Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23495 del 26/08/2021

Cassazione civile sez. I, 26/08/2021, (ud. 14/05/2021, dep. 26/08/2021), n.23495

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12708/2016 proposto da:

M. Costruzioni S.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Emanuele Filiberto

n. 287, presso lo studio dell’avvocato Luca Nicoletti, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ente Nazionale per le Strade – A.n.a.s., in persona del legale

rappresentante pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi

n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta

e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 583/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

14/5/2021 dal Cons. Dott. MARCO MARULLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La s.r.l. M. Costruzioni, impresa appaltatrice dei lavori commessi da ANAS s.p.a per il realizzazione di un collegamento viario di penetrazione nell’abitato di La Spezia, ricorre per cassazione avverso la riportata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Roma, adita da ANAS a mente degli artt. 827 c.p.c. e segg., ha dichiarato la nullità del lodo arbitrale pronunciato tra le parti sul presupposto della rilevata insussistenza nella specie di una clausola compromissoria e, perciò, del conseguente difetto di potestas iudicandi del collegio arbitrale instato dalla M. per la condanna di ANAS in relazione a talune riserve contrattuali.

La Corte distrettuale, motivando il proprio pronunciamento, richiamata segnatamente l’attenzione sulla previsione recata dall’art. 19 del contratto inter partes, prevedente la competenza del giudice ordinario per tutte le controversie che fossero insorte tra le parti, ha smentito il contrario assunto arbitrale – sorretto dalla duplice considerazione che la competenza degli arbitri sarebbe stata argomentabile in ragione del richiamo, contenuto nel contratto, alle norme del capitolato speciale d’appalto a sua volta rinviante alla L. 11 febbraio 1994, n. 109, art. 32, che prevedeva la possibilità per le parti di devolvere in arbitrato le controversie tra loro insorte e che sarebbe stata inoltre attestata dal comportamento concludente delle parti ed, in particolare, dalla nomina da parte di ANAS di un proprio arbitro e dall’adesione di essa alla designazione del presidente del collegio – osservando, in successione, che “l’assunto non può essere condiviso poiché di fatto fondato sulla totale immotivata espunzione dall’assetto negoziale della previsione dell’art. 19 del contratto d’appalto, clausola che, invece, prevede in modo inequivocabile che tutte le controversie inerenti l’esecuzione del contratto siano devolute al giudice ordinario”; che atteso il dettato della L. n. 109 del 1994, art. 32, che rimette l’arbitrato alla violontà delle parti, il rinvio ad esso “e’ da intendersi quale possibilità di inserire la clausola arbitrale nel contratto di appalto o di stipulare apposito compromesso per singole controversie”; che tenuto conto dell’atto di significazione e diffida con cui ANAS aveva declinato la competenza arbitrale “l’avvio e la conclusione del procedimento portante all’insediamento degli arbitri non vale si per sé a sanare il vizio di potere degli arbitri derivante dalla inesistenza di clausola compromissoria, né può implicare immancabilmente rinuncia alla declinatoria poiché la parte ha interesse ad evitare la nomina ex art. 810 c.p.c., comma 2”.

Il mezzo proposto dalla M., illustrato pure con memoria, si vale di cinque motiv a quali si oppone con controricorso ANAS.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo di ricorso la M. deduce la nullità dell’impugnata sentenza poiché, sebbene nell’opporre il lodo ANAS avesse inteso denunciare non già l’invalidità della convenzione di arbitrato, ma l’interpretazione arbitrale di talune disposizioni negoziali, “la Corte d’Appello, prescindendo dal thema decidendum prospettato dall’appellante e dall’ambito delle censure da esso avanzate, ha proceduto a rivalutare direttamente e funditus la res controversa, fornendo una interpretazione nuova ed alternativa di quelle stesse clausole e di quei comportamenti negoziali già valutati dal Collegio” e travalicando in tal modo i limiti proprio del giudizio di impugnazione arbitrale, che non può avere ad oggetto la valutazione di circostanze che riguardano il merito delle controversia e, segnatamente, l’interpretazione dei contratti, oltre a violare l’art. 829 c.p.c., comma 3, non essendo consentita l’impugnazione per violazione delle norme di diritto in difetto di espressa volontà delle parti.

