Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23496 del 10/11/2011

Cassazione civile sez. I, 10/11/2011, (ud. 14/10/2011, dep. 10/11/2011), n.23496

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

B.A.L. (C.F. (OMISSIS)), elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GIUNIO BAZZONI 3, presso l’avvocato ACCARDO

PAOLO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato AZZENA

ALBERTO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, COMMISSARIO PER LA FORMAZIONE DELL’ALBO

PROFESSIONALE DEGLI PSICOLOGI PER LA TOSCANA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 553/2005 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 14/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/10/2011 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato ACCARDO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nel 1995, B.A.L., sulla base della sentenza del G.O, passata in giudicato l’11.04.1994, inerente al suo diritto all’iscrizione nell’albo degli psicologi, già negata in sede amministrativa, adiva il Tribunale di Firenze per chiedere il risarcimento del danno subito per il periodo di mancata iscrizione e quantificato in L. 500.000.000. Con sentenza del 4.07.2001, il Tribunale accoglieva la domanda, ma limitava il risarcimento a L. 54.000.000.

Con sentenza del 17.12.2004-14.03.2005, la Corte di appello di Firenze, decidendo sui contrapposti e riuniti appelli delle parti, rigettava la domanda proposta dalla B.. La Corte territoriale osservava e riteneva tra l’altro:

che il tema del contendere riproponeva la nota questione del rapporto fra illegittimità ed illiceità del provvedimento amministrativo, ai fini della domanda di risarcimento del danno proposta ai sensi dell’art. 2043 c.c.;

che l’illegittimo rifiuto d’iscrivere all’albo il professionista dotato dei requisiti prescritti, comportava violazione di un diritto soggettivo e non di un semplice interesse legittimo;

che l’illegittimità dell’atto amministrativo, benchè implicante una violazione di legge, non concretava per questo, nè per di più presuntivamente, un comportamento illecito ai sensi dell’art. 2043 c.c., e ciò tanto se si fosse voluto intendere l’imputazione della colpa impersonalmente, ossia come colpa dell’ente per il fatto di non avere saputo operare correttamente, quanto personalmente, ossia come colpa (perciò anche di ordine psicologico) del funzionario che pertanto, il giudice del risarcimento, sebbene non potesse certamente rimettere in discussione il giudizio sul diritto all’iscrizione o perfino quello, non espressamente pronunciato, sulla illegittimità – lesiva della posizione soggettiva protetta – dell’operato della pubblica amministrazione, non poteva dispensarsi, ed anzi, aveva l’onere di riconsiderare i medesimi fatti al fine di accertarne la possibile illiceità, pure verificando se l’illegittimità del provvedimento amministrativo non fosse stata riconducibile ad errore scusabile che il Tribunale aveva inteso procedere non ad un riesame della condotta dell’amministrazione, ma ad un esame ex imis, dell’esistenza, in astratto, del diritto dell’interessata ad essere iscritta, e cioè formulato un giudizio sul diritto sostanziale dell’attrice all’iscrizione, ossia un giudizio sul possesso dei requisiti per l’iscrizione, e non sulla correttezza formale della domanda d’iscrizione che l’efficacia del giudicato del 1994 non toccava la questione del se nel rifiuto d’iscrizione espresso dal competente Commissario fosse anche i riconoscibile una colpa dell’amministrazione, rilevante come causa di responsabilità aquiliana, dal momento che tale giudicato non involgeva un giudizio sulla colpa dell’amministrazione e sulla illegittimità del diniego, ed era frutto non del solo esame della documentazione che era stata già presentata a corredo della domanda d’iscrizione ma di una complessa attività istruttoria, includente perfino l’audizione di testimoni sul possesso dei requisiti per l’iscrizione che limitando l’esame alla documentazione allegata alla domanda d’iscrizione, la sola sulla quale il Commissario avrebbe potuto decretare l’iscrizione o meno all’albo, e sulla quale il giudice del risarcimento avrebbe potuto formarsi un convincimento di colpevolezza (illiceità) o meno del diniego d’iscrizione, non soltanto non si rilevava alcuna colpa (personale) del funzionario, ma non si vedeva neppure come egli avrebbe potuto agire diversamente, senza rendersi colpevole di violare la par condicio degli eventuali altri candidati alla iscrizione che in particolare, nel presentare la sua domanda d’iscrizione, l’interessata aveva dichiarato di allegare i seguenti documenti: certificato di nascita; certificato del casellario giudiziale; certificato di capacità civile; certificato di laurea;

