Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23481 del 27/10/2020

Cassazione civile sez. VI, 27/10/2020, (ud. 08/09/2020, dep. 27/10/2020), n.23481

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26456-2019 R.G. proposto da:

V.A., M.J.E., elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato ALEXANDER SCHUSTER;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

contro

PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL

TRIBUNALE DI ROMA;

– intimato –

per regolamento di competenza avverso il decreto del TRIBUNALE di

ROMA, depositato il 02/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 08/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE;

lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del

Sostituto Procuratore Generale Dott. DE RENZIS LUISA, che chiede

alla Corte di Cassazione di respingere il ricorso per regolamento

facoltativo di competenza, con ogni conseguente statuizione in

ordine alle spese di lite.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto camerale del 14 giugno/2 luglio 2019, pronunciato nei confronti di più parti, il Tribunale di Roma ha accolto il ricorso, D.P.R. n. 396 del 2000, ex art. 95 proposto dal Pubblico Ministero in sede per la rettificazione parziale dell’avvenuta trascrizione, nei registri dello stato civile del comune capitolino, di un atto di nascita canadese di una minore ( Va.Mi.Al.) nata a seguito di gestazione per altri dalla volontà di V.A. e M.J.E., il primo anche padre genetico.

1.1. Il menzionato tribunale: i) ha disatteso la richiesta di questi ultimi di sospensione, ex art. 295 c.p.c., di detto procedimento per la pendenza di quello, L. n. 218 del 1995, ex art. 67 da loro precedentemente promosso davanti alla Corte di appello di Roma, afferente l’efficacia del medesimo provvedimento straniero, ritenendola destituita di fondamento “atteso che, come dagli stessi dedotto, il procedimento della L. n. 218 del 1995, ex art. 67 è stato definito dalla Corte d’appello di Roma con ordinanza del 20 febbraio 2019, prodotta dagli stessi resistenti unitamente alle note difensive, che ha dichiarato cessata la materia del contendere dando atto che, nelle more del procedimento, Patto di nascita di V.M.A. è stato trascritto ed evidenziando la diversità di causa petendi tra quel giudizio ed il presente giudizio fra i quali non vi è rapporto di pregiudizialità”; il) ha concluso per la contrarietà all’ordine pubblico della trascrizione dell’atto per la parte attinente il padre intenzionale, disponendo che fosse annotato a margine il decreto di annullamento dei dati dello stesso, così come la cancellazione della componente del cognome della minore, già trascritto, che riportava il cognome del padre intenzionale.

2. Avverso tale statuizione V.A. e M.J.E. propongono ricorso per regolamento facoltativo di competenza, chiedendo dichiararsi l’incompetenza del tribunale suddetto nel procedimento D.P.R. n. 396 del 2000, ex art. 95 ivi iscritto al n. 13372/2018 n. r.g., la nullità del decreto impugnato, che lo aveva definito, e la competenza della Corte di appello di Roma.

2.1. Il Ministero dell’Interno, già intervenuto innanzi al tribunale a sostegno della tesi propugnata dal Pubblico Ministero ivi istante, ha depositato memoria ex art. 47 c.p.c., u.c..

2.2. La Procura Generale presso questa Corte ha concluso per il rigetto del ricorso con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese di lite.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. V.A. e M.J.E. prospettano plurime censure avvinte da una evidente connessione. In particolare:

a) con la prima, si assume che il procedimento avviato, D.P.R. n. 396 del 2000, ex artt. 95 e ss. presso il Tribunale di Roma avrebbe dovuto essere proseguito dinanzi alla corte di appello della medesima città, quale ufficio competente in via esclusiva per l’accertamento, ai sensi della L. n. 218 del 1995, artt. 65 e 66 dei requisiti di efficacia in Italia del provvedimento straniero da cui la Procura aveva fatto discendere l’illegittimità della trascrizione e la necessità di ordinarne la rettificazione nei termini predetti;

b) con la seconda, si lamenta la violazione dell’art. 39 c.p.c., comma 2, in quanto competeva alla corte di appello, quale giudice preventivamente adito, la prosecuzione dei giudizi per ragioni di continenza di cause;

c) con la terza, si deduce la violazione dell’art. 34 c.p.c., secondo il quale il giudice, se per legge o per esplicita domanda di una delle parti è necessario decidere, con efficacia di giudicato, una questione pregiudiziale che appartiene, per materia o per valore, alla competenza di un giudice superiore, rimette tutta la causa a quest’ultimo, assegnando alle parti un termine perentorio per la riassunzione della causa davanti a lui;

con la quarta e la quinta, infine, in stretta correlazione con la precedente, viene lamentata la violazione dell’art. 295 c.p.c. e la mancata rimessione dell’intera controversia alla corte di appello ex art. 34 c.p.c.. A dire dei ricorrenti, il tribunale da loro adito D.P.R. n. 396 del 2000, ex artt. 95 e ss. avrebbe dovuto rimettere la decisione sulla questione di stato alla corte di appello con la sospensione del giudizio pendente innanzi ad esso.

