Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23506 del 18/11/2016

Cassazione civile sez. trib., 18/11/2016, (ud. 19/10/2016, dep. 18/11/2016), n.23506

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17331/2012 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIA VAL D’ALA 10,

presso lo studio dell’avvocato FRANCO DELL’ERBA, che lo rappresenta

e difende giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

EQUITALIA POLIS SPA, in persona del Responsabile Agenzia della

Provincia di Benevento pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA CORSO TRIESTE 8 C/O STUDIO LEGALE RECCHIA ED ASSOCIATI, presso

lo studio dell’avvocato SILVIO BOZZI, rappresentato e difeso

dall’avvocato RENATO MARIA CAPOCASALE giusta delega in calce;

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 18/2012 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 13/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/10/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito per i controricorrenti l’Avvocato OLIVETI per delega

dell’Avvocato CAPOCASALE che si riporta agli atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO E MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. P.A. propone due motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 18/32/12 del 13 gennaio 2012 con la quale la commissione tributaria regionale di Napoli, a conferma della prima decisione, ha ritenuto infondato il ricorso da lui proposto avverso l’avviso di mora, notificatogli da Equitalia Polis, con intimazione di pagamento e comunicazione di iscrizione ipotecaria D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 77, in relazione a cartella di pagamento per Irpef ed Ilor 1998.

In particolare, ha ritenuto la commissione tributaria regionale la validità dell’avviso di mora in oggetto, in quanto preceduto da regolare notificazione della cartella di pagamento; contenente, quest’ultima, gli estremi della pretesa tributaria con riguardo a precedente sentenza CTR n. 280/48/99.

Resistono con controricorso l’agenzia delle entrate ed Equitalia Sud.

Il Collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata.

p. 2. Con il primo motivo di ricorso il P. lamenta violazione ed erronea applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, comma 1 e art. 137 c.p.c. e segg.; per avere la commissione tributaria regionale ritenuto regolarmente eseguita la notificazione della cartella di pagamento prodromica all’avviso di mora impugnato, nonostante che quest’ultima risultasse notificata a mani di tal P.A., qualificatasi “sorella” ma, in realtà, non “persona di famiglia o addetta alla casa, all’ufficio o all’azienda”; nè l’agente postale aveva fatto sottoscrivere l’avviso di ricevimento a tale consegnataria.

Il motivo è infondato.

Va premesso che l’avviso di mora in oggetto è stato impugnato in quanto asseritamente non preceduto dalla notificazione della cartella di pagamento; il che, secondo la prospettazione del contribuente, ne avrebbe caducato ogni effetto, anche in ordine all’intervenuta iscrizione ipotecaria. Anche il ricorrente aderisce alla ricostruzione della controversia in questi termini, osservando egli stesso che “tutta la questione del contendere si riduce, sostanzialmente, alla verifica della legittimità ed alla correttezza del procedimento di notificazione della cartella di pagamento in parola”.

Orbene, la cartella di pagamento, come osservato dal giudice di merito, è stata qui notificata il 29 dicembre 2000 a mani di P.A., qualificatasi “sorella” del ricorrente.

Quest’ultimo, d’altra parte, contesta non la veridicità del fatto che la consegnaria del plico si sia così qualificata all’agente postale notificante all’atto della compilazione dell’avviso di ricevimento, bensì la veridicità di quanto dichiarato dalla donna.

Da questo punto di vista, l’attestazione in oggetto non era assistita da fede privilegiata, ma soltanto da una presunzione relativa di verità suscettibile di prova contraria da parte del destinatario, al quale il plico non sarebbe mai stato consegnato.

Senonchè, pur nella libertà di tale prova, è principio consolidato che “in tema di notificazioni, la consegna dell’atto da notificare a persona di famiglia, secondo il disposto dell’art. 139 c.p.c., non postula necessariamente nè il solo rapporto di parentela – cui è da ritenersi equiparato quello di affinità – nè l’ulteriore requisito della convivenza del familiare con il destinatario dell’atto, non espressamente menzionato dalla norma; risultando, all’uopo, sufficiente l’esistenza di un vincolo di parentela o di affinità che giustifichi la presunzione che la persona di famiglia consegnerà l’atto al destinatario stesso; resta, in ogni caso, a carico di colui che assume di non aver ricevuto l’atto l’onere di provare il carattere del tutto occasionale della presenza del consegnatario in casa propria, senza che a tal fine rilevino le sole certificazioni anagrafiche del familiare medesimo” (Cass. 21362/10).

Dal che si evince che le argomentazioni e le prove offerte dal P. – relative alla insussistenza dello stretto rapporto di parentela indicato – non sarebbero comunque in grado di smentire il presupposto integrativo del perfezionamento della notifica; dal momento che, in base al principio indicato, la notifica si sarebbe regolarmente perfezionata quand’anche tra il destinatario e la consegnataria sussistesse un rapporto di parentela o affinità diverso da quello dichiarato; ed anche qualora non sussistesse, con la consegnataria, un rapporto stabile di convivenza (non richiesto dall’art. 139 c.p.c., richiamato dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60). Ciò in quanto, pur in assenza di tali requisiti, sussisterebbe la presunzione che la consegnataria (che si trovava all’interno dell’abitazione del P., e che si è identificata con il medesimo cognome) abbia comunque operato come familiare ovvero come persona addetta alla casa; così da ragionevolmente assicurare la consegna del plico al destinatario.