codice fiscale e documentazione relativa alla professione – costituita da un’autocertificazione dell’attività di collaborazione resa con il gruppo incontro Aldebaran della Fondazione Centostelle per il recupero dei tossicodipendenti nel periodo dal dicembre 1978 al luglio 1983 e da un attestato del dott. S., titolare di studio medico privato, di espletata attività collaborativa dal 5.3.1986 al 12.5.1989;

che se si teneva conto che la L. 18 febbraio 1989, n. 56, art. 32 istitutiva dell’albo degli psicologi, prevedeva, in sede di prima applicazione, fra l’altro, il diritto all’iscrizione dei laureati che da almeno sette anni avessero svolto effettivamente in maniera continuativa attività di collaborazione o di consulenza attinenti alla psicologia con enti o istituzioni pubbliche o private, appariva evidente come la documentazione allegata alla domanda non fosse idonea ad attestare il possesso dei requisiti, mancando sia il requisito della continuità settennale, sia il requisito della prestazione dell’attività stessa per l’intero periodo presso enti o istituzioni, tale non potendo essere considerato, almeno sulla sola base del certificato rilasciato dal dott. S., lo studio medico politerapico di cui egli era titolare;

che alla luce di tale documentazione, pertanto, ed a prescindere dal valore che potesse darsi all’autocertificazione, nessuna colpa poteva attribuirsi al Commissario nell’avere rifiutato l’iscrizione; ed anche ove si fosse voluto dare peso al convincimento del Tribunale, secondo cui la continuità dell’attività di collaborazione non avesse dovuto considerarsi interrotta dalla parentesi di tre anni intercorrente fra il primo ed il secondo periodo, e che tanto il gruppo incontro Aldebaran, quanto, in particolare, lo studio del dott. S., fossero da considerare alla stregua di istituzioni, non c’era modo di qualificare come illecito colpevole l’essersi il commissario convinto del contrario. Nè, in questo giudizio, era stato minimamente spiegato perchè mai l’avere creduto tanto fosse stato non solo sbagliato, ma sbagliato colpevolmente.

Avverso questa sentenza la B. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo, illustrato da memoria e notificato il 18.11.2005 al Ministero della Giustizia ed al Commissario per la formazione dell’albo professionale degli psicologi per la Toscana, che non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso la B. denunzia “violazione e/o falsa applicazione di legge sub specie dell’art. 2043 c.c. Omessa ed insufficiente motivazione della sentenza su un punto decisivo della controversia.”.

La ricorrente censura anche per vizi motivazionali il diniego del chiesto ristoro, dolendosi:

– che la Corte distrettuale, asserendo che la sentenza passata in giudicato avrebbe coperto solo il diritto all’iscrizione, ma non anche l’illegittimità della mancata iscrizione, abbia potuto ritenere “il diritto dell’attrice all’iscrizione indipendentemente dalla illegittimità amministrativa del provvedimento di diniego da parte del commissario”, ossia concludere che in quella sentenza un giudizio sulla illegittimità di tale diniego sarebbe mancato, quando, invece, da detta pronuncia si ricavava inoppugnabilmente che l’iscrizione era stata negata illegittimamente e poi rilasciata ex imperio che si sia affermato contrariamente al vero, che per accertare il diritto all’iscrizione il giudice del diniego di iscrizione dovette andare al di là della documentazione acclusa alla domanda di iscrizione, ossia integrarla attraverso l’audizione di testimoni e compiere una nuova istruttoria amministrativa e dedurre il possesso dei requisiti aliunde, da testimonianze o altro, acquisendo surrettiziamente documentazione non presentata entro i termini prescritti, quando invece dovette solo rivalutare la congruità e validità dell’attestato, già esaustivo anche alla luce della circolare ministeriale del 4.05.1989;

che si sia rimessa in discussione la legittimità del diniego per sopperire, evidentemente, alla ritenuta (ed innegabile) impossibilità di dimostrare l’assenza di colpa dell’amministrazione così come richiesta dalla giurisprudenza;

che non si sia ritenuto che la colpa in discussione era quella dell’amministrazione e non del funzionario, di tal che a fini risarcitori non era necessario il dolo o che la colpa fosse stata grave;

