avvisi di addebito oggetto di opposizione, nonchè gli avvisi di pagamento, erano stati recapitati nella sede del neo-costituito consorzio appellato che coincideva con quella dei Consorzi raggruppati, istituiti con D.M. n. 962 del 1957, fra i quali vi era quello disciolto, destinatario delle pretese contributive, al quale era succeduto il Consorzio di Bonifica del Basso Ionio Reggino.

Per la cassazione della sentenza ricorre il Consorzio di Bonifica Basso Ionio Reggino con tre motivi, illustrati da memoria, mentre per l’Inps vi è procura speciale in calce al ricorso notificato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente deduce l’erroneità della motivazione per omesso ed incompleto esame di un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5 e per violazione di norme di diritto con riferimento agli artt. 416 e 112 c.p.c., dolendosi del fatto che il collegio d’appello, nel riconoscere efficacia interruttiva della prescrizione agli atti prodotti dall’Inps, si è limitato, in realtà, ad effettuare una comparazione di mera forma tra ogni singolo avviso di addebito ed il relativo avviso di pagamento, senza tener conto della contestazione incentrata sulla eccepita mancanza, nei predetti atti interruttivi, di un codice identificativo degli avvisi di addebito cui poter riferire le diverse pretese contributive, per cui la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare il fatto decisivo rappresentato dal collegamento tra ciascun avviso ed i molteplici atti di pagamento.

2. Il motivo è infondato.

Invero, con valutazione di merito adeguata e niente affatto formale, la Corte d’appello ha rilevato che l’ente previdenziale aveva prodotto diversi atti interruttivi della prescrizione, ciascuno dei quali denominato “avviso di pagamento”, che inerivano a pretese contributive relative ai periodi (terzo e quarto trimestre del 2004, secondo trimestre del 2005, secondo trimestre del 2006, 2010) coincidenti con quelli già indicati nei ventisette avvisi di addebito oggetto di opposizione e per importi identici. Inoltre, dopo aver proceduto ad un’analitica comparazione fra i dati contenuti negli avvisi di addebito e quelli riportati negli avvisi di pagamento, prodotti dall’Inps quali atti interruttivi della prescrizione, la Corte di merito è pervenuta alla conclusione che sussisteva un collegamento tra i dati riportati nelle due diverse tipologie di documenti di cui innanzi. A riprova di ciò la Corte d’appello ha evidenziato che lo stesso Consorzio opponente aveva distinto nell’atto introduttivo del giudizio i 27 avvisi di addebito prodotti come allegati in cinque tipologie (da 1 a 6; da 7 a 21; 22; 23; da 24 a 26; 27) a seconda del periodo contributivo preso in esame, tanto che l’Inps, nella memoria di cui all’art. 416 c.p.c., aveva facilitato il compito producendo gli avvisi di pagamento, quali atti interruttivi, suddivisi in relazione a ciascuno dei predetti cinque periodi contributivi.

3. Infine, quanto alla deduzione secondo la quale gli avvisi di addebito non contenevano l’indicazione dei criteri dai quali poter desumere la quantificazione dei crediti contributivi, la Corte d’appello ha esattamente rilevato che la norma di cui al D.L. n. 78 del 2010, art. 30, comma 2, sulla struttura dell’avviso di addebito si limita a richiedere il periodo di riferimento del credito, la causale dello stesso e gli importi ripartiti tra capitale ed accessori, senza prescrivere ulteriori requisiti. In ogni caso, ha aggiunto la Corte, la deduzione della difesa del Consorzio era totalmente generica e neppure era stato allegato il fatto costitutivo del diritto con riferimento a quelli che apparivano essere degli sgravi contributivi collegati alle presunte caratteristiche dei territori ove operava il Consorzio stesso.

4. Tra l’altro, con la sentenza n. 8053 del 7/4/2014 delle Sezioni Unite di questa Corte, si è precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Invero, si è affermato (Cass. Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053) essersi avuta, con la riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in se, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile. Ma è evidente che nella specie la valutazione operata dalla Corte territoriale in ordine alla identificazione degli atti interruttivi della prescrizione non è affetta da alcuna di queste ultime anomalie, avendo il giudice d’appello espresso in modo chiaro e comprensibile i motivi a sostegno del suo convincimento.

5. Col secondo motivo il ricorrente lamenta l’erroneità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, deducendo le seguenti violazioni: – Violazione e falsa applicazione degli artt. 416,421 e 437 c.p.c.; violazione degli artt. 2943 c.c. e segg.; falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9.

Attraverso tale motivo il ricorrente contesta la decisione della Corte di merito di ritenere sussistente l’interruzione della prescrizione del diritto fatto valere dall’Inps, deducendone l’erroneità per il fatto di aver ritenuto che le note di messa in mora indirizzate ad un soggetto diverso e da questi ricevute, vale a dire il Consorzio di Bonifica Raggruppati della Provincia di Reggio Calabria (seppur ubicato nello stesso plesso alla (OMISSIS)), potessero valere ad interrompere la prescrizione, sia nei confronti del Consorzio di Bonifica del Versante Jonico Meridionale (soppresso nel 2008), sia nei riguardi del nuovo ente a quest’ultimo succeduto (odierno ricorrente).

