Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23512 del 09/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 09/10/2017, (ud. 20/06/2017, dep.09/10/2017),  n. 23512

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10168-2012 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIALE

MAZZINI 134 presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.R., C.F. (OMISSIS);

– intimata –

nonchè da:

P.R., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato GIANNI EMILIO

IACOBELLI, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 3136/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/04/2011 R.G.N. 6767/08;

Fatto

RILEVATO

he la Corte di appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da Poste Italiane s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che in accoglimento del ricorso proposto da P.R. aveva accertato la nullità del termine apposto al contratto intercorso con Poste Italiane s.p.a. nel periodo 2 aprile 31 maggio 2001 e concluso ai sensi dell’art. 25 del c.c.n.l. del 2001 condannandola al risarcimento del danno liquidato nelle retribuzioni maturate e non erogate dalla messa in mora al ripristino del rapporto. La Corte di merito pur non condividendo le ragioni che avevano determinato il giudice di primo grado a dichiararè la nullità del termine apposto al contratto ha tuttavia verificato che la società datrice non aveva offerto la prova, che su di lei incombeva, dell’avvenuto rispetto della clausola di contingentamento la cui eccezione era stata ritualmente proposta in primo grado e reiterata in appello. Ha rigettato la richiesta di applicazione dello jus superveniens, L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, evidenziando che la statuizione risarcitoria della sentenza di primo grado non era stata specificatamente impugnata dalla società datrice di lavoro.

Che per la cassazione della sentenza ricorre Poste Italiane s.p.a. che articola cinque motivi ai quali resiste P.R. con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato, per il caso di accoglimento del ricorso principale, con il quale chiede alla Corte di accertare la illegittimità del termine apposto al secondo contratto intercorso tra le parti il 2 maggio 2002 stipulato ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, il cui esame era rimasto assorbito dall’accoglimento delle censure mosse al primo e più risalente contratto.

Che parte controricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

Che il primo motivo di ricorso, con il quale è denunciata la violazione dell’art. 1372 c.c., comma 1, artt. 1175,1375,2697,1427 e 1431 c.c. ed art. 100 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, va interpretato piuttosto come denuncia di nullità della sentenza per omessa pronuncia sulla censura che si assume essere stata mossa alla sentenza di primo grado che a sua volta avrebbe omesso di pronunciare sull’eccezione di risoluzione per mutuo consenso del rapporto formulata all’atto della costituzione in primo grado. Tuttavia la censura, pur così riqualificata in considerazione del fatto che la sentenza di appello nulla dice sulla risoluzione per mutuo consenso, tuttavia deve essere comunque dichiarata inammissibile poichè non si conforma ai principi dettati dalle sezioni unite di questa Corte con riguardo ai presupposti minimi di ammissibilità del ricorso per cassazione in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (cfr. Cass. s.u. 22/05/2012 n. 8077). Pertanto la ricorrente avrebbe dovuto denunciare l’omessa pronuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e comunque specificare in che termini la questione era stata posta in primo grado come era stata decisa dal Tribunale e per quali profili la questione era stata riproposta al giudice di appello anche indicando dove, negli atti, riscontrare le affermazioni contenute nel ricorso. In mancanza di tali specifiche indicazioni la censura non supera il vaglio di ammissibilità.

Che del pari sono infondate le censure che investono il capo della decisione con il quale la Corte di merito ha ritenuto disatteso da parte di Poste Italiane s.p.a. l’onere di provare il rispetto della clausola di contingentamento (secondo, terzo e quarto motivo). Contrariamente a quanto affermato dalla società questa Corte ha ripetutamente ribadito che in tema di clausola di contingentamento dei contratti di lavoro a termine di cui alla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, l’onere della prova dell’osservanza del rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine previsto dalla contrattazione collettiva, da verificarsi necessariamente sulla base dell’indicazione del numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, è a carico del datore di lavoro, sul quale incombe la dimostrazione, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 3, dell’oggettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro. E’ sul datore di lavoro che grava l’onere di provare il rispetto delle percentuali di assunzioni di lavoratori a termine stabilite dalla contrattazione collettiva (cfr. per tutte Cass. 10/03/2015 n. 4764). In conclusione deve essere confermata l’accertata illegittimità del termine apposto al primo dei due contratti con conseguente assorbimento dell’esame del ricorso incidentale proposto in via condizionata alla declaratoria della sua legittimità.

Che con riguardo alla chiesta applicazione dello jus superveniens dettato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, invece, il ricorso è fondato alla luce dell’insegnamento di questa Corte che ha ritenuto che tale disposizione trova applicazione a tutti i giudizi pendenti, ivi compreso il giudizio di legittimità a condizione che sul punto non si sia formato il giudicato. Nel caso di specie poichè in appello era stato impugnato il capo della sentenza concernente l’illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro, non è configurabile il giudicato sul capo concernente le conseguenze risarcitorie, legato al primo da un nesso di causalità imprescindibile, atteso che, in base al combinato disposto dell’art. 329 c.p.c., comma 2, e art. 336 c.p.c., comma 1, l’impugnazione nei confronti della parte principale della decisione impedisce la formazione del giudicato interno sulla parte da essa dipendente (cfr. Cass. 27/10/2016 n. 21691).

Che pertanto l’ultimo motivo di ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, determinerà in concreto l’indennità spettante alla lavoratrice, per il periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento che ha ordinato la ricostituzione del rapporto (cfr. Cass. n. 14461 del 2015), con interessi e rivalutazione da calcolarsi dalla data della sentenza dichiarativa dell’illegittimità del termine (Cass. n. 3062 del 2016), oltre che per la regolamentazione delle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.

PQM

 

La Corte accoglie l’ultimo motivo di ricorso, inammissibile il primo, rigettati gli altri ed assorbito l’esame del ricorso incidentale condizionato. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 20 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2017

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