Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 235 del 12/01/2021

Cassazione civile sez. trib., 12/01/2021, (ud. 23/09/2020, dep. 12/01/2021), n.235

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3316-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

IFM SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, Piazza Cavour presso la

cancelleria della Corte di Cassazione rappresentata e difesa dagli

avvocati VINCENZO BASTA, MARIA PIA CARIDDI;

– controricorrenti –

e contro

EQUITALIA NORD SPA;

– intimati –

Nonchè sul ricorso 3320-2014 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

IFM SPA, elettivamente domiciliata in ROMA, Piazza Cavour presso la

cancelleria della Corte di Cassazione rappresentata e difesa dagli

avvocati MARIA CARIDDI, VINCENZO BASTA;

– controricorrenti –

Avverso rispettivamente la sentenza n. 133/2013 e n. 132/2013 della

COMM.TRIB.REG. di MILANO, depositate il 24/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/09/2020 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

La società I.F.M. S.p.A., in qualità di controllante, e la Sagam S.p.A., incorporante la Milano Motori Due S.p.A., quale controllata, al fine di rettificare un errore nella dichiarazione IVA relativa all’anno 2005, presentarono (in data 26.6.2007) istanza di rimborso per Euro 18.225,00, corrispondente a credito IVA utilizzato in compensazione per l’anno successivo, e connessa dichiarazione di rettifica.

L’Ufficio adito dell’Agenzia delle Entrate di Milano (OMISSIS) rigettò l’istanza di rettifica della controllata.

Mentre s’incardinava, dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano, contenzioso tra la Sagam e l’Agenzia delle Entrate, definito con sentenza n. 291/44/2008, depositata il 18 gennaio 2008, passata in giudicato, con esito favorevole alla contribuente, cui l’Agenzia delle Entrate ottemperò, eseguendo nel 2010 il rimborso dell’importo a credito di Euro 18.225,00 in favore della controllata Sagam S.p.A., diverso esito riguardò i rapporti tra I.F.M. ed il fisco (il diverso Ufficio di Milano 6).

Ricevuta quindi comunicazione dell’esistenza di difformità del credito riportato per l’anno precedente, senza che l’Amministrazione provvedesse poi sull’istanza di sgravio in autotutela presentata dalla controllante, era quindi notificata il 22 aprile 2009 da parte dell’agente di riscossione Equitalia Esatri S.p.A., all’anzidetta società, cartella di pagamento per l’importo di Euro 25.128,78, a seguito della riliquidazione della dichiarazione in conseguenza del credito d’imposta ritenuto non spettante, perchè non indicato nella dichiarazione dell’anno precedente.

Rigettata dall’Ufficio di Milano 6 nuova istanza di sgravio presentata dalla consolidante in data 29 giugno 2010, con provvedimento del 12 luglio 2010, di cui si specificava da parte dell’Ufficio la natura di atto non autonomamente impugnabile, quale provvedimento di rigetto d’istanza di autotutela, la I.F.M. impugnò quindi dinanzi alla CTP di Milano l’intimazione di pagamento notificatale il 23 giugno 2010, relativa al mancato pagamento della summenzionata cartella.

La CTP di Milano, nel contraddittorio anche con l’agente della riscossione, respinse il ricorso della contribuente, osservando che non potevano farsi valere in sede d’impugnazione dell’intimazione di pagamento vizi propri della cartella, regolarmente notificata e non impugnata.

Avverso la sentenza di primo grado la I.F.M. propose appello dinanzi alla Commissione tributaria regionale (CTR) della Lombardia, che, con sentenza n. 133/20/13, depositata il 24 giugno 2013, non notificata, accolse l’appello, con condanna dell’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio.

Avverso detta sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, cui la società resiste con controricorso.

Equitalia Nord S.p.A. (già Equitalia Esatri S.p.A.) non ha svolto difese.

Parallelamente si sviluppava tra la I.F.M. S.p.A. e l’Agenzia delle Entrate altro contenzioso, originato dall’impugnazione da parte della società dinanzi alla CTP di Milano del diniego di sgravio in autotutela del 12 luglio 2010, sopra menzionato.

