Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23485 del 20/09/2019

Cassazione civile sez. I, 20/09/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 20/09/2019), n.23485

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21556/2018 proposto da:

N.M., elettivamente domiciliato in Roma in Piazza Cavour,

presso la cancelleria civile della Corte di cassazione e

rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Diroma per procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

cntro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., domiciliato per

legge presso l’Avvocatura Generale dello Stato in Roma, Via dei

Portoghesi, 5;

– intimato –

avverso la sentenza n. 172/2018 della Corte di appello di Trieste,

depositata il 16/01/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia

nella Camera di consiglio del 19/06/2019.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. N.M., cittadino del Senegal, ricorre in cassazione con due motivi avverso la sentenza in epigrafe indicata che aveva confermato l’ordinanza resa dal locale Tribunale con il rigettare il ricorso dal primo proposto avverso il provvedimento della Commissione Territoriale di Gorizia di diniego di ogni forma di protezione internazionale.

Il signor N.M., originario della località di (OMISSIS), nella regione di Louga, di etnia wolof e di religione musulmana, aveva dichiarato, nel corso dell’audizione dinanzi alla Commissione territoriale, di essere fuggito dal Senegal nel 2016 – dopo essere stato accusato dai clienti dell’esercizio di generi alimentari, dove lavorava, di essersi impadronito del loro denaro e quindi denunciato alla polizia locale -, temendo di essere arrestato ed ingiustamente detenuto a fronte di un fatto commesso da altri, e di essere giunto in Libia, dove veniva sequestrato e subiva maltrattamenti psicologici e fisici, per poi raggiungere l’Italia il 19.3.2016.

La Corte territoriale aveva disposto l’acquisizione di informazioni generiche D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 8, sul Senegal, non specifiche sulla regione di provenienza, il Louga, e sulla situazioni di povertà, efficienza ed imparzialità dell’apparato giudiziario e sulle garanze di difesa, ed aveva ritenuto il Senegal paese non povero e, ancora, il richiedente coinvolto in una disputa di carattere civilistico nell’apprezzato carattere temporalmente modesto della sua permanenza in Libia.

2. Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente fa valere la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, in combinato con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e dell’art. 8 CEDU.

La Corte di appello, nel negare la protezione umanitaria, avrebbe acquisito informative COI di un’altra regione del Senegal, il F., diversa da quella di provenienza del richiedente, all’esito formulando un giudizio positivo sostanzialmente falsato rispetto alla bassa aspettativa di vita, all’elevato tasso di povertà ed alla sua incidenza sulla popolazione.

Nel porre in comparazione la condizione di integrazione del ricorrente con la situazione soggettiva ed oggettiva di compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza, a definizione della condizione di vulnerabilità del primo, i giudici di merito, poi, non avrebbero acquisito informazioni sul funzionamento del sistema di protezione di polizia e dell’ordine pubblico in Senegal, al fine di valutare il timore dell’appellante di essere ingiustamente condannato, in caso di rientro, ad una pena detentiva in condizioni pericolose per l’integrità fisica.

Al fine di scrutinare il radicamento in Italia, non sarebbe stata debitamente valutata la posizione del richiedente protezione e lo sforzo ivi effettuato.

Il motivo di ricorso si presta ad una valutazione di inammissibilità per una pluralità di profili che vengono di seguito indicati.

1.1. Il motivo fatto valere come violazione di legge è inammissibile perchè si traduce in una richiesta di valutazione del merito della controversia.

Per costante affermazione di legittimità “in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione: il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (ex plurimis: Cass. 12/10/2017 n. 24054).

1.2. Il medesimo motivo è altresì inammissibile per genericità e non autosufficienza.

Il ricorrente contesta la corretta interpretazione del rapporto COI preso in valutazione dalla Corte di appello, che nell’impugnata sentenza puntualmente richiama le pp. 6-8 dell’informativa, senza però indicare gli elementi che contrasterebbero con siffatta valutazione e non si confronta con la ratio decidendi adottata dalla Corte di merito.

I giudici di appello hanno infatti escluso la sussistenza di condizioni oggettive e soggettive a sostegno della protezione umanitaria invocata apprezzando, invece, dal rapporto in atti, l’esistenza di uno stabile governo democratico in cui le forze dell’ordine sono controllate dall’autorità civile.

La Corte qualifica altresì il racconto dell’appellante come relativo a vicenda dai contorni di rilievo civilistico, per le pretese avanzate dai creditori del richiedente.

Le condizioni quindi del sistema punitivo-carcerario del Senegal dedotte in ricorso integrano una evidenza destinata a non confrontarsi con l’indicata ratio e che definisce un profilo non rilevante per la decisione.

La mancata ottemperanza dell’onere di collaborazione istruttoria, pure denunciata, resta poi genericamente definita in ricorso, a fronte della puntuale fonte indicata in sentenza (www.infomercatiesteri.it), affermativa di una previsione di crescita del Senegal per l’anno 2018 e quindi di un giudizio di vulnerabilità oggettivamente escluso per una motivazione piena, ed articolata all’attualità, che non viene, come tale, attinta da critica nel proposto ricorso.

2. Con il secondo motivo si fa valere l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio integrato dalla inefficienza e parzialità del sistema giudiziario e delle garanzie del diritto di difesa.

Il motivo è inammissibilmente diretto a far valere attraverso l’omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, un diverso ed alternativo apprezzamento di merito, precluso come tale al sindacato di legittimità.

Il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali ed abbia costituito oggetto di discussione tra le parti, nel suo carattere decisivo per il giudizio (Cass. 10/06/2016 n. 11892).

Il motivo è del pari inammissibile là dove ripropone il tema del rilievo della violazione dei diritti umani sofferti dal richiedente protezione umanitaria nel paese di transito, la Libia, in cui egli è rimasto per due settimane, avendo la Corte partitamente respinto, con argomenti che non vengono attaccati in questa sede, se non per reiterazione dei precedenti di merito.

3. Il ricorso è quindi nel suo complesso inammissibile.

Nulla sulle spese nella non costituzione della parte intimata.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2019

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