2. Il presente regolamento deve essere dichiarato inammissibile.

2.1. E’ opportuno ricordare che l’originario testo dell’art. 38 c.p.c. consentiva il rilievo dell’incompetenza per materia del giudice, anche di ufficio, “in ogni stato e grado del giudizio”, senza, quindi, alcuna preclusione temporale. Successivamente, la L. 26 novembre 1990, n. 353, modificando il comma 1 della disposizione suddetta, stabili che “l’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio nei casi previsti nell’art. 28 sono rilevate, anche d’ufficio, non oltre la prima udiena di trattazione”. Infine, l’ulteriore novella del menzionato articolo introdotta dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, ha imposto, tra l’altro, che “l’incompetenza per materia, quella per valore e quella per territorio sono eccepite, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata” (comma 1), mentre il rilievo d’ufficio, limitatamente a quella per materia, per valore e territorio inderogabile, può avvenire soltanto “non oltre l’udienza di cui all’art. 183” (comma 2).

2.2. L’applicabilità dell’art. 38 c.p.c. ai procedimenti camerali costituisce, ormai, opinione consolidata della giurisprudenza di legittimità (r., ex multis, Cass. n. 13055 del 1999; Cass. n. 14139 del 2002; Cass. n. 8115 del 2003; Cass. n. 2255 del 2004), dovendosi così ritenere che quanto sancito dal comma 1 di detta disposizione, nel testo, qui utilizzabile ratione temporis, risultante dalla descritta modifica apportatagli dalla L. n. 69 del 2009, ha ormai introdotto una generale barriera temporale, di natura preclusiva, ai fini della possibilità di eccepire ejo rilevare di ufficio l’incompetenza per materia, per valore o per territorio nei casi previsti dall’art. 28 c.p.c..

2.2.1. Pertanto, tenuto conto dell’iter specificamente previsto per il procedimento di cui al D.P.R. n. 396 del 2000, artt. 95-96 qui di interesse, l’eccezione di incompetenza per materia può considerarsi ritualmente e tempestivamente proposta dalla parte o sollevata di ufficio solo: i) nel primo caso, se contenuta in una memoria difensiva depositata anteriormente alla prima udienza camerale o formulata, al più tardi, in tale udienza ed inserita nel relativo verbale; ii) nel secondo, ove sollevata dal giudice non oltre la prima udienza camerale.

2.3. Fermo quanto precede, nella specie non risulta che gli odierni ricorrenti abbiano tempestivamente e ritualmente sollevato, nel procedimento D.P.R. n. 396 del 2000, ex art. 96 intrapreso, innanzi al Tribunale di Roma, anche nei loro confronti, dal Pubblico Ministero, un’eccezione di incompetenza per materia di quel tribunale.

2.3.1. Infatti: i) dal decreto oggi impugnato si apprende gr. pag. 2) che quel giudice aveva disatteso una loro richiesta di sospensione di quel giudizio, ex art. 295 c.p.c., per la pendenza di uno diverso, L. n. 218 del 1995, ex art. 67 da essi precedentemente promosso davanti alla Corte di appello di Roma – afferente l’efficacia del medesimo provvedimento straniero in forza del quale era avvenuta la trascrizione di cui il Pubblico Ministero aveva domandato la parziale rettifica – ritenendola destituita di fondamento “atteso che, come dagli stessi dedotto, il procedimento L. n. 218 del 1995, ex art. 67 è stato definito dalla Corte d’appello di Roma con ordinanza del 20 febbraio 2019, prodotta dagli stessi resistenti unitamente alle note difensive, che ha dichiarato cessata la materia del contendere dando atto che, nelle more del procedimento, l’atto di nascita di V.M.A. è stato trascritto ed evidenziando la diversità di causa petendi tra quel giudizio ed il presente giudizio tra i quali non vi è rapporto di pregiudizialità”; ii) dal tenore letterale dell’odierno ricorso, si evince, poi, che, costituendosi innanzi al tribunale capitolino, il V. ed il M. avevano rassegnato le seguenti conclusioni: “in via pregiudiziale, sospendere il giudizio ex art. 295 c.p.c. in attesa della definizione del procedimento pendente… Nel merito, rigettarsi il ricorso in quanto infondato” cfr. pag. 4 del ricorso, che riproduce le conclusioni della pag. 8 della loro memoria di costituzione); mentre, all’udienza camerale del 10 maggio, davanti al suddetto tribunale, gli odierni ricorrenti “insistevano per la sospensione, davano atto che il procedimento pendente avanti alla Corte di appello si era concluso con una pronuncia di non doversi procedere per carenza di interesse, (…), rispetto alla quale era ancora consentito ricorrere in cassazione, e deducendo, in ogni caso, che gli interessati V. e M. chiedevano che la questione dell’efficacia del provvedimento straniero fosse deciso principaliter dalla Corte di appello, sì che, in ogni caso, il procedimento avanti il Tribunale doveva essere necessariamente sospeso o interamente rimesso…” (g%. pag. 4 del ricorso).