La sentenza della CTP di Milano, che rigettò ugualmente il ricorso proposto dalla società, fu gravata dalla soccombente con appello dinanzi alla CTR della Lombardia che, con sentenza n. 132/20/13 resa dal medesimo collegio in pari data e pubblicata lo stesso 24 giugno 2013, non notificata, accolse l’appello della contribuente con motivazione sostanzialmente analoga a quella di cui alla sentenza n. 133/20/13.

Avverso la sentenza n. 132/20/2013 ugualmente l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi, erroneamente rubricati come quattro.

La società resiste ugualmente con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. In via preliminare appare opportuno disporre la riunione, ex art. 274 c.p.c., norma applicabile anche in sede di giudizio di legittimità (cfr., tra le altre, Cass. sez. 1, 31 ottobre 2011, n. 22631) del giudizio n. R.G. 3320/2014 al giudizio n. R.G. 3316/2014, per evidenti ragioni di connessione.

2. Quanto al giudizio anteriormente iscritto a ruolo, con il primo motivo di ricorso l’Amministrazione finanziaria denuncia insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

2.1. L’Amministrazione ricorrente censura, lamentandone l’infondatezza e la pretestuosità, l’insufficienza della motivazione della sentenza ivi impugnata, nella parte in cui ha rilevato che le controdeduzioni depositate in giudizio non potessero riferirsi alla vicenda processuale in oggetto, recando l’indicazione del contribuente come tale ” D.G.”, ciò che, secondo la CTR, determinava la conseguenza che l’atto di costituzione in giudizio dell’Ufficio non potesse essere preso in considerazione, “rendendo valido nel merito quanto affermato dalla contribuente nell’appello”, affermando ancora la sentenza impugnata che “il contenuto delle controdeduzioni è carente e sia la dottrina che la giurisprudenza sono concordi nell’affermare che la mancanza o la insufficienza delle motivazioni rendono carente la legittimazione della controparte carente di argomentazioni”.

2.1.1. Osserva, infatti, l’Agenzia delle Entrate come fosse palese dal contesto dell’atto che nella fattispecie ci si trovasse di fronte ad un mero errore materiale, agevolmente riconoscibile, che certamente non inficiava la correttezza delle argomentazioni ivi spese per resistere all’avverso gravame avverso la sentenza di primo grado.

3. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza impugnata, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nella parte in cui ha ritenuto non fondata la pretesa erariale sulla base dell’esistenza di un giudicato esterno (la succitata sentenza della CTP di Milano n. 291/44/2008), invocato come a sè favorevole da parte della I.F.M..

3.1. In primo luogo, in proposito, la ricorrente Amministrazione deduce la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 essendo stato il predetto giudicato opposto solo con il ricorso in appello, rilevando come in ogni caso la sentenza impugnata fosse assolutamente carente nell’indicazione della pronuncia, avente, secondo la contribuente, efficacia preclusiva di giudicato, stante il riconoscimento del diritto al rimborso riguardo al credito IVA in favore della controllata Sagam.

3.1.1. Nè, secondo la ricorrente, quand’anche effettivamente dovesse ritenersi che la pronuncia della CTR avesse inteso fare riferimento alla succitata sentenza della CTP di Milano n. 291/44/2008, in alcun modo avrebbe potuto riconoscersi ad essa efficacia di giudicato sostanziale, donde anche la dedotta violazione dell’art. 2909 c.c., atteso che – ove fosse seguito il modo di argomentare della pronuncia in questa sede impugnata – ne deriverebbe un indebito arricchimento in favore della controllante, in ragione del rimborso del credito IVA disposto in favore della controllata.

4. Con il terzo motivo analoga censura è prospettata questa volta come violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

5. Con il quarto motivo l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 19 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, rilevando come il giudice tributario di appello, diversamente dalla pronuncia dinanzi ad essa impugnata, aveva omesso di rilevare che l’intimazione di pagamento non fosse atto autonomamente impugnabile, essendo stata preceduta dalla cartella di pagamento rimasta inevasa, regolarmente notificata e non impugnata nei termini.

6. Infine, con il quinto motivo, l’Amministrazione ricorrente denuncia ancora nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la CTR omesso di pronunciare sull’eccezione relativa alla dedotta, da parte dell’Ufficio, non autonoma impugnabilità dell’avviso d’intimazione di pagamento, cui, poi, era seguita comunicazione d’iscrizione ipotecaria.

