Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23499 del 20/09/2019

Cassazione civile sez. I, 20/09/2019, (ud. 27/06/2019, dep. 20/09/2019), n.23499

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12901/2018 R.G. proposto da:

F.U., rappresentato e difeso dall’Avv. Massimo Pastore, con

domicilio in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria civile della

Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., rappresentato e

difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto del Tribunale di Torino n. 835/18, depositato il

12 marzo 2018.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 27 giugno

2019 dal Consigliere Dott. Guido Mercolino;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore generale, che ha chiesto la dichiarazione

d’inammissibilità/l’accoglimento, il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO

che F.U., cittadino del Pakistan, ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, avverso il decreto emesso il 12 marzo 2018, con cui il Tribunale di Torino ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria e, in subordine, del permesso di soggiorno per motivi umanitari da lui proposta;

che il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente chiede sollevarsi questione di legittimità costituzionale del combinato disposto del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, comma 1, lett. g) e art. 21, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. 13 aprile 2017, n. 46, sostenendo che il ricorso al decreto legge, ai fini dell’introduzione della nuova disciplina processuale delle controversie in materia di protezione internazionale, si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., comma 1 e art. 77 Cost., comma 2, per mancanza dei requisiti di necessità ed urgenza, comprovata dalla fissazione del termine di centottanta giorni per l’entrata in vigore delle nuove disposizioni;

che con il secondo motivo il ricorrente chiede sollevarsi questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35-bis, per contrasto con l’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1, 2 e 5 e art. 117 Cost., comma 1, in riferimento all’art. 46, par. 3 della direttiva UE n. 32/2013 e degli artt. 6 e 13 della CEDU, sostenendo che, in quanto caratterizzata dalla previsione di una trattazione scritta e di un’udienza meramente eventuale e comunque non pubblica, nonchè dalla soppressione dell’appello, la nuova disciplina dei giudizi in materia di protezione internazionale non garantisce adeguatamente il contraddittorio e la parità delle parti, determinando un’irragionevole compressione del diritto di difesa, soprattutto in relazione all’importanza degl’interessi coinvolti;

che la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, sollevata in riferimento all’art. 77, comma 2, Cost., è stata già esaminata da questa Corte, e ritenuta manifestamente infondata, in virtù dell’osservazione che la disposizione transitoria dettata dal D.L. n. 13 del 2017, art. 21, comma 1, che differisce di centottanta giorni dall’emanazione del decreto l’entrata in vigore del nuovo rito, non si pone in contrasto con i requisiti di straordinaria necessità ed urgenza che presiedono all’emanazione dei decreti legge, essendo connaturata all’esigenza di predisporre un congruo intervallo temporale volto a consentire alla complessa riforma processuale di entrare a regime (cfr. Cass., Sez. I, 5/07/2018, n. 17717);

che la questione è stata ritenuta manifestamente infondata anche in relazione all’art. 111 Cost., in virtù del rilievo che il rito camerale di cui agli artt. 737 c.p.c. e segg., previsto anche per la trattazione di controversie in materia di diritti e di status, è idoneo a garantire il contraddittorio anche nel caso in cui non venga fissata l’udienza, sia perchè tale eventualità è limitata soltanto alle ipotesi in cui, in ragione dell’attività istruttoria precedentemente svolta, essa appaia superflua, sia perchè in assenza della trattazione orale le parti sono comunque garantite dal diritto di depositare difese scritte (cfr. Cass., Sez. I, 5/07/2018, n. 17717);

che l’imposizione del rito camerale non contrasta con i principi costituzionali invocati neppure in relazione alla prevista non reclamabilità del decreto di primo grado, trovando la stessa ragionevole giustificazione nell’esigenza di accelerare la definizione dei giudizi in questione, aventi ad oggetto diritti fondamentali, ed essendo rimessa alla discrezionalità del legislatore la scelta di escludere l’appellabilità della decisione di primo grado, con riguardo ai giudizi che sollecitano una pronta soluzione, dal momento che la garanzia del doppio grado di giurisdizione di merito non trova copertura generalizzata a livello costituzionale (cfr. ex plurimis, Corte Cost., sent. n. 199 del 2017 e 243 del 2014, ord. n. 42 del 2014);

