Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23484 del 20/09/2019

Cassazione civile sez. I, 20/09/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 20/09/2019), n.23484

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21553/2018 proposto da:

T.D.B., elettivamente domiciliato in Roma in Piazza

Cavour, presso la cancelleria civile della Corte di cassazione e

rappresentato e difeso dall’avvocato Andrea Diroma per procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., domiciliato per

legge in Roma, Via dei Portoghesi, 5 presso l’Avvocatura Generale

dello Stato;

– intimato –

avverso la sentenza n. 292/2018 della Corte di appello di Trieste,

depositata il 11/06/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia

nella Camera di consiglio del 19/06/2019.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. T.D.B., cittadino del Senegal, ricorre in cassazione con due motivi avverso la sentenza in epigrafe indicata che, confermando l’ordinanza resa dal locale Tribunale, aveva rigettato il ricorso dal primo proposto avverso il provvedimento della Commissione Territoriale di Gorizia di diniego di ogni forma di protezione internazionale.

Il signor T.D.B., originario di (OMISSIS), villaggio nella Regione di Casamance, di etnia wolof e di religione musulmana, aveva dichiarato dinanzi alla competente Commissione territoriale di essere fuggito dal Senegal nel 2013 in seguito ad un violentissimo episodio, non isolato, segnato dall’incursione di bande armate separatiste, che avevano attaccato il villaggio, appiccato il fuoco alle case e violentato le donne, e di essersi recato dapprima in Mauritania per poi giungere attraverso il Burkina Faso ed il Niger, in Libia e, quindi, in Italia nel 2015.

La Corte territoriale nel confermare la decisione di primo grado aveva ritenuto l’esistenza di un conflitto “a bassa intensità” nella”.(Regione di Casamance in Senegal ed escluso che l’appellante fosse persona vulnerabile, nella insussistenza nell’indicata Regione, di una situazione di indigenza della popolazione e nella irrilevanza della permanenza del richiedente in Libia, Paese di transito.

2. Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente fa valere la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 1, in combinato con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e dell’art. 8 CEDU.

La Corte di appello, nel negare la protezione umanitaria, avrebbe mal inteso i contenuti delle acquisite informative COI e di articoli di stampa circa l’esistenza nei territori di provenienza del richiedente di un conflitto armato “di bassa intensità” e ciò nonostante le presenza, in quei territori, di mine anti-uomo e di un maturato episodio di sangue; i giudici di secondo grado avrebbero mancato di operare un approfondimento istruttorio non acquisendo rapporti COI per l’anno 2018.

Nel comparare la condizione di integrazione del ricorrente con la situazione soggettiva ed oggettiva di compromissione dei diritti umani nel paese di provenienza, a definizione della condizione di vulnerabilità del primo, i giudici di merito, poi, non avrebbero acquisito informazioni sul funzionamento del sistema di protezione di polizia e dell’ordine pubblico in Senegal, al fine di valutare il timore dell’appellante di essere ingiustamente condannato, in caso di rientro, ad una pena detentiva, in condizioni pericolose per l’integrità fisica.

Al fine di scrutinare il radicamento in Italia, non sarebbe stata valutata la conoscenza acquisita dall’appellante della lingua italiana e delle tecniche di produzione adottate in Italia nel settore dell’agricoltura.

Il motivo di ricorso si presta da una valutazione di inammissibilità per una pluralità di profili che vengono di seguito indicati.

1.1. Il motivo fatto valere come violazione di legge è inammissibile perchè si traduce in una richiesta di rivalutazione del merito della controversia per una diversa ricomposizione delle prove nel raffronto tra risultanze di causa e concreta fattispecie senza che per la proposta censura si ponga un problema di interpretazione della fattispecie astratta di legge (ex plurimis: Cass. 12/10/2017 n. 24054).

1.2. Il medesimo motivo è altresì inammissibile per sua genericità e non autosufficienza.

Il ricorrente contesta la corretta interpretazione del rapporto COI 2017 preso in valutazione dalla Corte di appello per la locuzione, ivi utilizzata nel definire il contrasto sussistente nel paese di provenienza del richiedente protezione, di “conflitto di bassa intensità” senza però nè indicare gli elementi che urterebbero con siffatta qualificazione, se non per un rimando a fonti giornalistiche non meglio precisate nè indicare quali ragioni evidenzierebbero di quella qualificazione la contraddittorietà e l’inadeguatezza a sostenere il formulato giudizio di non pericolosità del Paese di provenienza per la protezione richiesta.

1.3. La mancata ottemperanza all’onere di collaborazione istruttoria, pure denunciata, resta anch’essa genericamente definita in ricorso, censurando sul punto il richiedente la mancata valutazione da parte della Corte di merito di una informativa COI del 2018 senza puntualizzarne il contenuto e tanto a fronte di una motivazione che dà conto, invece, che la relazione utilizzata, quella del 27.9.2017 della Commissione Nazionale per il diritto di asilo sulla situazione in Senegal e nella Casamance, rientra tra quelle “più aggiornate acquisite in questo grado”.

2. Con il secondo motivo si fa valere l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio integrato dalla persistenza del conflitto tra bande armate rivali in Senegal con grave rischio per la sicurezza e la salute del ricorrente e l’omessa integrazione istruttoria quanto alle persecuzioni patite in Libia, paese di transito, dal richiedente.

2.1. Il motivo è inammissibilmente diretto a far valere attraverso l’omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, un diverso ed alternativo apprezzamento di merito, precluso come tale al sindacato di legittimità.

Il cattivo esercizio del potere di valutazione delle prove da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio (Cass. 10/06/2016 n. 11892).

2.2. Quanto poi alla valutazione della condizione di vulnerabilità del richiedente con riguardo al suo radicamento in Italia essa è inammissibile perchè diretta a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, per una parcellizzata lettura degli estremi della violazione del nucleo dei diritti primari nel paese di provenienza e del radicamento in Italia.

2.3. Il motivo è del pari inammissibile là dove ripropone il tema del rilievo della violazione dei diritti umani sofferti dal richiedente protezione umanitaria nel paese di transito, la Libia, avendo la Corte di merito partitamente respinto la questione, con argomenti che non vengono attaccati in questa sede se non per reiterazione di quelli precedentemente spesi nella fase di merito.

3. Il ricorso è pertanto e nel suo complesso inammissibile.

Nulla sulle spese nella non costituzione della parte intimata

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2019

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