7. Ugualmente cinque motivi del tutto analoghi ai precedenti sono stati addotti dall’Amministrazione finanziaria a sostegno dell’altro ricorso proposto avverso la coeva sentenza n. 132/20/13 della CTR, l’unica differenza – pur nel contesto del medesimo tenore del motivo quanto alla sua formulazione essendo riferibile alla rubrica del primo motivo, con il quale la doglianza è proposta come denuncia di nullità della sentenza in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

8. Venendo all’esame dei motivi addotti a sostegno del primo ricorso, deve in primo luogo rilevarsi l’inammissibilità del primo motivo.

8.1. Esso, infatti, è formulato, con denuncia di insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione alla previgente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, laddove, nella relativa controversia, avente ad oggetto ricorso per cassazione avverso sentenza di Commissione tributaria regionale depositata in data 24 giugno 2013, trova invece applicazione, ratione temporis, la nuova formulazione della citata norma del codice di rito, in forza della quale il sindacato della Corte sulla motivazione del giudice di merito è limitato, come si è detto, al c.d. “minimo costituzionale”, donde l’eventuale nullità della sentenza è limitata ai casi di motivazione del tutto omessa o apparente.

8.1.1. Le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; in senso conforme tra le altre, Cass. sez. 3, 11 aprile 2017, n. 9253; Cass. sez. 2, ord. 29 ottobre 2018, n. 2741), hanno affermato il principio secondo il quale “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

8.2. Appare evidente come nella formulazione del motivo, l’Amministrazione finanziaria, di là dal tenore letterale della rubrica, abbia inteso effettivamente denunciare un vizio di insufficiente motivazione, ormai sottratto al sindacato di questa Corte.

9. Il secondo motivo, nella parte in cui deduce il vizio di violazione della legge processuale, essendosi dato ingresso ad eccezione di giudicato esterno proposta dalla contribuente solo con il ricorso in appello, con ciò dovendosi ritenere violato, secondo l’Amministrazione ricorrente, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, è infondato.

9.1. Indipendentemente, anche, infatti, da quanto da qui a breve (cfr. par. 10.4.1.) avrà modo di osservarsi sul profilo cronologico relativo alla formazione del giudicato, l’assunto dell’Amministrazione ricorrente si scontra con l’ormai da tempo (sin da Cass. SU 25 maggio 2001, n. 226), consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, il giudicato esterno, che risulti dagli atti, è rilevabile d’ufficio dal giudice (cfr., tra le molte, più di recente, Cass. sez. lav. 3 aprile 2017, n. 8607; Cass. sez. 1, 27 luglio 2016, n. 15627; Cass. sez. 6-1, ord. 6 giugno 2011, n. 12158), alcuna violazione potendosi pertanto configurare del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, che, come è noto, prevede, riguardo al giudizio tributario di appello, che “Non possono proporsi nuove eccezioni che non siano rilevabili anche d’ufficio”.

9.2. Nè, d’altronde, la mancata indicazione da parte della sentenza impugnata della pronuncia cui è stata riconosciuta efficacia di giudicato esterno, della quale pure l’Amministrazione si duole in questa sede, risulta avere in concreto arrecato pregiudizio alla difesa dell’Amministrazione medesima, che, in considerazione dell’espressa eccezione di controparte, ha certamente, senza difficoltà, come dimostra la stessa formulazione del motivo, individuato nella sentenza della CTP di Milano n. 291/44/2008 la pronuncia alla quale, secondo la ricorrente, è stata erroneamente riconosciuta natura di giudicato.

9.3. Riguardo, invece, alla ritenuta erronea attribuzione, da parte della CTR, con la sentenza n. 133/20/13, alla summenzionata sentenza della CTP di Milano della natura di giudicato sostanziale, con asserita violazione dell’art. 2909 c.c., che trova spazio nella residua parte del secondo motivo e nel terzo, i motivi sono rispettivamente inammissibile ed infondato.