che con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 9, 10 e 11, sostenendo che, nell’escludere la necessità della fissazione dell’udienza di comparizione, nonostante l’indisponibilità della videoregistrazione del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale, il decreto impugnato ha erroneamente ritenuto sufficiente l’acquisizione del verbale del colloquio, non menzionata dell’art. 35-bis cit., comma 8, nè nello art. 14, comma 1, del medesimo decreto, da esso richiamato;

che, inoltre, la mancata fissazione dell’udienza di comparizione si traduce in un’ingiustificata compressione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio, costituendo la videoregistrazione il solo mezzo per verificare le modalità di svolgimento del colloquio, la coerenza delle risposte, l’atteggiamento del richiedente e la correttezza e la coerenza della traduzione, soprattutto in considerazione del carattere riassuntivo della verbalizzazione e della mancata previsione del contraddittorio e dell’assistenza tecnica nella fase dell’istruttoria dinanzi alla Commissione territoriale;

che, in tema di protezione internazionale, questa Corte ha affermato il principio, che il Collegio condivide ed intende ribadire anche in questa sede, secondo cui, nel giudizio d’impugnazione della decisione della Commissione territoriale innanzi all’Autorità giudiziaria, in caso di mancanza della videoregistrazione del colloquio, il giudice deve necessariamente fissare l’udienza per la comparizione delle parti, configurandosi, in difetto, la nullità del decreto con il quale viene deciso il ricorso, per violazione del principio del contraddittorio;

che la predetta interpretazione trova conforto non solo nella lettura, in combinato disposto, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, commi 10 ed 11, i quali distinguono, rispettivamente, i casi in cui il giudice può fissare discrezionalmente l’udienza da quelli in cui egli deve necessariamente fissarla, ma anche nella valutazione delle intenzioni del legislatore, il quale, anche in ragione della natura camerale non partecipata della fase giurisdizionale, ha previsto la videoregistrazione quale elemento centrale del procedimento, avente la finalità di consentire al Giudice di valutare il colloquio con il richiedente in tutti i suoi risvolti, ivi compresi quelli non verbali (cfr. Cass., Sez. I, 5/07/2018, n. 17717);

che non può dunque condividersi il decreto impugnato, nella parte in cui, pur dando atto dell’indisponibilità della videoregistrazione, ha escluso la necessità della comparizione, in virtù dell’avvenuta acquisizione del verbale del colloquio svoltosi dinanzi alla Commissione territoriale;

che il motivo va pertanto accolto, restando assorbita la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 11, per contrasto con l’art. 3 Cost., comma 1, art. 24 Cost., commi 1 e 2, art. 111 Cost., commi 1 e 2 e art. 117 Cost., comma 1, sollevata dal ricorrente in riferimento agli artt. 6 e 13 della CEDU e dell’art. 46, par. 3, della direttiva UE n. 32/2013;

che rimane tuttavia impregiudicata la questione riguardante la necessità di dar corso all’audizione del richiedente, dal momento che, come ritenuto dalla giurisprudenza comunitaria in sede d’interpretazione degli artt. 12, 14, 31 e 46 della direttiva 2013/32/CE del 26 luglio 2013, l’obbligo di consentire al richiedente di sostenere un colloquio personale, prima di decidere sulla domanda di protezione internazionale, grava esclusivamente sull’autorità amministrativa incaricata di procedere all’esame della stessa, e non si applica quindi nei procedimenti d’impugnazione (cfr. Cass., Sez. I, 5/07/2018, n. 17717, cit.; 13/12/2018, nn. 32318 e 32319);

che, infatti, l’obbligo di procedere all’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto, imposto al giudice competente dall’art. 46, par. 3, della direttiva dev’essere interpretato tenendo conto della stretta connessione esistente tra la procedura d’impugnazione e quella di primo grado che la precede, nel corso della quale dev’essere consentito al richiedente di sostenere il colloquio personale, con la conseguenza che il giudice può decidere di non procedere all’audizione nel caso in cui ritenga di poter effettuare un esame siffatto in base ai soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso, se del caso, il verbale o la trascrizione del colloquio personale svoltosi in occasione del procedimento di primo grado (cfr. Corte di Giustizia UE, 26/07/2017, in causa C-348/16, Moussa Sacko);

che il decreto impugnato va quindi cassato, con il conseguente rinvio della causa al Tribunale di Torino, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

rigetta i primi due motivi di ricorso; accoglie il terzo motivo; cassa il decreto impugnato; rinvia al Tribunale di Torino, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2019

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