6. Col terzo motivo si censura l’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione del principio dell’onere della prova, degli artt. 416,421 c.p.c. e art. 437 c.p.c., comma 2, del principio del giusto processo ex art, 111 Cost. e dell’art. 6 della CEDU (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), denunziandosi l’utilizzo improprio dei poteri istruttori d’ufficio da parte della Corte d’appello che avrebbe, in tal modo, sopperito alla negligenza difensiva dell’Inps, consentendogli integrazioni probatorie ultronee con riferimento alla dedotta sussistenza di atti interruttivi della prescrizione. Inoltre, si evidenzia che il soggetto diverso dal debitore, al quale era stato notificato il preteso atto interruttivo, non aveva mai avuto la legale rappresentanza dell’attuale Consorzio.

7. Il secondo ed il terzo motivo, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

Invero, la Corte territoriale ha chiaramente spiegato, con motivazione sottratta ai rilievi di legittimità, che sia dalla documentazione prodotta dall’ente previdenziale, sia dalla sentenza di primo grado, (sul punto non erano state riproposte censure ex art. 346 c.p.c.), era emerso che i diversi atti interruttivi della prescrizione erano stati indirizzati al debitore, ovvero all’ente estinto (Consorzio di Bonifica Calabro Jonico Meridionale), al quale era poi subentrato l’appellato Consorzio di Bonifica Basso Jonio Reggino, in virtù della Delib. Giunta Regionale 28 luglio 2008, n. 526. La stessa Corte ha poi accertato, attraverso indagine di fatto condotta su documentazione acquisita d’ufficio, che il disciolto Consorzio di cui sopra, destinatario delle pretese Inps, al quale era poi succeduto l’odierno ricorrente nei rapporti attivi e passivi, era ricompreso nei Consorzi Raggruppati, istituiti con D.M. n. 962 del 1957, e che la sede di tali Consorzi era ubicata in (OMISSIS) alla (OMISSIS), cioè la stessa sede assegnata dalla Regione Calabria al neo-costituito Consorzio, attuale ricorrente. Inoltre, in tale sede erano stati recapitati nel 2012, senza alcuna opposizione quanto alla ritualità della comunicazione, i ventisette avvisi di addebito, nonchè gli avvisi di pagamento di cui trattasi. Infine, la Corte territoriale ha accertato che i Consorzi Raggruppati avevano come finalità istituzionale quella di perseguire l’espletamento delle pratiche tecniche ed amministrative dei singoli Consorzi, rivestendo, quindi, il ruolo di ente servente rispetto alle esigenze di carattere amministrativo dei vari consorzi, comprensivo di poteri di rappresentanza, per cui un tale collegamento non poteva non avere la sua rilevanza anche in ordine all’efficacia interruttiva degli atti di messa in mora pervenuti nella stessa sede.

8. Quanto al lamentato esercizio dei poteri istruttori in relazione alla verifica dell’interruzione della prescrizione si osserva che questa Corte (Cass. sez. 6-L, Ord. n. 14755 del 7.6.2018) ha statuito che “L’eccezione di interruzione della prescrizione, diversamente da quella di prescrizione, si configura come eccezione in senso lato sicchè può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice, in qualsiasi stato e grado del processo, purchè sulla base delle allegazioni e di prove ritualmente acquisite o acquisibili al processo e quindi, nelle controversie soggette al rito del lavoro, anche all’esito dell’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio di cui all’art. 421 c.p.c., comma 2, legittimamente esercitabili dal giudice, tenuto all’accertamento della verità dei fatti rilevanti ai fini della decisione, ancor più nelle controversie in cui, venendo in considerazione la scissione oggettiva tra ente impositore e concessionario della riscossione, può rilevare l’acquisizione da quest’ultimo di ogni documento relativo ad atti della procedura di riscossione da cui derivino conseguenze di rilievo nei rapporti tra creditore e debitore, con il solo limite dell’avvenuta allegazione dei fatti. (in senso conf. v. Sez. L., Ord. n. 9226 del 13.4.2018 e Sez. lav. sentenza n. 16542 del 14.7.2010).

9. Inoltre, essendo gli avvisi addebito e di pagamento atti di natura stragiudiziale aventi efficacia interruttiva della prescrizione, trova applicazione la norma di cui all’art. 1335 c.c., in base alla quale la dichiarazione diretta ad una determinata persona si reputa conosciuta nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario, se questi non prova di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia.

Si è, infatti, affermato (Sez. 6-3, Ordinanza n. 6725 del 19.3.2018) che “L’atto stragiudiziale di costituzione in mora del debitore, anche al fine dell’interruzione della prescrizione, inviato al debitore con raccomandata a mezzo del servizio postale, si presume giunto a destinazione – sulla base dell’attestazione della spedizione da parte dell’ufficio postale, pur in mancanza dell’avviso di ricevimento -; tuttavia, qualora il destinatario contesti il fatto stesso della ricezione di alcunchè sorge in capo al mittente l’onere della prova del detto ricevimento” (conf. a Sez. L., n. 10849 dell’11.5.2006; v. altresì in tal senso Sez. 6-1, Ordinanza n. 15762 del 24.6.2013).

Al riguardo si è, altresì, precisato (Sez. 6-3, Ordinanza n. 12480 del 21.5.2013) che “In tema d’interruzione della prescrizione, tanto l’atto giudiziale, di cui ai primi tre commi dell’art. 2943 c.c., quanto l’atto stragiudiziale, di cui all’ultimo comma dello stesso articolo, postulano, ai fini della produzione dell’effetto interruttivo, la conoscenza dell’atto – non necessariamente effettiva, essendo sufficiente la conoscenza legale (artt. 1334,1335 c.c., artt. 137 c.c. e segg.) – da parte del destinatario”.

10. In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo.

Ricorrono i presupposti per la condanna del ricorrente al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese nella misura di Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 12 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2019

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