Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23491 del 20/09/2019

Cassazione civile sez. I, 20/09/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 20/09/2019), n.23491

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 18658/2018 r.g. proposto da:

N.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Rosa

Vignali, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in

Firenze, Via Antonio Gramsci n. 22.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro legale rappresentante

pro tempore.

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di Firenze, depositata in data

28.12.2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/6/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

Fatto

RILEVATO

che:

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Firenze – decidendo sull’appello proposto da N.A., cittadino del Pakistan, avverso la ordinanza emessa in data 15.1.2017 dal Tribunale di Firenze (con la quale erano state rigettate le domande del richiedente volte ad ottenere lo status di rifugiato e, in via subordinata, la protezione sussidiaria ed umanitaria) ha confermato il provvedimento impugnato, rigettando, pertanto, l’appello. La corte del merito ha ritenuto, in ordine alla richiesta dello status di rifugiato, non credibili le dichiarazioni rese dal ricorrente in quanto in alcun modo circostanziate e neanche confutate dalle ragioni del gravame, che erano state proposte in modo del tutto generico; ha, inoltre, osservato che la regione di provenienza del richiedente, e cioè il Punjab, aveva registrato negli ultimi anni un numero sempre decrescente di omicidi, così evidenziando una situazione non tutelabile con la reclamata protezione sussidiaria e umanitaria; ha, peraltro, evidenziato che il rischio di violenze da parte di gruppi talebani, pur allegato dal richiedente con specifico riferimento all’episodio personale del rapimento con la finalità di affiliarlo, non era credibile, atteso che i talebani sono soliti colpire persone di credo musulmano sciita e cristiani, e non già sunniti, come il ricorrente; ha infine ritenuto infondata anche la domanda volta ad ottenere la protezione umanitaria, in ragione della mancanza di una condizione di vulnerabilità del richiedente e del suo mancato inserimento nella realtà socio-lavorativa italiana.

2. La sentenza, pubblicata il 28.12.2017, è stata impugnata da N.A. con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3. Si denuncia la violazione da parte dei giudici del merito dell’obbligo di approfondimento istruttorio in ordine alla vicenda di violenza subita dai talebani che lo avrebbero legittimato ad ottenere lo status di rifugiato.

2. Con il secondo motivo si articola sempre vizio di violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione al diniego della reclamata protezione sussidiaria. Osserva che la corte di merito aveva ritenuto erroneamente come parametro di valutazione dell’indice di decremento dei crimini in Punjab una popolazione di 95 milioni di abitanti, mentre quest’ultima regione conta solo 27 milioni di abitanti. Da ciò discenderebbe una valutazione lacunosa e superficiale dell’allegata situazione di pericolosità interna del Pakistan.

3. Con il terzo motivo si deduce vizio di omesso esame di un fatto decisivo e comunque vizio di motivazione apparente sempre in ordine all’erronea indicazione del numero della popolazione del Pakistan.

4. Con il quarto motivo si deduce vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in relazione alla protezione umanitaria. Si evidenzia che il dato temporale della permanenza in Italia per quattro anni costituiva un sicuro indice dimostrativo dell’inserimento del richiedente in Italia e che tale elemento doveva essere considerato in modo comparativo con la situazione socio-politica del suo paese, per valutare adeguatamente la sua condizione di soggettiva vulnerabilità.

5. Il ricorso è inammissibile.

5.1 Il primo motivo di censura è inammissibile.

La parte ricorrente, con la formulazione della doglianza sopra ricordata, non coglie la ratio decidendi sottesa alla decisione di diniego dello status di rifugiato, decisione che aveva evidenziato come la scarsa credibilità del narrato del richiedente, unitamente al profilo della mancata prova dei fatti, rendeva non accoglibile la richiesta di protezione internazionale.

Ebbene, risulta di tutta evidenza che, a fronte di una motivazione che preliminarmente non ritiene credibile e verificabile il racconto in ordine alle ragioni poste alla base della decisione di espatriare, risulta addirittura ultroneo interrogarsi sulla possibilità di integrare o meno il quadro probatorio attraverso l’attivazione dei poteri officiosi del giudice del merito.

5.2 Il secondo motivo è anch’esso inammissibile giacchè, a fronte di una motivazione che spiega adeguatamente le ragioni per le quali il ricorrente non sarebbe sottoposto ad alcun rischio nella ipotesi di suo rimpatrio in relazione al rischio illustrato (e cioè in ragione principalmente della religione professata, musulmano sunnita), la parte ricorrente pretenderebbe dalla Corte di legittimità una nuova (e diversa) rilettura della vicenda fattuale per addivenire ad una diversa decisione, in ordine alla condizione di pericolosità interna del Pakistan e in particolare della regione del Punjab.

5.3 Il terzo motivo è inammissibile sia perchè non risponde al vero che la erronea triplicazione della popolazione del Punjab sarebbe un elemento di valutazione la cui omissione avrebbe integrato il vizio denunciato sotto il paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (integrando al più una erronea valutazione di un elemento conoscitivo del giudizio) sia perchè non è stata comunque allegata la decisività di tale elemento di valutazione ai fini della decisione.

5.4 Non sfugge alla declaratoria di inammissibilità neanche il quarto motivo, atteso che il ricorrente non coglie, anche in tal caso, la ratio decidendi sottesa al diniego della richiesta protezione umanitaria, diniego che si fonda sulla constatata mancata dimostrazione dell’inserimento socio-lavorativo del richiedente in Italia e sulla mancanza di una condizione di effettiva vulnerabilità del richiedente.

Se così è, allora richiedere da parte del ricorrente quella valutazione di comparazione di tale integrazione con le condizioni del paese di origine del ricorrente (secondo gli insegnamenti contenuti nel noto arresto giurisprudenziale richiamato, Cass. 4455/2018) risulta anche in questo caso una allegazione inutile ed ultronea, in assenza proprio della dimostrazione di uno dei due elementi di valutazione da porre in comparazione per la valutazione di vulnerabilità del richiedente.

Ne consegue la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del giudizio di legittimità per la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2019

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