Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23480 del 20/09/2019

Cassazione civile sez. I, 20/09/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 20/09/2019), n.23480

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 15679/2018 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Covour,

presso la cancelleria civile della Corte di cassazione e

rappresentato e difeso dall’avvocato Angelo Raneli giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro p.t., domiciliato per

legge presso l’Avvocatura Generale dello Stato in Roma, Via dei

Portoghesi, 5;

– intimato –

avverso la sentenza n. 541/2018 della Corte di appello di Palermo,

depositata il 14/03/2018;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Dott. Laura Scalia,

nella camera di consiglio del 19/06/2019.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. C.F., cittadino del Mali, proveniente dalla regione di Kayes, ricorre in cassazione con tre motivi avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui la Corte di appello di Palermo, nel confermare l’ordinanza emessa ex art. 702-bis c.p.c., dal locale Tribunale, ha rigettato le domande di riconoscimento di protezione sussidiaria ed umanitaria dal primo proposte, nella ritenuta insussistenza dei relativi presupposti di legge, apprezzata come rinunciata la domanda di protezione maggiore finalizzata al riconoscimento dello status di rifugiato.

2. Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha articolato difesa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente espone di essere cittadino del Mali, della regione del Kayes, paese in cui è in corso dal 2012 un gravissimo conflitto, dedotto come “tuttora attivo”, tra le forze di Stato, gruppi armati indipendentisti, Tuareg e terroristi islamici e di essere fuggito dal proprio Paese in quanto vittima di aggressione e minaccia di morte, per questioni ereditarie, da parte di uno dei propri zii.

Nel racconto del richiedente figura ancora il suo trasferimento a (OMISSIS), capitale del (OMISSIS), in cui il ricorrente espone essere il focolaio di guerra, e quindi dopo un lungo viaggio tra Niger, Algeria e Libia, il suo approdo in Italia il 15.6.2014.

2. Sulla indicata premessa in fatto il ricorrente articola tre motivi.

2.1. Con il primo motivo egli deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, perchè la Corte di appello aveva ritenuto la regione del Kayes, nel sud del Mali, non interessata dal conflitto dopo aver attinto informazioni dal sito “(OMISSIS)” del M.A.E. e tanto in violazione dell’art. 8 cit. che fa carico al giudice di esaminare la domanda, a fronte delle allegazioni di parte, alla luce di informazioni “precise” ed aggiornate sulla situazione generale del Paese di origine, là dove i rapporti COI relativi al Mali avrebbero attestato preoccupazioni circa l’aggravarsi della situazione di sicurezza dell’intero Paese, con diffusione di attacchi terroristici verso il centro ed il sud del Paese, per un livello così elevato del conflitto armato da far ritenere un rischio effettivo di minaccia in caso di rientro.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, che prevede la protezione sussidiaria in favore dei cittadini che corrano il rischio di subire un danno grave ove si trovino a far ritorno nel paese di dimora abituale.

La Corte territoriale non avrebbe considerato che il ricorrente, proveniente dal sud del paese, il Kayes, si era poi trasferito nel cuore del focolaio degli scontri armati ovvero nella capitale Bamako, che, descritta nello stesso report “(OMISSIS)” come centro della maggiore instabilità, era il luogo in cui egli avrebbe fatto ritorno in caso di rimpatrio, il tutto nella obiettiva rilevanza della dedotta situazione.

2.3. Il primo e secondo motivo devono essere esaminati congiuntamente venendo per gli stessi in esame l’istituto della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), ed il distribuirsi rispetto allo stesso, nel rapporto tra richiedente ed autorità statale, degli oneri di allegazione e di collaborazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 14, lett. c).

I motivi sono inammissibili per le ragioni di seguito indicate.