2.2. Il motivo non ha pregio.

In disparte dalla considerazione che l’allegazione, deducendo che ANAS abbia lamentato in sede impugnazione l’errore interpretativo in cui sarebbero incorsi i giudici privati nel ritenersi legittimati al giudizio incardinato davanti ad essi dalla M., è priva di autosufficienza, tanto da far credere, coerentemente con le difese dispiegate da ANAS e con la ricognizione che ne compie la Corte d’Appello nel riassumere il contenuto dei primi due motivi di impugnazione, che essa non rispecchi esattamente la sottostante realtà processuale, è assorbente, nell’enunciato senso preclusivo, il costante e consolidato insegnamento di segno contrario rinvenibile nella giurisprudenza di questa Corte – e di cui il giudice dell’impugnazione si è mostrato ben consapevole – secondo cui “dedotta la nullità del lodo per inesistenza della clausola compromissoria, il giudice di merito ha il potere di interpretare direttamente la previsione contrattuale oggetto di contestazione, per accertare se contenga o meno la volontà di compromettere in arbitri la soluzione delle controversie; infatti, rilevando ai fini dell’accertamento della “potestas iudicandi” degli arbitri, l’interpretazione della clausola compromissoria non incontra i limiti stabiliti per l’interpretazione delle altre clausole contrattuali, riservata agli arbitri e sindacabile dal giudice di merito solo per violazione delle norme di ermeneutica contrattuale o per difetto assoluto di motivazione” (Cass., Sez. I, 28/03/2007, n. 7649).

Determinandosi, dunque, in fedele attuazione di questo indirizzo la Corte territoriale non è affatto incorsa nel travalicamento dei poteri conferitile in sede di impugnazione del lodo arbitrale, ma, in questo sollecitata dai primi due motivi di impugnazione, si è sentita in obbligo di indagare il fondamento della potestas arbitrale svolgendo un compito non diverso, se non per la maggior gravità del vizio denunciato, da quello che è consentito a mente dell’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 1, allorché si denunci la nullità del lodo per l’invalidità della convenzione di arbitrato.

In parte qua la decisione impugnata non merita, quindi, censura.

2.3. Il rigetto della censura declinata con il primo motivo di ricorso riverbera negativamente anche in danno del quarto motivo di ricorso – che resta perciò assorbito -, in esplicazione del quale la M. si duole che la Corte d’Appello, travalicando i limiti del sindacato devolutogli per mezzo delle censure sollevate con i primi due motivi di impugnazione, incidenti ad avviso della deducente solo sull’interpretazione del contratto e non sulla potestas iudicandi degli arbitri, non abbia tenuto “in nessuna considerazione (tale) l’acquiescenza sul punto perfezionatasi a seguito di mancata specifica censura dell’appellante”, con l’effetto che la sentenza da essa pronunciata sarebbe nulla per violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 329 c.p.c., comma 2.

Va da sé, infatti, che se per effetto della denunciata inesistenza del patto compromissorio, la Corte d’Appello del tutto legittimamente è tenuta ad indagarne il fondamento ed in questa impostazione procede direttamente all’interpretazione del contratto, nessuna preclusione pro iudicato si rende in proposito opponibile – e ciò anche a tacere delle riserve che la formulazione del primo motivo solleva in chiave di autosufficienza del ricorso -, di modo che neppure sotto questa angolazione la sentenza impugnata si rende meritevole di cassazione.

3.1. Con il secondo motivo di ricorso la M. lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1362 e 1367 c.c. poiché, nel dissentire dall’interpretazione degli arbitri – che avevano, si è visto, valorizzato in particolare la condivisione di ANAS nella nomina del presidente del collegio giudicante -, “il ragionamento della Corte d’Appello, secondo cui il richiamo alla L. n. 109 del 1994, art. 32, allora vigente che statuiva che “tutte le controversie… possono essere deferite ad arbitri” sarebbe da intendere “quale possibilità di inserire la clausola arbitrale nel contratto di appalto o di stipulare apposito compromesso per singole controversie” rimane un apodittico opinamento del giudice” (prima doglianza); la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 808 c.p.c., poiché il verbale di nomina del presidente del collegio, in cui ANAS e M. dichiaravano di voler deferire la decisione della controversia agli arbitri, “era in grado di rivestire la dignità di patto compromissorio tra le parti e, quindi, di fondare la competenza del Collegio arbitrale” (seconda doglianza); la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 1418 c.c. e con riferimento alla L. n. 109 del 1994, art. 16, poiché, posto che le parti, per mezzo del richiamo operato dal capitolato speciale, avevano inteso esplicitare la loro volontà a favore della competenza arbitrale e che il relativo regolamento contrattuale non poteva perciò essere novato, sostituendo la clausola arbitrale con la previsione della competenza del giudice ordinario, l’art. 19 del contratto, ove interpretato come fatto dalla Corte d’Appello nel senso di escludere la competenza arbitrale, “dovrebbe dichiararsi nullo ex art. 1418 c.c., per violazione dei principi e delle norme imperative in materia di affidamento di appalti pubblici” (terza doglianza).

