Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23502 del 10/11/2011

Cassazione civile sez. trib., 10/11/2011, (ud. 26/10/2011, dep. 10/11/2011), n.23502

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Presidente –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria G.C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 22579-2009 proposto da:

Q.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 63, presso lo studio dell’avvocato

CONTALDI MARIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

SARACCO GIANNI MARIA giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 29/30/2008 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di TORINO del 14/01/08, depositata il 14/07/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/10/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ETTORE CIRILLO;

udito l’Avvocato Contaldi Mario difensore del ricorrente che si

riporta agli scritti;

è presente il P.G. in persona del Dott. IMMACOLATA ZENO che nulla

osserva.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Con sentenza del 14 luglio 2008 la CTR-Piemonte rigetta il gravame proposto da Q.E. nei confronti dell’Agenzia delle entrate, confermando l’annullamento dell’avviso di accertamento R21H00010 per l’anno d’imposta 1999. Afferma, in particolare, che “non è fondato e deve, quindi, essere respinto l’appello del contribuente volto a contestare l’accertamento dell’ufficio basato sulla determinazione induttiva del reddito …”, poichè l’amministrazione ha “… provveduto ad accertare il maggior reddito sulla base degli studi di settore…, provvedendo poi a convocare il contribuente per l’instaurazione del contraddittorio…”. Rileva, inoltre, che “esso non si presentato” e che in giudizio ha prodotto solo “una serie di scontrini fiscali emessi”.

Propone ricorso per cassazione, affidato a unico motivo, Q. E. e denuncia vizio di omessa (o insufficiente) motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in ordine alla determinazione presuntiva dei ricavi, dei compensi e del volume d’affari, basandosi esclusivamente sui parametri degli studi settore e trascurando, invece, altri indicatori; l’Agenzia resiste con controricorso.

All’esito della relazione ex art. 380 bis c.p.c. e delle comunicazioni e notificazioni di rito, il ricorrente presenta memoria.

Il ricorso va disatteso.

L’accertamento standardizzato mediante studi di settore è un sistema di presunzioni semplici (cfr., C. cost., sent. 1 aprile 2003, n. 105), la cui gravita, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata in relazione ai soli standard in sè considerati, ma nasce procedimentalmente in esito al contraddittorio indispensabile ad adattare uno strumento, frutto di un'”elaborazione statistica”, alla reale situazione soggettiva ed a sfruttare al massimo la sua flessibilità, da attivare con il contribuente, che può tuttavia restare inerte assumendosi le conseguenze, sul piano della valutazione, di questo suo atteggiamento (cfr. Sez. 5 nn. 4148/2009, 26459/2008 e 23602/2008). Egli, nel giudizio d’impugnazione dell’atto di accertamento, ha la più ampia facoltà di allegazione e prova potendo contestare sia le condizioni a cui la legge subordina l’applicabilità degli studi di settore, sia la sequenza delle inferenze presuntive che sono alla base degli studi di settore, ma giammai può limitarsi alla mera enunciazione dell’inadeguatezza dello studio applicato o a eccepire le ridotte dimensioni aziendali e la crisi del settore, dovendo addurre, invece, elementi certi e convincenti a suo discarico e dare una critica dimostrazione delle concrete implicazioni di detti eventi in termini di minori ricavi e minor reddito rispetto ai risultati dello studio di settore (Sez. U n. 26635/2009; Sez. 5 n. 2816/2008).

Nella specie, il ricorrente lamenta, invece, che i giudici d’appello hanno omesso di motivare in ordine a taluni rilievi favorevoli al contribuente: a) atipicità dell’attività di manutenzione di attrezzatura da sci; b) stagionalità dell’attività stessa, c) localizzazione nel comune di Foglizzo, piccolissimo e lontano dalla montagne; c) crisi del distretto del Canavese; d) assenza di dipendenti; e) ridotte dimensioni della struttura produttiva; f) particolare ciclo di lavorazione con utilizzo di beni strumentali non “in serie”.

La censura, così come formulata, è manifestamente inammissibile.

Più che di omessa motivazione, invece, si tratta di omessa pronunzia su pretese censure in appello e la violazione, da parte del giudice del merito, dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronunzia deve essere fatta valere in sede di ricorso per cassazione, esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. E’, pertanto, inammissibile il ricorso con il quale, come nella specie, siffatta censura sia proposta quale vizio della motivazione stesso art. 360 c.p.c., ex n. 5 (cfr., ex plurimis, Sez. 3 n. 12952/2007).

La denuncia di un “error in iudicando”, per vizi della motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, presuppone che il giudice di merito abbia preso in esame la questione prospettatagli e l’abbia risolta in modo non corretto, e consente alla parte di chiedere (e al giudice di legittimità di effettuare) una verifica in ordine alla logicità della motivazione, sulla base del solo esame della sentenza impugnata; tale censura non può pertanto riguardare l’omesso esame da parte del giudice di secondo grado in ordine a questioni dedotte in appello, che diversamente postula la denuncia di un “error in procedendo”.

Inoltre, il motivo si risolve, da un lato, nell’inammissibile tentativo d’imporre una rivisitazione generalizzata degli atti processuali, che appartiene esclusivamente al giudice del merito, dall’altro non ottempera al principio dell’autosufficienza, che impone di riassumere le questioni già prospettate – con specifica indicazione del dove, del come e del quando – prima della riproposizione delle stesse dinanzi al giudice di legittimità (Sez. 5 n. 15180/2010). Manca, invece, persino graficamente qualsiasi riferimento ai tempi e modi con cui i rilievi fattuali formulati in sede di legittimità sarebbero entrati a far parte del thema decidendum e del thema probandum del giudizio di merito. Infine, il mezzo difetta di autosufficienza, anche sotto altro profilo, mancando la trascrizione, nelle parti salienti, sia dell’atto impositivo contestato, sia dei documenti asseritamente addotti a discarico. Deve ribadirsi, in conformità del resto a una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, da cui totalmente prescinde il ricorrente, che è necessario che la parte ottemperi al principio di autosufficienza del ricorso (correlato all’estraneità del giudizio di legittimità all’accertamento del fatto), riportando la situazione documentale della quale si chiede un’adeguata valutazione (cfr., da ultimo, Sez. 5 n. 12432/2011).

Nè valgono, nella specie, talune sporadiche e arbitrarie estrapolazioni, quali quelle virgolettate anche in memoria (v. es.

pag. 13 e 14), atteso che nella specie, ciò che manca è proprio quella trascrizione esauriente, che sola consente la chiara e completa cognizione dei fatti senza la necessità di ricorrere ad altre fonti, dovendo, questa Corte essere messa nelle condizioni di compiere la delibazione del ricorso e delle questioni sollevate sulla base del solo contenuto dell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative .

In conclusione, il ricorso deve essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, stante la sua manifesta inammissibilità; le spese di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 5.000 per onorario, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2011

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