Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23482 del 27/08/2021

Cassazione civile sez. I, 26/08/2021, (ud. 07/07/2020, dep. 26/08/2021), n.23482

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1293/2016 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliata in Roma, Viale delle

Milizie n. 22, presso lo studio dell’avvocato Gabriele Di Genesio

Pagliuca, rappresentata e difesa dall’avvocato Alessandro Ciaccia,

per procura speciale estesa in calce al ricorso.

– ricorrente –

contro

Banca del Fucino s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Ugo De Carolis, n.

101, presso lo studio dell’avvocato Fulvio Francucci, che la

rappresenta e difende, unitamente agli avvocati Gianluca Tarquini, e

Italo Tarquini, per procura speciale estesa in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 184/2015 della Corte di appello di L’Aquila,

depositata il 11 febbraio 2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7

luglio 2020 dal consigliere Dott. Marco Vannucci.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza emessa il 20 novembre 2007 il Tribunale di Avezzano: pronunciò la nullità degli ordini di acquisto di valori mobiliari, in tale atto specificamente indicati, sottoscritti da S.F. con l’intermediazione della Banca del Fucino s.p.a.; condannò tale banca a restituire a S. complessivi Euro 20.000, oltre interessi.

2. Adita dalla parte soccombente, la Corte di appello di L’Aquila, con sentenza emessa il 11 febbraio 2015, in riforma della sentenza appellata: rigettò le domande proposte da S.F. nei confronti della Banca del Fucino s.p.a.; condannò S. a restituire alla banca la somma di Euro 27.575.

3. Per la cassazione di tale sentenza S. propose ricorso contenente due motivi di impugnazione.

4. La banca intimata resiste con controricorso.

5. La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La controricorrente eccepisce preliminarmente che il ricorso è inammissibile in ragione della sua tardività, in quanto: il 2 aprile 2015 ella notificò alla controparte la sentenza di appello sopra indicata; dal giorno successivo a quello di notificazione iniziò a decorrere il termine per l’impugnazione, di cui all’art. 325 c.p.òc., comma 2; tale termine spirò il 1 giugno 2015; il ricorso per cassazione venne notificato solo il 2 dicembre 2015.

2. La ricorrente deduce l’infondatezza di tale eccezione preliminare di rito, in quanto: la notificazione della sentenza menzionata dalla banca era “inesistente, nulla e/o comunque inidonea a far decorrere il termine breve, in quanto essa riporta erroneamente, sia nell’epigrafe, che nel dispositivo, per ben due volte, il nome ” S.L.” in luogo di quello, corretto, di ” S.F.”; tali “plurimi errori riguardano… un elemento essenziale del giudizio che ci occupa, attesa la rilevanza che nella soggetta materia assume il profilo del soggetto investitore, onde la necessità del massimo rigore nell’individuazione del soggetto destinatario senza margini di incertezza, ai fini della presentazione del ricorso, considerato anche il rilevante contenzioso formatosi nella specifica materia anche presso la stessa Corte aquilana. In ogni caso, anche ove non si intenda invocare una causa di nullità ex art. 132 c.p.c., i ridetti errori sono stati ritenuti tali da formare oggetto di istanza di correzione di errore materiale ex art. 288 c.p.c., accolta dalla Corte d’Appello di L’Aquila all’udienza del 12/07/2015″; la banca, al fine di far decorrere il termine breve per la proposizione del ricorso per cassazione contro detta sentenza, avrebbe dovuto provvedere a notificare a essa controricorrente, la sentenza dell’11 febbraio 2015 unitamente all’ordinanza dispositiva della correzione degli errori materiali emessa dalla Corte di appello il 12 luglio 2015; in mancanza di tale notificazione il ricorso è da considerarsi tempestivo, essendo stata copia di tale atto consegnata all’ufficiale giudiziario il 30 novembre 2015 per la relativa notificazione alla banca poi perfezionatasi il 2 dicembre 2015, prima, dunque, dello spirare del termine annuale di cui all’art. 327 c.p.c., nel testo applicabile al caso concreto (in quanto la causa era stata introdotta prima del 4 luglio 2009).