3.2. Con lo stesso secondo motivo e, poi, più esplicitamente, con il terzo motivo di ricorso la M. imputa alla decisione impugnata anche l’omesso esame di un fatto decisivo avendo la Corte d’Appello nella sua ricostruzione “omesso di considerare del tutto l’atto di nomina del Presidente del Collegio” e non avendo, perciò, “minimamente vagliato la questione”.

3.3. Il secondo motivo di ricorso non ha alcun pregio.

La prima doglianza e’, prim’ancora che infondata, considerato il tenore letterale dell’art. 19 del contratto (“tutte le controversie derivanti dall’esecuzione dell’appalto sono devolute al giudice ordinario”), nonché quanto la Corte decidente, in linea con i precedenti di questa Corte, segnatamente osserva circa la non conducenza del comportamento della parte pubblica successivo alla conclusione del contratto (“l’avvio e la conclusione procedimento portante all’insediamento degli arbitri non vale di per sé a sanare il vizio di carenza di potere degli arbitri derivante dalla inesistenza di clausola compromissoria, né può implicare immancabilmente rinuncia alla declinatoria poiché la parte ha inteso evitare la nomina ex art. 810 c.p.c., comma 2”), inammissibile sostanziandosi nella rappresentazione di un mero dissenso di principio, sicché essa viene meno al comando secondo cui la censura ermeneutica non può “risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass., Sez. III, 28/11/2017, n. 28319).

3.4. Ferma con ciò, quindi, la competenza del giudice ordinario, cade di conseguenza il fondamento logico-giuridico in grado di legittimare la competenza arbitrale, dato che la riproduzione in sede convenzionale, per il tramite del citato art. 19, di un criterio legale di determinazione della competenza, quando le parti ben potrebbero derogarvi, ne attesta la chiara volontà di affidare la definizione delle liti tra loro insorte al giudice ordinario piuttosto che al giudice privato, di modo che è un fuor d’opera ipotizzare che la competenza arbitrale possa essere oggetto di sopravvenuta determinazione (seconda doglianza) e, di più, che della norma convenzionale se ne possa argomentare la contrarietà ad una norma imperativa (terza doglianza). E questo non senza poi dire, come bene ha rimarcato il giudice del gravame, che la L. n. 109 del 1994, art. 32, comma 1, applicabile in ragione del richiamo fattovi dall’art. 20 del capitolato speciale d’appalto prevede la competenza arbitrale solo in via facoltativa (“Tutte le controversie derivanti dall’esecuzione del contratto, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell’accordo bonario previsto dell’art. 31-bis, comma 1, possono essere deferite ad arbitri”), dove la facoltatività, come questa Corte ha più volte precisato, proprio perché volta a consentire di derogare al principio del giudice naturale, “deve essere espressa in maniera esplicita ed univoca” (Cass., Sez. I, 4/01/2017, n. 81), non essendo sufficiente un generico rinvio ad altro documento che eventualmente contenga la clausola compromissoria, poiché soltanto il richiamo espresso e specifico di detta clausola, con i caratteri della “relatio perfecta”, assicura la piena consapevolezza delle parti in ordine alla deroga alla giurisdizione.

3.5. Nessun seguito può poi trovare la doglianza motivazionale e quella di pari segno ostesa nel terzo motivo di ricorso, ricordato, come già si è visto sopra, quanto la Corte territoriale ha osservato circa la non ravvisabilità nella specie di un comportamento concludente in capo alla stazione appaltante.

4. Il quinto motivo di ricorso attiene alla condanna alle spese di lite pronunciata dalla Corte d’Appello, che resta ovviamente assorbito auspicandosene la cassazione in conseguenza dell’accoglimento degli altri motivi di ricorso.

5. Il ricorso va dunque respinto.

6. Spese alla soccombenza ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Respinge il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in Euro 7200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 14 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2021

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