Nè, come detto, un simile esito potrebbe essere superato dalla prova del fatto che la consegnataria avesse, all’epoca della notificazione, una diversa residenza anagrafica: “l’art. 139 c.p.c., consentendo la consegna della copia dell’atto da notificare a persona di famiglia del destinatario, per l’ipotesi in cui non sia stata possibile la consegna nelle mani di quest’ultimo, non impone all’ufficiale giudiziario procedente di svolgere ricerche in ordine al rapporto di convivenza indicato dalla suddetta persona con dichiarazione della quale viene dato atto nella relata di notifica, incombendo, invece, a chi contesta la veridicità di siffatta dichiarazione di fornire la prova del contrario; la quale, peraltro, può essere data soltanto provando che il familiare era presente per ragioni occasionali e momentanee nel luogo di abitazione del destinatario, mentre non è sufficiente, per negare validità alla notificazione, la produzione di un certificato anagrafico attestante che il familiare abbia altrove la propria residenza” (Cass. 6953/06; così Cass. 3906/12 e 21362/10 cit.).

In definitiva, attesa la regolare notificazione dell’atto presupposto e la mancata impugnazione di quest’ultimo, correttamente la commissione di merito ha ritenuto infondato il ricorso del contribuente.

p. 3 Con il secondo motivo di ricorso si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione ad un aspetto decisivo di lite, concernente il difetto di motivazione della cartella di pagamento in oggetto.

Nemmeno questo motivo può trovare accoglimento.

Esso deve anzi considerarsi finanche inammissibile – per difetto del requisito di autosufficienza ex art. 366 c.p.c., n. 6 – nella parte in cui, pur dopo aver più volte richiamato la centralità, ai fini della censura, del “testo cartolare” della cartella di pagamento in questione, nonchè l’esigenza di sottoporre quest’ultima a puntuale “analisi cartolare”, ha poi tralasciato di riportarne in ricorso i passaggi contenutistici essenziali al fine di porre questa corte in condizione di effettuare, con la dovuta concentrazione ed immediatezza, il sollecitato controllo. Nè viene altrimenti specificato dove il documento in questione sia altrimenti rinvenibile all’interno del fascicolo d’ufficio o di parte.

Si è in proposito affermato che: “in tema di contenzioso tributario, il ricorrente, pur non essendo tenuto a produrre nuovamente i documenti, in ragione dell’indisponibilità del fascicolo di parte che resta acquisito, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 25, comma 2, al fascicolo d’ufficio del giudizio svoltosi dinanzi alla commissione tributaria, di cui è sufficiente la richiesta di trasmissione ex art. 369 c.p.c., comma 3, deve rispettare, a pena d’inammissibilità del ricorso, il diverso onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, di specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito” (Cass. n. 23575 del 18/11/2015).

Con particolare riguardo, poi, alla correlazione tra il requisito di autosufficienza del ricorso per cassazione e la doglianza sulla idoneità contenutistica e di motivazione dell’atto tributario impugnato, si è stabilito che: “in tema di contenzioso tributario, è inammissibile, per difetto di autosufficienza, il ricorso per cassazione avverso la sentenza che abbia ritenuto legittima una cartella di pagamento ove sia stata omessa la trascrizione del contenuto dell’atto impugnato, restando precluso al giudice di legittimità la verifica della corrispondenza tra contenuto del provvedimento impugnato e quanto asserito dal contribuente. (Cass. n. 16010 del 29/07/2015); e, inoltre, che: “nel giudizio tributario, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della congruità del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento (nella specie, risultante “per relationem” ad un processo verbale di constatazione) è necessario, a pena di inammissibilità, che il ricorso ne riporti testualmente i passi che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentirne la verifica esclusivamente in base al ricorso medesimo, essendo il predetto avviso non un atto processuale, bensì amministrativo, la cui legittimità è necessariamente integrata dalla motivazione dei presupposti di fatto e dalle ragioni giuridiche poste a suo fondamento” (Cass. n. 9536 del 19/04/2013).

Ora, la carenza qui segnalata appare tanto più ostativa ove si consideri che la censura vorrebbe confutare anche lo specifico assunto della commissione tributaria regionale secondo la quale la cartella di pagamento in oggetto (n. (OMISSIS)) “scaturisce dalla definizione del contenzioso relativo alla cartella di pagamento n. (OMISSIS) con esito favorevole all’ufficio con la sentenza in appello n. 280/48/1999 CTR”.

Tale confutazione avrebbe dunque richiesto la specificazione in ricorso del contenuto essenziale di entrambe le cartelle, al fine di poter verificare la correttezza logica e giuridica del ragionamento del giudice di appello, volto a valorizzare il fatto che la cartella di pagamento dedotta nel presente giudizio altro non faceva che richiamare gli estremi di una pretesa tributaria ben nota al contribuente, in quanto attestata da una sentenza della CTR da lui sollecitata, e resa nel suo contraddittorio; oltre che già notificatagli con precedente cartella, non opposta.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida – a favore di ogni controricorrente – in Euro 1.600,00; oltre spese prenotate a debito per agenzia delle entrate, ed oltre accessori di legge per Equitalia; disponendo, per quest’ultima, la distrazione a favore del difensore antistatario ex art. 93 c.p.c..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 19 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2016

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