Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23509 del 26/08/2021

Cassazione civile sez. VI, 26/08/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 26/08/2021), n.23509

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. PONTERIO Carla – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13718-2019 proposto da:

R.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SISTINA 121,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNA CORRIAS LUCENTE,

rappresentata e difesa dall’avvocato SERGIO TURTURIELLO;

– ricorrente –

contro

ASL (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso la Sede di

Rappresentanza, rappresentata e difesa dall’avvocato EDUARDO

MARTUCCI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5602/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 02/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CARLA

PONTERIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’appello di Napoli ha accolto l’appello dell’Azienda Sanitaria Locale (OMISSIS) e, in riforma della decisione di primo grado, ha respinto la domanda di R.C., diretta ad ottenere la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato alle dipendenze dell’Azienda, quale collaboratore professionale sanitario, profilo di fisioterapista, con conseguente ordine di immissione in servizio;

2. la Corte territoriale, per quanto ancora rileva, respinta l’eccezione di inammissibilità dell’appello, ha dato atto che la R. aveva partecipato alla procedura di stabilizzazione del personale precario del servizio sanitario regionale di cui alla L.R. n. 1 del 2008, art. 81, modificato dalla L.R. n. 5 del 2008; che tale procedura si era svolta con la predisposizione di appositi elenchi, previa presentazione delle domande da parte degli interessati, e con la nomina di una apposita commissione; che con Delib. 10 giugno 2010, n. 722, erano state approvate cinque graduatorie e la R., inserita in una delle graduatorie, aveva ricevuto dall’Asl un telegramma del (OMISSIS) per la scelta della sede e la presentazione dei documenti;

3. ha aggiunto che con successivo telegramma del (OMISSIS) l’Asl aveva comunicato alla R. la sospensione della immissione in servizio e, successivamente, con nota del (OMISSIS), la revoca delle precedenti delibere per mancata autorizzazione del Commissario ad acta; questi, infatti, con Decreto 30 settembre 2010, n. 56, aveva sospeso il Decreto commissariale 26 marzo 2010, n. 22, in attuazione del quale era stata adottata la Delib. aziendale n. 722 del 2010, di approvazione delle cinque graduatorie; con successivo Decreto 22 ottobre 2010, n. 61, il Commissario ad acta, a modifica del precedente Decreto n. 56 del 2010, aveva sancito il divieto assoluto per le aziende sanitarie della Regione Campania di procedere ad assunzioni di personale, sia a tempo indeterminato che a tempo determinato, fino al (OMISSIS);

4. i giudici di appello, premesso che i processi di stabilizzazione sono effettuati nei limiti delle disponibilità finanziarie e nel rispetto delle dotazioni organiche e di programmazione triennale dei fabbisogni, come disposto dal D.Lgs. n. 156 del 2001, art. 6, e dal D.M. 30 aprile 2007, n. 7, hanno escluso che l’inserimento della appellata in graduatoria e l’invio di un telegramma per la scelta della sede potesse valere quale comportamento concludente ai fini della costituzione del rapporto di lavoro, in mancanza della sottoscrizione del contratto e della presentazione della documentazione, adempimenti a cui, secondo lo stesso telegramma, era espressamente subordinata l’assunzione;

5. avverso tale sentenza R.C. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi; l’Asl (OMISSIS) ha resistito con controricorso;

6. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

7. con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 342 e 434 c.p.c., per avere la Corte di merito respinto l’eccezione di inammissibilità dell’appello benché redatto senza i requisiti richiesti dalle citate disposizioni e attraverso la pedissequa reiterazione degli argomenti difensivi svolti dall’Asl nella comparsa di costituzione in primo grado;

8. col secondo motivo è denunciata violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e della L.R. Campania n. 1 del 2008, art. 81, e successive modifiche;

9. si afferma che i giudici dii appello non avrebbero considerato che il Decreto 26 marzo 2010, n. 22, aveva disposto la stabilizzazione dei precari ai sensi del citato art. 81; che con atto del 7.7.2010 della Giunta Regionale Campania, a firma del Direttore di Settore, erano state autorizzate le assunzioni del personale precario di cui alla Delib. n. 722 del 2010; che in tale momento, in uno con l’invio del telegramma per la scelta della sede e per concordare l’inizio della prestazione, doveva considerarsi costituito il rapporto di lavoro; che il Decreto 22 ottobre 2010, n. 56 e il Decreto 22 ottobre 2010, n. 62, erano successivi al perfezionamento del diritto all’assunzione e incapaci di incidere sullo stesso;

10. il primo motivo di ricorso è infondato;

11. sul tema della inammissibilità dell’appello, le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 27199 del 2017) hanno affermato il seguente principio di diritto: “Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata”.

