Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23494 del 09/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 09/10/2017, (ud. 19/07/2017, dep.09/10/2017),  n. 23494

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2600-2014 proposto da:

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE UNIVERSITA’ E RICERCA ((OMISSIS)), in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

S.N., elettivamente domiciliato in ROMA, V. NAZARIO SAURO 16,

presso lo studio dell’avvocato STEFANIA REHO, rappresentato e difeso

dall’avvocato MASSIMO PISTILLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 10587/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 31/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/7/2017 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Roma, in accoglimento del gravame proposto da S.N. nei confronti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ed in riforma della decisione del Tribunale di Viterbo, ha riconosciuto il diritto dell’appellante, appartenente al personale precario della scuola, assunto con ripetuti contratti a tempo determinato, alla progressione professionale retributiva in relazione al servizio prestato, e condannato il Ministero a corrispondere al predetto le differenze stipendiali in ragione dell’anzianità maturata;

– la Corte territoriale, chiarito preliminarmente che nella controversia in esame non si discuteva degli scatti biennali di previsti dalla L. n. 312 del 1980, art. 53richiamato il principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell’Accordo Quadro sul lavoro a tempo determinato, trasfuso nella Direttiva 99/70/CE del 28 giugno 1999 e recepito nel nostro ordinamento dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 6 ha svolto le seguenti considerazioni: – le condizioni di impiego, rispetto alle quali sussiste il divieto di discriminazione, comprendono in conformità con quanto chiarito dalla Corte di Giustizia, tutti gli istituti idonei ad incidere sulla quantificazione del trattamento retributivo e, quindi, anche gli scatti di anzianità riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato, non essendo idonei a giustificare una diversità di trattamento tanto la mera circostanza che un impiego nel settore pubblico sia definito “non di ruolo” quanto la specialità del sistema del reclutamento scolastico; – la clausola 4, in quanto precisa ed incondizionata, prevale sul diritto interno laddove la natura, la durata e la frequenza delle prestazioni lavorative non differiscono, in fatto, da quelle del personale assunto a tempo indeterminato; – ciò in particolare si verifica nelle ipotesi di assunti che abbiano lavorato con continuità nella medesima funzione in forza di una pluralità di contratti;

– per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca sulla base di un motivo;

– il lavoratore ha resistito con controricorso;

– la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

– non sono state depositate memorie;

– il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con l’unico articolato motivo il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca denuncia violazione e falsa applicazione della L. 3 maggio 1999, n. 124, art. 4, del D.M. 13 giugno 2007 del Ministro della Pubblica Istruzione anche in combinato con la L. n. 312 del 1980, art. 53 e del D.L. 13 maggio 2011, n. 70, art. 9,comma 18, come convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 2011, art. 1, comma 2, delle calusole 4 e 5 dell’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 99/70/CE. Assume che: – i rapporti di lavoro a tempo determinato del settore scolastico sono assoggettati ad una normativa speciale di settore, sicchè agli stessi non si applica la disciplina generale dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001; – il principio di non discriminazione è correlato all’abuso del contratto a termine, che nella specie deve essere escluso in quanto il ricorso alla supplenza e alla stipula di contratti a termine del personale scolastico trova giustificazione in ragioni oggettive e non è maliziosamente finalizzato a consentire al datore di lavoro un risparmio di spesa;

– il lavoratore assunto a tempo determinato nel settore scolastico non è comparabile a quello di ruolo, perchè ogni singolo rapporto è distinto ed autonomo rispetto al precedente;

– il motivo non è fondato;

– come già osservato da questa Corte (Cass. 7 novembre 2016, n. 22558, Cass. 23 novembre 2016, n. 23868; Cass. 29 dicembre 2016, n. 27387, Cass. 5 gennaio 2017, n. 165; Cass. 10 gennaio 2017, n. 290 alle cui motivazioni ci si riporta integralmente in quanto del tutto condivise), l’obbligo posto a carico degli Stati membri di assicurare al lavoratore a tempo determinato “condizioni di impiego” che non siano meno favorevoli rispetto a quelle riservate all’assunto a tempo indeterminato “comparabile”, sussiste, quindi, a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto, giacchè detto obbligo è attuazione, nell’ambito della disciplina del rapporto a termine, del principio della parità di trattamento e del divieto di discriminazione che costituiscono “norme di diritto sociale dell’Unione di particolare importanza, di cui ogni lavoratore deve usufruire in quanto prescrizioni minime di tutela” (Corte di Giustizia 9.7.2015, causa C177/14, Regojo Dans, punto 32);

– la clausola 4 dell’Accordo quadro è stata più volte oggetto di esame da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ha affrontato tutte le questioni rilevanti nel presente giudizio rilevandone il carattere incondizionato idoneo alla disapplicazione di qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte di Giustizia 15.4.2008, causa C- 268/06, Impact; 13.9.2007, causa C- 307/05, Del Cerro Alonso; 8.9.2011, causa C-177/10 Rosado Santana) ed affetinando la esclusione di ogni interpretazione restrittiva, non potendo la riserva in materia di retribuzioni contenuta nell’art. 137, n. 5 del Trattato (oggi art. 153, n. 5), “impedire ad un lavoratore a tempo deteiniinato di richiedere, in base al divieto di discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli lavoratori a tempo indeterminato, allorchè proprio l’applicazione di tale principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del Cerro Alonso, cit., punto 42);

– la CGUE ha evidenziato che le maggiorazioni retributive che derivano dalla anzianità di servizio del lavoratore costituiscono condizioni di impiego ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza ivi richiamata) e che a tal fine non è sufficiente che la diversità di trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di contratto, nè rilevando la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione fra impiego di ruolo e non di ruolo, perchè la diversità di trattamento può essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55 e con riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di Giustizia 18.10.2012, cause C302/11 e C305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C393/11, Bertazzi);

– l’interpretazione delle norme eurounitarie è riservata alla Corte di Giustizia, le cui pronunce hanno carattere vincolante per il giudice nazionale – che può e deve applicarle anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza interpretativa – e valore di ulteriore fonte del diritto della Unione Europea, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito dell’Unione (fra le più recenti in tal senso Cass. 8 febbraio 2016, n. 2468);

– anche in questa sede il Ministero, pur affermando l’esistenza di condizioni oggettive a suo dire idonee a giustificare la diversità di trattamento, ha fatto leva su circostanze che prescindono dalle caratteristiche intrinseche delle mansioni e delle funzioni esercitate, le quali sole potrebbero legittimare la disparità, insistendo, infatti, sulla natura non di ruolo del rapporto di impiego e sulla novità di ogni singolo contratto rispetto al precedente, ossia su ragioni oggettive che legittimano il ricorso al contratto a tempo determinato e che rilevano ai sensi della clausola 5 dell’Accordo Quadro, da non confondere, per quanto sopra si è già detto, con le ragioni richiamate nella clausola 4, che attengono, invece, alle condizioni di lavoro che contraddistinguono i due tipi di rapporto in comparazione, in ordine alle quali nulla ha dedotto il ricorrente;

– pertanto, essendo da condividere la proposta del relatore, il ricorso va rigettato;

– la novità e la complessità della questione, diversamente risolta dalle Corti territoriali e solo di recente affrontata dalla Corte di legittimità, giustificano la compensazione delle spese del giudizio;

– non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, atteso che le stesse, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. n. 1778/2016).

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 luglio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2017

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