2.3.2. E’ intuitivo che la richiesta di sospensione di un giudizio ex art. 295 c.p.c. è cosa completamente diversa dalla proposizione di un’eccezione di incompetenza, sicchè, non essendo stata ritualmente e tempestivamente formulata quest’ultima nel giudizio di merito, deve considerarsene affatto tardiva la sua proposizione solo in questa sede, ricordandosi che la violazione della preclusione di cui all’art. 38 c.p.c. è rilevabile di ufficio dalla Corte di cassazione (Dott. Cass. n. 16557 del 2008; Cass. n. 21858 del 2007). Il provvedimento impugnato, del resto, nemmeno affronta ex officio, risolvendola positivamente, la questione della sua competenza.

2.4. Mere esigenze di completezza, peraltro, inducono il Collegio a rimarcare che: i) non sussiste la lamentata violazione dell’art. 39 c.p.c., comma 2, atteso che il decreto del tribunale oggi impugnato, reso il 2 luglio 2019, è successivo rispetto alla decisione di cessata materia del contendere emessa dalla Corte di appello di Roma (secondo cui, per effetto della trascrizione dell’atto di nascita da parte dell’ufficiale di stato civile, non vi sarebbe stato più alcuno spazio per i relativi accertamenti sullo status e sulla correlata efficacia giuridica del provvedimento straniero in Italia) nel diverso procedimento innanzi ad essa intrapreso dagli odierni ricorrenti L. n. 218 del 1995, ex art. 67 il 20 febbraio 2019 (circostanza di cui il V. ed il M. avevano dato atto nell’udienza, innanzi al tribunale, del 10 maggio 2019). Da qui la conseguente impossibilità, da parte del tribunale capitolino, di valutare qualsivoglia eventuale, potenziale ipotesi di continenza tra i due procedimenti, non sussistendo più alcuna concreta ipotesi di pregiudizialità rispetto ad un giudizio dichiarato estinto per cessata materia del contendere; ii) come già chiarito da questa Suprema Corte, “ai sensi dell’art. 39 c.p.c., comma 2, il giudice che ravvisi la continenza tra una causa propostagli ed altra precedentemente instaurata dinanzi a un giudice diverso deve verificare la competenza (per materia, territorio, derogabile ed inderogabile, e valore) di quest’ultimo in relazione non soltanto alla causa da rimettergli ma anche a quella presso di lui già pendente, con indagine estesa a tutti i criteri di competenza” (cfr. Cass. n. 24161 del 2019): la corte capitolina, pertanto, una volta concluso il procedimento innanzi ad essa instaurato con la riportata pronuncia di cessazione della materia del contendere, nessuna statuizione di continenza – ammessa e non concessa l’ipotizzabilità di una tale decisione – avrebbe più potuto rendere e, parimenti, il tribunale comunque non avrebbe più potuto provvedere anche a volersi prospettare, solo in via meramente ipotetica, una siffatta possibilità – ai sensi dell’art. 34 c.p.c.; iii) in ogni caso, ove pure volesse assumersi che il procedimento L. n. 218 del 1995, ex art. 67 era stato erroneamente definito dalla corte romana con l’appena descritta pronuncia, quest’ultimo provvedimento avrebbe dovuto formare oggetto di specifica e separata impugnativa, rivelandosi inammissibile – nell’odierno regolamento facoltativo di competenza promosso contro il descritto decreto del tribunale suddetto – la formulazione di censure invece rivolte proprio contro quella ordinanza; iv) il diniego di sospensione del processo ex art. 295 c.p.c. (nella specie concretamente opposto dal tribunale capitolino alla corrispondente richiesta degli odierni ricorrenti) non è denunciabile con il regolamento di cui agli artt. 42 e 43 c.p.c., atteso che il primo di essi consente l’esperimento del solo regolamento necessario di competenza esclusivamente per i provvedimenti che dichiarano la sospensione suddetta (r. ex multis, Cass. n. 31694 del 2019; Cass. n. 5645 del 2017), rivelandosi, così, priva di fondatezza qualsivoglia doglianza di pretesa violazione dell’art. 295 c.p.c..

3. In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio interamente compensate tra le parti, attesa la particolare natura della vicenda sostanziale ad esso sottostante, altresì dandosi atto, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (ger. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

3.1. Va disposta, infine, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi giusta il D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei medesimi ricorrenti, in solido tra loro, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, il comma 1-bis se dovuto.

Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 8 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2020

 

 

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