Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23494 del 20/09/2019
Cassazione civile sez. I, 20/09/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 20/09/2019), n.23494
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 24321/2018 r.g. proposto da:
B.O., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta
procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Federico
Lera, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Sarzana,
Via 8 marzo n. 3.
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro legale rappresentante
pro tempore.
– intimato –
avverso la sentenza della Corte di appello di Genova, depositata in
data 5.2.2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
19/6/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.
Fatto
RILEVATO
che:
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Genova – decidendo sull’appello proposto da B.O., cittadino del Gambia, avverso la ordinanza emessa in data 7.2.20017 dal Tribunale di Genova (con la quale erano state respinte le domande volte ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato e le richieste di protezione sussidiaria ed umanitaria) – ha confermato il provvedimento impugnato, rigettando, pertanto, l’appello.
La corte del merito ha ritenuto non verosimile e contraddittoria la versione dei fatti raccontati dal richiedente come ragioni fondanti la necessità del suo espatrio dal Gambia: il ricorrente aveva, infatti, raccontato di sentirsi minacciato da agenti del NIA (il servizio segreto del Gambia) per la sua appartenenza al partito politico dell’UDP e di nutrire una ulteriore ragione di pericolo nella vendetta temuta dai parenti di una giovane ragazza, che egli avrebbe messo incinta e che poi avrebbe rifiutato di sposare. La corte territoriale ha ritenuto comunque insussistente il pericolo di persecuzioni statali nei confronti del richiedente e neanche delineato il pericolo di essere arrestato e di subire trattamenti disumani nelle carceri del suo paese, così rigettando la sua domanda di protezione internazionale e sussidiaria. Il giudice di appello ha altresì evidenziato che il Gambia, dopo le elezioni democratiche del 2016, è ormai avviato su un percorso di riforme democratiche e di normalizzazione, dopo il lungo periodo di dittatura, e che pertanto il paese di provenienza non può ritenersi a rischio per conflitti interni e per soppressione delle libertà civili. La corte di merito ha, infine, osservato che il ricorrente non si trovava neanche in una situazione di particolare vulnerabilità e non aveva neanche dimostrato un percorso di integrazione in Italia, così rigettando anche l’ulteriore richiesta di protezione umanitaria avanzata in via subordinata.
2. La sentenza, pubblicata il 5.2.2018, è stata impugnata da B.O. con ricorso per cassazione, affidato ad una unica ragione di censura. L’amministrazione intimata non ha svolto difese.
Diritto
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 32, comma 3, in combinato disposto con il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, in relazione al diniego della richiesta protezione umanitaria. Si osserva che, in caso di rientro in patria del richiedente, quest’ultimo si troverebbe esposto a rischio per il suo stesso sostentamento e per la sua incolumità per essere sottoposto a processo penale.
2. Il ricorso è inammissibile in ragione della sua genericità e per aver allegato fatti nuovi.
2.1 La censura si compone invero di una lunga (e inutile) elencazione di fonti normative di riferimento e di principi giurisprudenziali affermati dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, senza alcun riferimento all’applicabilità degli stessi alla fattispecie concreta oggi ancora sub iudice, allegando solo la situazione di indigenza e di difficoltà economica del richiedente che, di per sè sola, non può certo legittimare la richiesta di protezione umanitaria.
2.2 A ciò si aggiunga che le allegazioni riguardanti il percorso di integrazione sociale in Italia del richiedente devono considerarsi nuove perchè non allegate nei precedenti gradi di giudizio ed anzi escluse dalla stessa corte territoriale nella motivazione impugnata.
Nè la parte ricorrente ha allegato ed indicato l’atto difensivo con il quale avrebbe proposto la menzionata doglianza, così rendendo la censura irricevibile in questo giudizio di legittimità.
Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità per la mancata difesa dell’amministrazione intimata.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto dellaggsistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 19 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2019
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