2.3.1. Le censure proposte sono innanzitutto manifestamente infondate in quanto in contrasto con l’affermazione di principio resa da questa Corte di legittimità là dove ha ritenuto, in tema di protezione sussidiaria dello straniero prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), correttamente adempiuto il dovere di cooperazione istruttoria officiosa sulla situazione del Paese di origine del richiedente dalle autorità decidenti – di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 27, comma 1 bis – per acquisizione delle necessarie informazioni anche dai rapporti conoscitivi del Ministero degli Affari Esteri, nella natura qualificata delle fonti perchè equiparate a quelle di altri organismi riconosciuti di comprovata affidabilità e perchè provenienti da un dicastero istituzionalmente dotato di competenze, informative e collaborative, nella materia della protezione internazionale (Cass. 19/04/2019 n. 11103).

2.3.2. I motivi si prestano altresì ad una valutazione di certa inammissibilità là dove in via comparativa si denuncia per essi come non precisa e qualificata la fonte riportata dalla Corte di appello richiamandosi, per contrastarla, l’esistenza di “svariate comunicazioni della Commissione nazionale del diritto d’asilo – unità COI”, dalle quali emergerebbe “una seria preoccupazione per l’aggravarsi della situazione di sicurezza del Paese, nel quale gli attacchi terroristici sono in aumento al nord e si sono diffusi verso il centro e il sud”.

Si tratta di fonti che soffrono, esse stesse, di genericità e non precisione e che, come tali, non possono integrare alcun termine di comparazione.

2.3.3. Il ricorrente non allega altresì di aver fatto valere dinanzi alla Corte di appello il suo trasferimento, con carattere di continuità e sì da integrare la sua nuova dimora, presso la capitale del Mali, Bamako, che egli deduce essere interessata da “attacchi terroristici”, contrassegnando in tal modo il mezzo proposto di un ulteriore contenuto di inammissibilità: quello della mancanza di autosufficienza nella parte in cui esso si limita a valorizzare il richiamo alla produzione curata nei “precedenti gradi di giudizio” senza ulteriore precisazione (ex multis, sull’onere di allegazione ed indicazione propri del ricorso in cassazione, vd. Cass. 13/11/2018 n. 29093).

3. Con il terzo motivo il ricorrente fa valere la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, in cui sarebbe incorsa la Corte di merito, nella parte in cui aveva disatteso la richiesta di protezione umanitaria per un mero automatismo, conseguente al rigetto della protezioni principali, non considerando la condizione di estrema povertà del Mali, annoverato tra i dieci paesi più poveri al mondo, ed il pure dedotto transito in Libia, paese in cui il ricorrente era stato sottoposto a trattamenti inumani e degradanti.

Nell’impugnata sentenza sarebbe mancata una valutazione comparativa tra il grado di integrazione raggiunto nel paese di accoglienza -elevato – e la situazione in cui versava il richiedente nel paese di origine e tanto per stabilire se il rimpatrio vulnerasse del primo l’ineliminabile nucleo dei diritti umani.

3.1. Il motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata nella parte in cui contesta ogni automatismo tra esclusione della protezione maggiore e quella umanitaria (sul principio: Cass. 18/04/2019 n. 10922), atteso che la decisione impugnata argomenta, e nello specifico, sulla tutela umanitaria che esclude per ragioni sue proprie, in tal modo superando, nell’adottata motivazione, ogni criterio di automatismo rispetto alle tutele maggiori tutele (p. 6 sentenza).

3.2. Il medesimo motivo è ancora inammissibile perchè generico e non autosufficiente nella parte in cui muove dalla generalizzata situazione di povertà del Mali non provvedendo il ricorrente ad allegare e comprovare di aver fatto valere in appello un proprio stato di vulnerabilità nel Paese di provenienza.

3.3. In ordine poi alla condizione del Paese di transito, la Libia, come già da questa Corte di legittimità affermato, nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione (Cass. 06/02/2018 n. 2861).

Tanto è accaduto nella specie in cui il ricorrente non indica le conseguenze sofferte in esito all’assunto trattamento ed il grado di incidenza delle stesso sullo stato di salute.

4. Il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile.

5. Nulla sulla spese nella non costituzione dell’Amministrazione intimata. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2019

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