9.3.1. Con riferimento al primo profilo, la censura, proposta in relazione al parametro di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, è inammissibile, assumendo il giudicato norma regolatrice del caso concreto (cfr., tra le altre, Cass. sez. lav. ord. 26 giugno 2018, n. 16847), donde l’erronea lamentata attribuzione alla succitata pronuncia resa dalla CTP di Milano nel processo tra controllata Sagam ed Agenzia delle Entrate della portata di giudicato sostanziale dei cui effetti favorevoli può beneficiare la controllante va denunciata come error in iudicando e non già come error in procedendo.

10. Il terzo motivo, con il quale la censura è correttamente proposta in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, così come il quarto ed il quinto che possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tra loro connessi, sono, invece, infondati.

10.1. Va opportunamente premesso che alla controversia in esame, relativa a dichiarazione 2005 per l’anno 2004, non trova applicazione, ratione temporis, essendo applicabili le norme di seguito indicate solo dal primo gennaio 2011, la disciplina di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, attuale art. 40 bis introdotta ad opera del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 35, commi 1 e 2 convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, che hanno introdotto, tra l’altro, l’accertamento con unico atto, superando la complessa articolazione dello stesso su due livelli e la previsione del litisconsorzio necessario tra consolidante e consolidata.

10.2. Nella fattispecie in esame, che trova origine in liquidazione IVA di gruppo, occorre far riferimento al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 73 che al comma 3, nella formulazione applicabile ratione temporis al presente giudizio, stabilisce che “Il Ministro delle Finanze può disporre con propri decreti, stabilendo le relative modalità, che le dichiarazioni delle società controllate siano presentate dall’ente o società controllante all’ufficio del proprio domicilio fiscale e che i versamenti di cui agli artt. 27, 30 e 33 siano fatti all’ufficio stesso per l’ammontare complessivamente dovuto dall’ente o società controllante e dalle società controllate, al netto delle eccedenze detraibili. Le dichiarazioni, sottoscritte anche dall’ente o società controllante, devono essere presentate anche agli uffici del domicilio fiscale delle società controllate, fermi restando gli altri obblighi e le responsabilità delle società stesse. Si considera controllata la società le cui azioni o quote sono possedute dall’altra per oltre la metà fin dall’inizio dell’anno solare precedente” (sul regime di liquidazione dell’IVA di gruppo in relazione all’anzidetta norma ratione temporis applicabile, cfr., in generale, Cass. SU 2 febbraio 2016, n. 1915).

10.3. Quanto alla normativa secondaria, per quanto qui rileva, occorre far riferimento in particolare al D.M. 13 dicembre 1979, art. 6, comma 2, in forza del quale “Le società controllate rispondono in solido con l’ente o società controllante delle somme o imposte risultanti dalle proprie liquidazioni periodiche o dalle proprie dichiarazioni e non versate dall’ente o società controllante”.

10.4. Ciò premesso, la controversia tra società controllata e fisco originata dall’impugnazione da parte della controllante del diniego opposto dall’Ufficio all’istanza di rettifica di errore nella dichiarazione IVA riferita al 2004, che aveva indotto l’Amministrazione finanziaria a disconoscere il credito d’imposta quindi chiesto a rimborso, è stata definita – come è pacifico tra le parti – con sentenza passata in giudicato, alla quale l’Amministrazione ha prestato ottemperanza.

10.4.1. Si tratta della sentenza della CTP di Milano n. 291/44/2008, di cui la ricorrente non ha dedotto l’avvenuta notificazione, sentenza che, depositata il 18 novembre 2008, è pertanto passata in giudicato il 4 gennaio 2010, trovando applicazione l’art. 327 c.p.c. nella disciplina anteriore alla modifica ad esso apportata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, per cui il termine c.d. lungo applicabile ai fini dell’impugnazione era di un anno dalla data del deposito, cui va aggiunto il periodo di sospensione feriale di giorni quarantasei (per il periodo 1 agosto – 15 settembre) secondo la L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 1 nella formulazione applicabile ratione temporis.

10.4.2. Risulta quindi che la formazione del giudicato invocato dalla controllante nell’atto di appello avverso la sentenza della CTP di Milano ad essa sfavorevole è sopravvenuto alla definitività della cartella notificata il 22 aprile 2009 per omessa impugnazione al sopravvenire del sessantesimo giorno (D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 21) dalla predetta data.

