Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23510 del 09/10/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 09/10/2017, (ud. 04/05/2017, dep.09/10/2017),  n. 23510

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18294-2015 proposto da:

IBM ITALIA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LEONE IV 99, presso lo studio

dell’avvocato CARLO FERZI, che la rappresenta e difende unitamente

agli avvocati ROMOLO STANCHI, VINCENZO STANCHI e ANDREA NICOLO’

STANCHI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso lo studio dell’avvocato RICCARDO FARANDA, che lo rappresenta

e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7488/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/10/2014, R. G. N. 1771/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/05/2017 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA MARIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato PAOLO PIZZUTI per delega verbale ROMOLO STANCHI;

udito l’Avvocato RICCARDO FARANDA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 15 ottobre 2014, la Corte d’appello di Roma rigettava le domande di accertamento di illegittimità delle sanzioni disciplinari comminate da IBM Italia s.p.a. a P.M. il 7 ottobre 2004, il 10 giugno e il 14 luglio 2005; dichiarava illegittimo il licenziamento intimato dalla prima alla seconda il 16 novembre 2005 e condannava la società datrice all’immediata reintegrazione della dipendente nel posto di lavoro occupato e al pagamento, in suo favore a titolo risarcitorio, di somma pari alle mensilità retributive globali di fatto previste per il 6^ livello CCNL metalmeccanici maturate dalla data di licenziamento a quella di effettiva reintegrazione e al versamento dei relativi contributi assistenziali e previdenziali, oltre accessori di legge al netto dei redditi di lavoro percepiti negli anni dal 2005 al 2014: così parzialmente riformando la sentenza di primo grado, che aveva accertato il diritto della lavoratrice all’inquadramento nel 6 livello CCNL metalmeccanici e al pagamento (con coerente condanna datoriale) delle differenze retributive spettanti, annullato le sanzioni disciplinari del 7 ottobre 2004 e 14 luglio 2005 e dichiarato illegittimo il licenziamento, peraltro convertito dalla causale per giusta causa a disciplinare con preavviso, con la condanna della società datrice alla corresponsione della relativa indennità di mancato preavviso.

Per quanto ancora rileva per le questioni qui devolute, la Corte territoriale riteneva in particolare illegittimo il licenziamento intimato per violazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 in conseguenza della lesione del diritto di difesa della lavoratrice, non previamente sentita dalla società datrice, nonostante la richiesta in data compatibile con il proprio stato di certificata malattia; essa liquidava quindi il danno risarcibile con detrazione dell’aliunde perceptum nei limiti documentati.

Con atto notificato il 21 luglio 2015, la società ricorreva per cassazione con due motivi, cui resisteva la lavoratrice con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 anche in relazione all’art. 23 CCNL metalmeccanici del 7 maggio 2003 e dell’art. 2697 c.c., per omessa verifica dell’effettiva ragione di impossibilità della lavoratrice di essere sentita entro i cinque giorni prescritti dalla norma contrattuale collettiva, essendosi ella (nella rappresentata condizione di malattia il penultimo giorno dalla suddetta scadenza e convocata ultimativamente per il giorno successivo) limitata alla insufficiente allegazione di un certificato medico.

2. Con il secondo, la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 2 e art. 2697 c.c., per insufficiente documentazione dell’aliunde perceptum detraibile dal risarcimento del danno liquidato, per la parzialità della documentazione prodotta dalla lavoratrice, in esito a ordine di esibizione giudiziale, esclusivamente relativa a redditi assoggettati a ritenute d’acconto (certificazioni Inps e dei redditi), senza alcuna dimostrazione della sua fattiva ricerca di una nuova occupazione, tenuto conto dell’ampia richiesta in quegli anni dalle aziende di competenze informatiche, da lei possedute.

3. Il primo motivo, relativo a violazione o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 7 anche in relazione all’art. 23 CCNL metalmeccanici del 7 maggio 2003 e dell’art. 2697 c.c., per mancata verifica dell’effettiva ragione di impossibilità della lavoratrice di essere sentita entro i cinque giorni prescritti, è infondato.

3.1. E’ noto che, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 7 in caso di irrogazione di licenziamento disciplinare e salvo che la richiesta del lavoratore di differimento dell’audizione sia giustificata da una possibilità di presenziare meramente disagevole o sgradita, sussiste l’obbligo per il datore di lavoro di accoglierla soltanto se essa risponda ad un’esigenza difensiva non altrimenti tutelabile (Cass. 31 marzo 2011, n. 7493; Cass. 7 maggio 2015, n. 9223). Sicchè, il lavoratore ha diritto, qualora ne abbia fatto richiesta, ad essere sentito oralmente dal datore di lavoro, così intendendo il primo esercitare il proprio diritto di difesa e il secondo avendone l’obbligo correlativo: e l’accertamento, in ordine alla compatibilità delle modalità di convocazione del lavoratore con i principi di buona fede e lealtà contrattuale, è rimesso al giudice di merito, la cui valutazione è insindacabile se congruamente motivata (Cass. 16 ottobre 2013, n. 23528).

3.2. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha operato un tale accertamento, insindacabile nell’odierna sede di legittimità, avendo essa ritenuto ingiustificato il rifiuto opposto dalla società datrice alla richiesta di differimento dell’audizione (tempestivamente ricevuta: Cass. 9 maggio 2012, n. 7096), per impossibilità della dipendente a presenziare in ragione di uno stato di malattia debitamente certificato (come illustrato ai primi tre capoversi di pg. 6 della sentenza).

Nè detta condizione autorizza il datore di lavoro ad ometterne l’audizione, posto che il conseguente ritardo nell’intimazione del licenziamento disciplinare non lo rende tardivo (Cass. 4 aprile 2006, n. 7848; Cass. 11 giugno 2009, n. 13596).

4. Il secondo motivo, relativo a violazione o falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 2 e art. 2697 c.c., per insufficiente documentazione dell’aliunde perceptum detraibile dal risarcimento del danno liquidato e mancata dimostrazione dalla lavoratrice di fattiva ricerca di una nuova occupazione, è parimenti infondato.

4.1. La deduzione della percezione di altri redditi per effetto di una nuova occupazione ovvero della colpevole astensione da comportamenti idonei ad evitare l’aggravamento del danno, non è oggetto di una specifica disposizione di legge che ne faccia riserva in favore della parte. Pertanto, allorquando vi sia stata rituale allegazione dei fatti rilevanti e gli stessi possano ritenersi incontroversi o dimostrati per effetto di mezzi di prova legittimamente disposti, il giudice può trarne d’ufficio (anche nel silenzio della parte interessata ed anche se l’acquisizione possa ricondursi ad un comportamento della controparte) tutte le conseguenze cui essi sono idonei ai fini della quantificazione del danno lamentato dal lavoratore illegittimamente licenziato. In particolare, ai fini della sottrazione dell’aliunde perceptum dalle retribuzioni dovute al lavoratore, è onere del datore di lavoro fornire la prova, non soltanto del fatto che il lavoratore licenziato abbia assunto nel frattempo una nuova occupazione, ma anche di quanto egli abbia percepito: essendo questo il fatto che riduce l’entità del danno presunto (Cass. 26 ottobre 2010, n. 21919; Cass. 10 aprile 2012, n. 5676; Cass. 1 settembre 2015, n. 17368).

Sicchè, nessun onere probatorio inadempiuto può essere addebitato alla lavoratrice in proposito.

3. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e distrazione al difensore antistatario secondo la sua richiesta.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge, con distrazione al difensore antistatario.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2017

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