Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23474 del 20/09/2019

Cassazione civile sez. I, 20/09/2019, (ud. 09/09/2019, dep. 20/09/2019), n.23474

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23757/2018 proposto da:

C.S. Alias S., elettivamente domiciliato in Roma

Viale Angelico, 38 presso lo studio dell’avvocato Lanzilao Marco che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 9422/2018 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il

09/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/09/2019 dal Dott. GENOVESE FRANCESCO ANTONIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Roma, con il Decreto n. 9422 del 2018 (pubblicato il 9 luglio 2018) ha respinto il ricorso proposto dal sig. C.S., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento negativo del Ministero dell’Interno – Commissione territoriale di Roma, che a sua volta non aveva accolto le richieste di protezione internazionale e di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, avanzate dal menzionato cittadino di un Paese terzo. Il Tribunale, inquadrata la domanda nell’ambito del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis (come introdotto dal D.L. n. 13 del 2017, convertito con modificazioni nella L. n. 46 del 2017), entrato in vigore il 18 agosto 2017, ha disatteso sia la domanda di rifugio politico e sia quella di protezione sussidiaria, affermando l’estraneità della vicenda narrata (l’essere stato, il richiedente odierno, fatto arrestare da un “prefetto” per appropriarsi della somma che gli sarebbe spettata in forza della vendita da lui eseguita, in favore di una società cinese, dell’area – posseduta anche da altri suoi conterranei – ove era stata scoperta una miniera di bauxite; potendo evadere solo su corruzione dei carcerieri da parte di un suo parente) ai diversi profili considerati dalla legge (le previsioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c)). In particolare, i fatti riferiti non erano credibili, sia per le contraddizioni rilevate dal giudice (riguardo al comportamento degli altri proprietari venditori e al loro pacifico incasso, senza alcuna mediazione prefettizia) e sia perchè il documento portato a suo sostegno, lungi dal dimostrare l’esistenza di un mandato restrittivo, si limitavano a riferire della sua convocazione per deporre davanti al giudice in ordine ad una “questione demaniale nel villaggio di (OMISSIS)”. Inoltre, il Paese di provenienza (la (OMISSIS)) era privo di situazioni di conflitto armato o di violenza indiscriminata, con rischio di danno grave per le persone. Neppure erano state allegate specifiche ragioni di vulnerabilità in rapporto ai rischi di apprezzabile entità cui sarebbe esposto in caso di rimpatrio nè indicate ragioni di comparazione tra le condizioni di vita tra i due Paesi.

Il richiedente asilo ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, con i quali lamenta: a) l’omesso esame di un fatto decisivo riguardante la condizione di pericolosità del Paese di origine, e della situazione di violenza generalizzata esistente nella Guinea (art. 360 c.p.c., n. 3); b) l’errato esame delle dichiarazioni e allegazioni utili alla valutazione della condizione personale del ricorrente in relazione alla individualità della minaccia nel contesto di provenienza (art. 360 c.p.c., n. 3); c) mancata concessione della protezione sussidiaria in ragione dell’erronea valutazione delle condizioni sociopolitiche del Paese di provenienza (art. 360 c.p.c., n. 3); d) erronea mancata applicazione della protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 (art. 360 c.p.c., n. 3), anche in considerazione del diritto alla salute e all’alimentazione e al pericolo in rapporto al divieto di non refoulement (D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, L. n. 110 del 2017, in relazione al reato di tortura); art. 10 Cost. e art. 3 CEDU.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

La ratio decidendi della decisione contenuta nel provvedimento del giudice di merito è stata quella di escludere ogni forma di tutela al richiedente asilo poichè la vicenda di vita narrata, considerata del tutto non credibile, non evocherebbe neppure profili di persecuzione diretta e personale; inoltre la provenienza dalla (OMISSIS) non poteva dirsi – secondo i plurimi reports indicati – interessata da violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato, pur nell’accezione fornita al riguardo dalla giurisprudenza. Neppure era stata allegata una specifica ragione di vulnerabilità in rapporto ai rischi di apprezzabile entità cui sarebbe esposto in caso di rimpatrio; nè indicate ragioni di comparazione tra le condizioni di vita tra i due Paesi.

Tali plurime rationes, tuttavia, contrastate in fatto con i primi tre motivi (con i quali il ricorso contrappone alla ricostruzione del quadro socio-politico di provenienza del richiedente asilo quello scaturente da una diversa “lettura” degli elementi e dei dati fattuali, non ammissibile in questa sede, perchè afferente all’esame del fatto-merito di pertinenza del solo giudice a quo), non sono neppure specificamente impugnate con tutti i motivi nel ricorso, che si dolgono – in modo non conducente – della situazione di violenza generalizzata, ovvero non collegate con il pericolo individuale corso dal richiedente o, in ultimo (quarto mezzo), escludenti anche la protezione umanitaria (che è stata negata in ragione della mancata allegazione della propria vulnerabilità in rapporto ai rischi di apprezzabile entità cui sarebbe esposto in caso di rimpatrio, risultando del tutto nuove – e comunque non autosufficienti – le deduzioni in ordine alla mancata considerazione del diritto alla salute e all’alimentazione del richiedente asilo nonchè del pericolo di tortura e del divieto di non refoulement).

Tali censure sono inammissibili poichè non consentono di pervenire ad una discussione di merito in ordine alle effettive rationes decidendi sopra richiamate, peraltro non tutte impugnate.

All’inammissibilità del ricorso seguono anche le spese di questa fase del processo, in favore del Ministero controricorrente; nonchè il raddoppio del contributo unificato poichè il richiedente non è stato ammesso al PASS.

PQM

La Corte:

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida, in favore del Ministero resistente, nella misura di Euro 2.100,00, oltre SPAD.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 9 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2019

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