3. In considerazione della specificità tanto dell’eccezione preliminare che della replica a questa, la Corte è abilitata all’esame degli atti dalle parti menzionati.

In fatto risulta che:

la sentenza impugnata venne pubblicata il 11 febbraio 2015;

tale sentenza indicava (nell’epigrafe e nel dispositivo) la parte appellata con il nome di ” S.L.”, in luogo di quello, corretto, di ” S.F.”;

la banca notificò la sentenza di appello a S.F. il 2 aprile 2015 mediante consegna dell’atto al relativo difensore con procura;

con ordinanza del 12 luglio 2015 la Corte di Appello di L’Aquila corresse i sopra indicati errori materiali.

E’ incontroverso che la banca non notificò alla controparte la sentenza unitamente all’ordinanza di correzione.

La giurisprudenza di legittimità è costante nell’affermare il principio secondo cui l’art. 288 c.p.c., comma 4, nel prevedere che le sentenze assoggettate al procedimento di correzione possono essere impugnate, per le parti corrette, nel termine ordinario decorrente dal giorno in cui è stata notificata l’ordinanza di correzione, si riferisce alla sola ipotesi in cui l’errore corretto sia tale da determinare un qualche obiettivo dubbio sull’effettivo contenuto della decisione e non già quando l’errore stesso, consistendo in una discordanza chiaramente percepibile tra il giudizio e la sua espressione, possa essere agevolmente eliminato in sede di interpretazione del testo della sentenza, poiché, in tale ultima ipotesi, un’eventuale correzione dell’errore non sarebbe idonea a riaprire i termini dell’impugnazione (in questo senso cfr, fra le molte: Cass. n. 6931 del 1982; Cass. n. 1843 del 1996; Cass. n. 192 del 1999; Cass. n. 6969 del 2006; Cass. n. 19668 del 2009; Cass. n. 22184 del 2014).

E’ stato, in tale ottica, precisato che l’adozione della misura correttiva non vale a riaprire o prolungare i termini di impugnazione della sentenza che sia stata oggetto di eliminazione di errori do redazione del documento cartaceo, chiaramente percepibili dal contesto della decisione, in quanto risolventisi in una mera discrepanza tra il giudizio e la sua espressione (cfr.: Cass. n. 1843 del 1996 cit.; Cass. n. 6931 del 1982 cit.; Cass. n. 2491 del 1986). La mera rettifica del nome della parte soccombente, comunque identificabile dal contesto della decisione, non può dunque consentire l’impugnazione tardiva della sentenza corretta (in questo senso, cfr.: Cass. n. 3630 del 1954; Cass. n. 3669 del 1956; Cass. n. 6969 del 2006, cit.; Cass. n. 17413 del 2019).

In tale ordine di concetti, pertanto, al caso di specie non trova applicazione l’art. 288 c.p.c., comma 4, in quanto: nel giudizio di merito la parte attrice era S.F.; nessun’altra persona fisica era costituita nel giudizio da costei promosso nei confronti della Banca del Fucino s.p.a.; la sentenza di appello, recante l’errore nel prenome della parte persona fisica (” L.” in luogo di ” F.”) venne dalla banca notificata mediante consegna dell’atto al difensore con procura di S.F..

L’errore materiale commesso non determinò, quindi, la non decorrenza del termine breve per la notificazione del ricorso per la cassazione della sentenza contenente tale errore; con la conseguenza che il giorno in cui la ricorrente consegnò all’ufficiale giudiziario copia del ricorso per Cassazione contro la sentenza di appello in discorso (30 novembre 2015) era da tempo elasso il termine, breve, per la proposizione dell’impugnazione che iniziò a decorrere il giorno successivo a quello di notificazione a S.F. della sentenza di appello (2 aprile 2015).

Il ricorso, in conclusione, è inammissibile in ragione della sua tardività.

Da tale decisione deriva la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione anticipate dalla controricorrente, nella misura in dispositivo liquidata.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a pagare alla controricorrente le spese da quest’ultima anticipate nel grado, liquidate in Euro 5.000 per compenso di avvocato, oltre spese forfetarie pari al 15% di tale compenso, I.V.A. e c.p.A. come per legge, ed Euro 200 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo, se dovuto, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 7 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2021

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