che non si sia ritenuto che la colpa, consistendo in violazione di norme o circolari era in re ipsa, coincideva cioè con l’illegittimità, ed era “di per sè ravvisabile nella violazione della norma, senza che l’amministrazione potesse giovarsi dell’errore scusabile dei suoi funzionavi” e col solo temperamento (suggerito nella controversia dal Ministero) dell’errore scusabile incidente sull’interpretazione della legge, da considerarsi tuttavia soltanto “se riconducibile ad oggettiva oscurità (attestata eventualmente da persistenti contrasti ermeneutica) della norma violata o altrimenti inevitabile”;

che si sia erroneamente affermato che il Commissario “non avrebbe potuto agire diversamente, mancando sia il requisito della continuità settennale, sia il requisito della prestazione dell’attività stessa per l’intero periodo presso enti o istituzioni”, quando invece era sufficiente oltre alla dichiarata illegittimità dell’atto amministrativo la dimostrazione della lesione di un interesse della vita, circostanza ampiamente provata dalla d.ssa B. e comunque non contestata dalla pubblica amministrazione. Il motivo non merita favorevole apprezzamento.

Al Commissario straordinario regionale, nominato ai sensi della L. 18 febbraio 1989, n. 56, art. 31 spettava accertare la ricorrenza delle condizioni tassativamente prescritte dall’art. 32 (nella specie lett. c) della medesima legge per far luogo, in regime transitorio, all’iscrizione all’Albo degli psicologi. Tale accertamento non implicava valutazioni di carattere amministrativo, ossia scelte del comportamento più rispondenti all’interesse pubblico, ma solo il riscontro di requisiti predeterminati, con margini di discrezionalità meramente tecnica (tra le numerose altre, cass. SU n. 5802 del 1995; n. 12267 del 2004), Come ineccepibilmente ritenuto dalla Corte distrettuale, l’accertamento con efficacia di giudicato, compiuto dal giudice ordinario circa la sussistenza, negata in sede amministrativa, del diritto soggettivo della professionista all’iscrizione all’Albo, pur se correlato all’accertamento incidentale (art. 34 c.p.c.) e prodromico alla disapplicazione del provvedimento sfavorevole, dell’illegittimità del diniego, non poteva comportare di per sè solo (in tema, cfr, tra le numerose altre, cass. n. 20358 del 2005; n. 20454 del 2005; n. 15259 del 2006;

n. 6005 del 2007; n. 13061 del 2007; n. 4326 del 2010; n. 5561 del 2010) l’accoglimento della successiva domanda giudiziaria svolta dalla medesima professionista, di risarcimento ex art. 2043 c.c., del danno conseguito al diniego di iscrizione espresso dal competente Commissario. In tale ulteriore giudizio civile, infatti, come irreprensibilmente ritenuto dai giudici d’appello, occorreva procedere con riferimento alle specificità del caso, all’autonoma verifica della ricorrenza degli elementi costitutivi della fattispecie risarcitoria azionata e segnatamente all’accertamento in concreto ed ex ante della colpa della PA, accertamento incensurabile in sede di legittimità se sorretto, come nella specie, da adeguata motivazione.

In espresso, doveroso rapporto con le regole legali d’imputazione all’Amministrazione della responsabilità da fatto illecito, la Corte di merito ha assoggettato il provvedimento amministrativo di rigetto dell’iscrizione, al necessario controllo del rispetto dei principi di affidamento, ragionevolezza e tutela effettiva dei diritti riconosciuti dalla Costituzione. All’esito di tale corretta verifica ha escluso, con motivazione non illogica e plausibile, l’illiceità del diniego amministrativo d’iscrizione, sostanzialmente considerando l’argomentata valutazione negativa resa dal Commissario, non incongrua ed ingiustificabile alla luce del dettato normativo di cui alla citata Legge, art. 32, lett c) ed in rapporto alla provenienza ed al contenuto della documentazione – in precedenza menzionata – prodotta dalla B. a sostegno della sua domanda d’iscrizione all’Albo. D’altra parte, su tale conclusione circa l’assenza di manifesto errore di apprezzamento tecnico dell’allegata documentazione, condizionante l’operato dell’amministrazione, alcuna influenza appaiono esplicare il mero richiamo alla circolare ministeriale del 4.05.1989, della quale non si è trascritto il contenuto, prima che chiarita l’anteriorità rispetto all’adozione del provvedimento di rigetto, di cui non emerge la data, nè la nuova allegazione in fatto involgente l’addebito d’incompletezza dell’istruttoria amministrativa, implicante accertamenti e valutazioni precluse in questa sede.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto. Non deve pronunciarsi sulle spese, atteso l’esito del giudizio di legittimità ed il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 14 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2011

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