Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23486 del 10/11/2011

Cassazione civile sez. I, 10/11/2011, (ud. 11/10/2011, dep. 10/11/2011), n.23486

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – rel. Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.V., elettivamente domiciliato in Napoli, al Centro

Direzionale, ed. G/1, Via Giovanni Porzio, presso l’avv. MARRA

Alfonso Luigi che lo rappresenta e difende per procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del ministro in carica,

elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’Appello di Roma n. 3928, pubblicato

il 26 maggio 2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

giorno 11 ottobre 2011 dal Relatore Pres. Dott. Ugo VITRONE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 14 gennaio – 26 maggio 2008 la Corte d’Appello di Roma condannava il Ministero del. la Giustizia al pagamento della somma di Euro 5.920,00 in favore di P.V. a titolo di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo da lui promosso dinanzi alla Pretura di Napoli con ricorso depositato il 15 febbraio 1994 e concluso in primo grado con sentenza del 2 maggio 1996 contro la quale era stato proposto appello definito con sentenza del 13 aprile 2005. Osservava la Corte che il giudizio di primo grado aveva avuto durata ragionevole, mentre l’eccedenza temporale di durata del processo di appello poteva determinarsi in sei anni e due mesi e che nella specie andava liquidato un indennizzo pari a Euro 5.920,00 oltre interessi legali.

Contro il decreto ricorre per cassazione P.V. con dodici motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il collegio, riunito in camera di consiglio, ha deliberato di procedere con motivazione semplificata.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 6 della Convenzione CEDU e della L. n. 89 del 2001 e sostiene la prevalenza della normativa CEDU con conseguente obbligo per il giudice di disapplicare la normativa nazionale con essa in contrasto.

Ancor prima che infondata la censura è inammissibile poichè alla sua esposizione segue un quesito di diritto del tutto astratto e privo di concreto riferimento alla fattispecie concreta in esame poichè essa si riduce all’interrogazione rivolta al giudice di legittimità con la quale si chiede se la L. n. 89 del 2001, art. 2 costituisca applicazione dell’art. 6 della Convenzione CEDU e se, in ipotesi di contrasto tra la legge nazionale e la normativa convenzionale, il giudice debba fare diretta applicazione di quest’ultima e disapplicare la legge nazionale.

La medesima inammissibilità vizia il secondo motivo con il quale il ricorrente si limita a chiedere alla Corte di stabilire la ragionevole durata del processo presupposto da lui instaurato.

Con il terzo e il quarto motivo si censura la determinazione dell’indennizzo il quale avrebbe dovuto essere calcolato con riferimento all’intera durata del processo e non solo al termine eccedente la sua durata ragionevole e si eccepisca l’omessa motivazione al riguardo.

La censura è destituita di fondamento poichè la L. n. 89 del 2001, art. 2 impone di correlare l’equa riparazione al solo periodo di tempo eccedente la ragionevole durata del processo e tale modalità di calcolo non esclude la compatibilità di tale disciplina con gli impegni assunti dall’Italia con la ratifica della Convenzione CEDU (Cass. 26 aprile 2005, n. 8603; 14 febbraio 2008, n. 3716).

Con il quinto e il sesto motivo si censura il mancato riconoscimento del bonus di Euro 2000,00 che spetterebbe ratione materiae e sulla cui richiesta manca ogni pronuncia nel decreto impugnato.

Le censure sono inammissibili poichè la concessione di tale integrazione dell’equa riparazione – contrariamente a quanto mostra di ritenere il ricorrente – è consentita solo nei casi di particolare gravità del danno in relazione alla posta in gioco e tali requisiti nella specie non solo non sono stati allegati nè possono evincersi dalla formulazione della censura in esame, ma quand’anche lo fossero stati, essi costituiscono oggetto di una valutazione discrezionale del giudice che non implica alcun obbligo di motivazione specifica essendo sufficiente, in caso di diniego, anche solo una motivazione implicita (da ultimo: Cass. 22 gennaio 2010, n. 1101).

Con il settimo motivo il ricorrente si duole che le spese di lite siano state liquidate con riferimento alla tariffa dei procedimenti di volontaria giurisdizione e non a quella dei procedimenti contenziosi applicabile nella specie.

La censura è priva di qualsiasi riscontro in punto di fatto non contenendo il provvedimento impugnato alcun riferimento alla tariffa dei provvedimenti camerali.

Con l’ottavo motivo si lamenta la mancata liquidazione delle spese giudiziali secondo gli standards europei facendo diretta applicazione dell’art. 1 della Convenzione CEDU. La censura è infondata in quanto nel procedimento camerale per il riconoscimento dell’equo indennizzo trovano applicazione le disposizioni dell’art. 91 c.p.c., e segg. senza che nessun ostacolo all’applicazione di detta normativa provenga dalla Convenzione CEDU ovvero dal Protocollo aggiuntivo, poichè resta esclusa l’applicazione analogica delle disposizioni sulle spese vigenti per i procedimenti dinanzi alla Corte di Strasburgo: dall’approvazione della Convenzione CEDU non discende infatti alcun obbligo a carico del legislatore nazionale di conformare il processo di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo negli stessi termini previsti quanto alle spese per il procedimento dinanzi agli organi istituiti in attuazione della Convenzione (Cass. 21 ottobre 2009, n. 22305).

Inammissibile è il nono motivo con il quale il ricorrente si limita a proporre un astratto quesito interrogando la Corte circa la applicazione nella specie della tariffa dei procedimenti contenziosi.

Con i motivi successivi, dal decimo al dodicesimo, il ricorrente si duole sotto vari profili del la liquidazione delle spese giudiziali articolando censure del tutto generiche senza alcun riferimento alla nota spese che si assume depositata nel giudizio di merito; esse non possono trovare accoglimento in forza del costante principio giurisprudenziale secondo cui la parte, per mettere il giudice di legittimità nella condizione di valutare la proposta censura, deve trascrivere nel ricorso per cassazione la nota spese depositata nel giudizio di merito specificando gli errori commessi dal giudice nell’applicazione delle singole voci che si assumono liquidate in difformità delle previsioni di tariffa (Cass. 18 agosto 1999, n. 8721).

In conclusione il ricorso non può trovare accoglimento e deve essere respinto.

Le spese giudiziali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente la pagamento delle spese giudiziali che liquida in complessivi Euro 800,00, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2011.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2011

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