12. la sentenza appena citata ha sottolineato che “i giudici di secondo grado sono chiamati ad esercitare tutti i poteri tipici di un giudizio di merito, se del caso svolgendo la necessaria attività istruttoria, senza trasformare l’appello in una sorta di anticipato ricorso per cassazione. La diversità tra il giudizio di appello e quello di legittimità va fermamente ribadita proprio alla luce della portata complessiva della riforma legislativa del 2012 la quale… mentre ha introdotto un particolare filtro che può condurre all’inammissibilità dell’appello a determinate condizioni (artt. 348-bis e 348-ter c.p.c.), ha nel contempo ristretto le maglie dell’accesso al ricorso per cassazione per vizio di motivazione; il che impone di seguire un’interpretazione che abbia come obiettivo non quello di costruire un’ulteriore ipotesi di decisione preliminare di inammissibilità, bensì quello di spingere verso la decisione nel merito delle questioni poste”.

13. ciò sul rilievo che costituisce “regola generale quella per cui le norme processuali devono essere interpretate in modo da favorire, per quanto possibile, che si pervenga ad una decisione di merito, mentre gli esiti abortivi del processo costituiscono un’ipotesi residuale”, in coerenza con i principi affermati dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo secondo cui le limitazioni all’accesso ad un giudice sono consentite solo in quanto espressamente previste dalla legge ed in presenza di un rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito (cfr. sentenza CEDU 24 febbraio 2009, in causa C.G.I.L. e Cofferati contro Italia; Cass., S.U., n. 10878 del 2015)”.

14. l’esame dei motivi di appello, integralmente trascritti dall’Asl nel controricorso, rivela D’insussistenza del vizio denunciato. Le critiche e le censure mosse dall’Azienda col ricorso in appello erano formulate in maniera conforme ai requisiti di ammissibilità dell’impugnazione come delineati dalle sentenze sopra richiamate, in modo da indicare con precisione il quantum appellato e le questioni sottoposte all’esame dei giudici di secondo grado, non richiedendosi la prospettazione di un progetto alternativo di decisione;

15. la Corte d’appello ha infatti respinto l’eccezione rilevando che “l’atto, nel suo complesso, contiene una specifica censura avverso la ricostruzione dei fatti, come dedotti in primo grado e condivisa dal giudicante, negando in radice l’obbligo dell’Asl di assumere il personale precario e la sussistenza, rilevata dal Tribunale, di comportamenti concludenti in tal senso, stante la mancata stipula del contratto individuale di lavoro a causa della mancata autorizzazione da parte della Regione Campania”; d’altra parte, i requisiti necessari ai fini della ammissibilità del ricorso in appello” non essendo necessarie formule sacramentali, ben possono essere soddisfatti attraverso la reiterazione delle difese svolte in primo grado, ove ciò sia sufficiente e svolgere una sostanziale critica alla decisione del primo giudice;

16. neppure il secondo motivo di ricorso può trovare accoglimento;

17. quanto alle censure di violazione di legge, per difetto di adeguata specificità; occorre infatti considerare che, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il vizio va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 dei 2012);

18. le censure mosse da parte ricorrente non individuano specifiche statuizioni della sentenza impugnata in contrasto con la citata L.R., art. 81, ma si limitano a riproporre l’assunto della avvenuta costituzione del rapporto di lavoro prima della revoca, senza neanche replicare ai rilievi contenuti nella sentenza impugnata in ordine alla mancata sottoscrizione del contratto, prevista quale condizione necessaria per l’assunzione;

19. la decisione della Corte di merito risulta conforme ai principi espressi da questa S.C., secondo cui la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 519, non ha attribuito un diritto soggettivo all’assunzione a tutto il personale precario delle pubbliche amministrazioni, bensì, ha solo “inteso avviare un processo virtuoso di graduale riassorbimento di tale precariato con instaurazione di stabili rapporti di lavoro a tempo indeterminato” (Cass. n. 6868 del 2015), processo necessariamente condizionato dal rispetto delle disponibilità finanziarie e della necessaria predeterminazione del fabbisogno di personale, nonché dal possesso da parte dell’aspirante alla stabilizzazione dei requisiti necessari per l’accesso all’impiego pubblico (v. Cass. S.U. n. 19166 del 2017);

20. nessuna delle censure si inserisce nel perimetro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non essendo allegato l’omesso esame di un fatto, inteso in senso storico fenomenico, e che abbia rilievo decisivo ai fini della controversia;

21. per le considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto;

22. le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo;

23. si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.200,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2021

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