Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23503 del 27/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/10/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 27/10/2020), n.23503

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE X

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31699-2018 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIORGIO GALAVOTTI;

– ricorrente –

contro

MONTE DEI PASCHI DI SIENA SPA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A. FRIGGERI 82,

presso lo studio dell’avvocato MARIO FIANDANESE, rappresentata e

difesa dall’avvocato LUIGIA MARIA BALDASSARRE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 631/2018 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 23/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA

MARCHESE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte di appello di Bologna ha rigettato il gravame di F.G. avverso la sentenza del Tribunale di Rimini, di rigetto della domanda proposta nei confronti di Monte dei Paschi di Siena S.p.A. per ottenerne la condanna al pagamento di somme, a vario titolo, riconducibili all’intercorso rapporto di agenzia;

per quanto qui di rilievo, la Corte territoriale ha osservato che, come emergeva dalla produzione documentale – e come già (era stato) evidenziato dal giudice di primo grado,- il F. aveva conferito alla Banca “l’incarico di predisporre le fatture relative ai corrispettivi dovuti per l’attività prestata (…)” con l’ulteriore precisazione che il predetto F. avrebbe avuto l’onere “di verificare l’esattezza della documentazione (…)” e che ” le eventuali anomalie (andavano) (…) segnalate tempestivamente e comunque non oltre il termine di giorni trenta dal ricevimento della documentazione medesima. Decorso il suddetto termine essa (id est: la documentazione) si intenderà accettata nella forma e nel contenuto (…)”; secondo la Corte di appello, alla luce dell’esaminato documento, erano, dunque, inammissibili le contestazioni in ordine alla misura delle provvigioni;

i giudici osservavano, in ogni caso (“quand’anche si volesse superare il rilievo appena formalizzato”), che i capitoli di prova testimoniale articolati con il ricorso introduttivo del giudizio erano del tutto inammissibili in quanto, da un lato, privi di qualsiasi contestualizzazione spazio – temporale idonea a consentire alla controparte la prova del contrario e, dall’altro, affetti da genericità e implicanti giudizi rimessi ai testi; di conseguenza, era inammissibile la richiesta di CTU che non poteva supplire le carenze probatorie del ricorso; per la Corte di appello, infine, era inutilizzabile il documento di cui al n. 7 del foliario relativo al fascicolo di primo grado (chiavetta USB) in cui risultavano inserite copie di plurimi documenti, privi di coerenza logica e la cui rilevanza processuale non era stata minimamente illustrata dalla difesa del lavoratore;

avverso la decisione, ha proposto ricorso in cassazione F.G., articolato in tre motivi ed illustrato con memoria;

ha resistito, con controricorso, Monte dei Paschi di Siena SpA;

la proposta del relatore è stata comunicata alle parti – unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale – ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, – è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., degli artt. 115,116 e 421 c.p.c., e dell’art. 2697 c.c.;

parte ricorrente censura la mancata ammissione dei mezzi di prova; il rigetto delle istanze istruttorie avrebbe impedito al ricorrente di dimostrare i crediti e la fondatezza delle domande; per il F., la Corte di appello non avrebbe potuto porre a base della decisione di rigetto la carenza probatoria, tanto più potendo attivare i poteri officiosi di cui all’art. 421 c.p.c.;

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4, – è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per avere la sentenza impugnata omesso di rappresentare i motivi di rigetto delle istanze istruttorie;

con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – è dedotto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in discussione tra le parti, per non aver la Corte di appello tenuto in alcun conto la clausola 5.3. del contratto di lavoro e per non aver considerato la richiesta di esibizione documentale;

i motivi possono congiuntamente esaminarsi per la loro stretta connessione e sono inammissibili;

a fondamento del decisum, come più estensivamente riportato nello storico di lite, la Corte territoriale ha posto, in via preliminare, la considerazione che il ricorrente non avesse tempestivamente contestato la misura delle provvigioni riconosciute, secondo gli accordi intercorsi, così che le contestazioni (in sede giudiziale) in ordine alla misura delle provvigioni erano inammissibili;

tale passaggio motivazionale, idoneo a sorreggere la decisione di rigetto, non è stato ritualmente censurato ed è, pertanto, divenuto definitivo;

invero, il terzo motivo, con cui la parte assume l’omessa valutazione della clausola 5.3 del documento utilizzato ai fini della esposta ragione decisoria, è inammissibile, in primo luogo, per difetto di specificità, in quanto prospettato in violazione degli oneri imposti dall’ art. 366 c.p.c., n. 6 e dall’ art. 369 c.p.c., n. 4, (Cass., sez. un., 8077 del 2012; per tutte, ex plurimis, v. Cass. n. 13713 del 2015) ed inoltre perchè veicolato attraverso la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nella fattispecie precluso per cd. “doppia conforme”, aì sensi e per gli effetti dell’art. 348 ter c.p.c.. La disposizione è applicabile ratione temporis ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato dall’11 settembre 2012 (D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2); nel presente giudizio l’impugnazione risulta iscritta nel 2015;

conseguentemente sono inammissibili, per difetto di interesse, le censure di cui agli altri motivi di ricorso che investono ulteriori ragioni di decisione, esaminate dalla Corte di appello al fine di sostenere il dispositivo nel caso in cui la prima (ragione) fosse giudicata erronea (v. pag. 3 della sentenza impugnata: “Si deve, in ogni caso, evidenziare che -quant’anche si volesse superare il rilievo appena formalizzato – (…)”);

viene infatti in rilievo il principio per cui ove la sentenza impugnata sia sorretta da una pluralità di ragioni, come nella specie distinte ed autonome (v., ex plurimis, Cass., n.10815 del 2019), ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse (o comunque l’intervenuta definitività di una di esse) rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre che non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (ex plurimis Cass. n. 18641 del 2017; Cass., sez. lav., n. 3386 del 2011);

in base alle argomentazioni svolte, il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;

sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 – quater, – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2020

 

 

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