10.5. Ne consegue che la controllante aveva legittimamente invocato la sopravvenuta formazione del giudicato relativo alla propria controllata, senza che potesse per tale via ritenersi violato il principio di cui allo stesso D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3.

10.5.1. Sebbene, infatti, la cartella di pagamento notificata alla controllante e dalla stessa non impugnata fosse divenuta definitiva per mancata impugnazione nei termini, era solo con l’avviso d’intimazione impugnato (primo atto ad essa successivo) che la controllante medesima poteva opporre la formazione degli effetti riflessi del giudicato sopravvenuto riguardante la propria controllata, quanto al riconoscimento della veridicità del credito d’imposta chiesto a rimborso, in relazione a tale circostanza sussistendo quel nesso di pregiudizialità – dipendenza che ne giustifica l’estensione rispetto ad essa controllante, quale terzo rimasto estraneo a quel rapporto processuale.

10.6. Ed ancora sempre solo in sede d’impugnazione dell’avviso d’intimazione di pagamento, in relazione alla sequenza cronologica come sopra ricostruita, la controllante poteva giovarsi della facoltà di cui all’art. 1306 c.c., comma 2, che, per la parte che qui rileva, consente al condebitore solidale di avvalersi della sentenza resa nei rapporti tra il creditore ed uno dei condebitori in solido, salvo che sia fondata su ragioni personali al condebitore.

10.6.1. Questa Corte ha, infatti, osservato che “In tema di solidarietà tributaria, la facoltà per il coobbligato d’imposta di avvalersi del giudicato favorevole emesso in un giudizio promosso da un altro coobbligato, secondo la regola generale stabilita dall’art. 1306 c.c., opera, come riflesso dell’unicità dell’accertamento e della citata estensibilità del giudicato, sempre che non si sia già formato un giudicato contrario sul medesimo punto” (cfr. Cass. sez. 5, 5 luglio 2011, n. 14814, Cass. sez. 5, 7 febbraio 2004, n. 18025; Cass. sez. 5, 27 settembre 2002, n. 13997; si veda anche Cass. sez. 6-5, ord. 8 gennaio 2013, n. 276).

10.6.2. Ricorrono dunque nella fattispecie le condizioni perchè la controllante possa beneficiare degli effetti favorevoli del giudicato intervenuto nei confronti della propria consolidata, essendo essa rimasta inerte riguardo alla cartella notificatale il 22 aprile 2009 e non essendo in alcun modo equiparabile la definitività dell’atto di riscossione per omessa impugnazione al giudicato (cfr. Cass. SU 17 novembre 2016, n. 23397).

11. In tali termini corretta, ex art. 384 c.p.c., la sentenza impugnata, riguardo all’erronea prima ratio decidendi, dovendo certamente ritenersi che l’errore nell’indicazione del contribuente era palesemente un mero errore materiale che non impediva la comprensione degli effettivi termini della vicenda processuale senza alcun dubbio riferibile all’odierna controricorrente, e chiarite le condizioni per effetto delle quali la ritenuta, da parte della CTR, applicabilità del giudicato riferito alla consolidata era nel giudizio dalla stessa deciso estensibile, nei suoi effetti favorevoli, alla controllante, il ricorso dell’Amministrazione finanziaria introduttivo del giudizio recante il n. RG 3316/2014 va rigettato.

12. Alla stregua delle considerazioni che precedono il successivo ricorso, relativo ai limiti d’impugnazione del diniego di autotutela tributaria, ad esso qui riunito, va dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza d’interesse.

13. Possono essere compensate, tra l’Amministrazione ricorrente e la controricorrente, in ragione della globale valutazione del relativo contenzioso, le spese degli interi giudizi riuniti. Nulla va invece statuito riguardo alle spese nel rapporto processuale tra Agenzia delle Entrate ed agente della riscossione, che non ha svolto difese.

14. Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Riuniti i giudizi, rigetta il ricorso proposto nel giudizio n. RG 3316/2014 e dichiara l’inammissibilità per sopravvenuta carenza d’interesse del ricorso proposto nel giudizio n. RG 3320/2014.

Compensa tra ricorrente e controricorrente le spese degli interi giudizi riuniti.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2021

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