Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23472 del 20/09/2019

Cassazione civile sez. I, 20/09/2019, (ud. 09/09/2019, dep. 20/09/2019), n.23472

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22950/2018 proposto da:

K.A., elettivamente domiciliato in Roma Via Della

Giuliana, 32 presso lo studio dell’avvocato Gregorace Antonio che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, commissione Territoriale Per il

Riconoscimento Della Protezione Internazionale Di Roma;

– intimato –

e contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 26/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/09/2019 da GENOVESE FRANCESCO ANTONIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA e RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Roma, con il decreto n. 9109 del 2018 (pubblicato il 26 giugno 2018) ha respinto il ricorso proposto dal sig. K.A., cittadino della Costa d’Avorio, avverso il provvedimento negativo del Ministero dell’Interno – Commissione territoriale di Roma, che a sua volta non aveva accolto le richieste di protezione internazionale e di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, avanzate dal menzionato cittadino di un Paese terzo.

Il Tribunale, inquadrata la domanda nell’ambito del D.Lgs. n. 25 del 2003, art. 35-bis come introdotto dal D.L. n. 13 del 2017, convertito con modificazioni nella L. n. 46 del 2017), entrato in vigore il 18 agosto 2017, ha disatteso sia la domanda di rifugio politico e sia quella di protezione sussidiaria, affermando, da un lato, la genericità e la mancanza di riscontri della vicenda narrata (l’essere stato, il richiedente odierno, bastonato dal padre della fidanzata, un imam musulmano che si opponeva – per ragioni di credo religioso, essendo egli cristiano – alla sua relazione con la figlia, la quale – peraltro – era poi morta cercando di abortire) e, dall’altro, che la vicenda comunque atteneva alla sfera privata e che non poteva rientrare in nessuno dei diversi profili considerati dalla legge (le previsioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c)). In particolare, i fatti riferiti non evocano però profili di persecuzione diretta e personale, senza dire che la regione di provenienza (la Costa d’Avorio) non poteva dirsi – secondo i rapporti consultati e indicati – interessata da violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato, pur nell’accezione fornita al riguardo dalla giurisprudenza, che anzi avendo superato il periodo di instabilità – era in grado anche di offrire le necessarie protezioni.

Neppure era stata allegata e documentata una specifica ragione di vulnerabilità in rapporto ai rischi di apprezzabile entità cui sarebbe esposto in caso di rimpatrio e nè rimostrato un significativo percorso di inserimento nel contesto sociale.

Il richiedente asilo ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi, con i quali lamenta: a-b) la violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione alle dichiarazioni rese ed al mancato supporto probatorio, avendo il giudice omesso di svolgere un ruolo attivo con riferimento alla vicenda narrata e all’affermato difetto dei riscontri della narrazione (art. 360 c.p.c., n. 3); c) l’omesso esame delle dichiarazioni e allegazioni utili alla valutazione della condizione personale del ricorrente in relazione al Paese di origine del richiedente (art. 360 c.p.c., n. 3); d) mancata concessione della protezione sussidiaria in ragione dell’erronea valutazione delle condizioni sociopolitiche del Paese di provenienza: violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 (art. 360 c.p.c., n. 3); e) erronea mancata applicazione della protezione umanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e 19 e art. 19 (art. 360 c.p.c., n. 3), anche in considerazione di allegazioni e prove della propria condizione di salute e della relativa integrazione sociale.

In subordine, il ricorrente ha eccepito l’incostituzionalità del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 13, in relazione agli artt. 3,24,111 e 113 Cost., avendo il legislatore soppresso l’appello in ordine a tali tipi di giudizio.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

La ratio decidendi della decisione contenuta nel provvedimento del giudice di merito è stata quella di escludere ogni forma di tutela al richiedente asilo sia perchè la vicenda di vita narrata mancava, da un lato, della necessaria specificità e di riscontri; sia, dall’altro, della sua attinenza alla sfera privata del richiedente non potendo rientrare in nessuno dei diversi profili considerati dalla legge (le previsioni di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c)); inoltre, la regione di provenienza (la Costa d’Avorio) non poteva più dirsi secondo i rapporti esaminati – interessata da violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato, pur nell’accezione fornita al riguardo dalla giurisprudenza, ed era perciò idonea a garantire la tutela delle persone. Neppure era stata allegata una specifica ragione di vulnerabilità in rapporto ai rischi di apprezzabile entità cui sarebbe esposto in caso di rimpatrio e dimostrato il proprio inserimento sociale nel contesto di arrivo.

Tali plurime rationes, tuttavia, laddove solo contrastate in fatto (terzo e quarto motivo, con i quali si contrappone alla ricostruzione del quadro socio-politico di provenienza quello scaturente da una diversa loro “lettura”, non ammissibile in questa sede, perchè afferente all’esame del fatto-merito di pertinenza del solo giudice a quo), non sono correttamente impugnate con i motivi nel ricorso. Inoltre, laddove (primi due mezzi) essi si dolgono – in modo non conducente – della mancata dimostrazione del narrato, attraverso l’indicazione dei riscontri, obliterano la seconda ratio decidendi quella secondo cui la vicenda comunque atteneva alla sfera privata e che non poteva rientrare in nessuno dei diversi profili considerati dalla legge (le previsioni di cui al D.Lgs. n. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c) per la mancanza di ogni ipotesi di persecuzione, in rapporto alle ragioni legittimamente considerabili, ai sensi della Convenzione di Ginevra).

Nè, in ultimo (quinto mezzo), sono specifiche le doglianze relative all’esclusione anche della protezione umanitaria (che è stata negata sia in ragione della mancata allegazione della propria vulnerabilità in rapporto ai rischi di apprezzabile entità cui sarebbe esposto in caso di rimpatrio, risultando come richieste di riesame quelle deduzioni in ordine alla consistenza delle ragioni sanitarie e alla mancata dimostrazione dell’inserimento del migrante nel contesto di arrivo).

Tali censure sono inammissibili o non consentono di pervenire ad una discussione di merito sulle rationes decidendi sopra richiamate o in quanto postulanti un riesame delle valutazioni già svolte dal giudice di merito.

Nè ha pregio la subordinata questione di legittimità costituzionale, avendo questa Corte già avuto modo di escluderne la fondatezza (Cass. n. 17717 del 2018).

Al complessivo rigetto del ricorso seguono anche le spese di questa fase del processo, in favore del Ministero controricorrente; nonchè il raddoppio del contributo unificato poichè il richiedente non è stato ammesso al PASS.

PQM

La Corte,

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida, in favore del Ministero resistente, nella misura di Euro 2.100,0O, oltre SPAD.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 9 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2019

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