Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23469 del 20/09/2019

Cassazione civile sez. I, 20/09/2019, (ud. 09/09/2019, dep. 20/09/2019), n.23469

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – rel. Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19546/2018 proposto da:

E.F., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Mazzini 8

presso lo studio dell’avvocato Pachile Salvatore che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato Verrastro Francesco;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno Commissione Territoriale Per il Riconoscimento

Della Protezione Internazionale Di Roma;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 22/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/09/2019 dal Dott. GENOVESE FRANCESCO ANTONIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA e RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Roma, con il decreto n. 7333 del 2018 (pubblicato il 22 maggio 2018) ha respinto il ricorso proposto dal sig. E.F., cittadino della Nigeria, avverso il provvedimento negativo del Ministero dell’Interno – Commissione territoriale di Roma, che a sua volta non aveva accolto le richieste di protezione internazionale e di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari, avanzate dal menzionato cittadino di un Paese terzo. Il Tribunale, inquadrata la domanda nell’ambito del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis (come introdotto dal D.L. n. 13 del 2017, convertito con modificazioni nella L. n. 46 del 2017), entrato in vigore il 18 agosto 2017, ha disatteso sia la domanda di rifugio politico e sia quella di protezione sussidiaria, affermando l’estraneità della vicenda narrata (l’essere stato, il richiedente odierno, accusato dal proprio datore di lavoro per l’uso che, a fini di furto, aveva fatto di un veicolo a lui affidato un proprio collega di lavoro, per il quale poi aveva prestato garanzia, offrendo una casa di proprietà familiare) ai diversi profili considerati dalla legge (le previsioni di cui del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, alle lett. a), b) e c)).

Neppure era stata allegata una Specifica ragione di vulnerabilità nè dedotti elementi di sua integrazione sociale.

Il richiedente asilo ha proposto ricorso per cassazione in un unico articolato motivo, con il quale lamenta: a) l’omesso esame di un fatto decisivo riguardante il Paese di origine, ivi incluso il quadro normativo ivi esistente, ai fini dell’applicazione della responsabilità del prestatore di lavoro (art. 360 c.p.c., n. 5); b) di non aver correttamente valutato alcune previsioni di legge (gli artt. 2, 3 e 13 CEDU e art. 46dir. 2013/32/UE; D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in relazione al dovere di cooperazione istruttoria (art. 360 c.p.c., n. 3). Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

La ratio decidendi della decisione contenuta nel provvedimento del giudice di merito è stata quella di escludere ogni forma di tutela al richiedente asilo poichè la vicenda di vita narrata era “palesemente estranea ai motivi di persecuzione per i quali la Convenzione di Ginevra offre tutela” (p. 2) e il ricorrente non aveva “concretamente dedotto di poter subire un danno grave ai sensi delle lettere a) e b) della norma citata” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14). Nè, con riguardo all’Edo State, luogo di provenienza dell’asilante, ricorreva il caso, secondo il ragionamento svolto alle pp. 2 e 3 del provvedimento impugnato, della lettera e) (terza ipotesi contemplata) della menzionata previsione.

Tale ratio, tuttavia, non è stata impugnata nel ricorso, che si duole – in modo non conducente – del mancato impiego dei poteri istruttori da parte del giudice di merito ovvero della mancata richiesta di chiarimenti in relazione a, non discusse nè esaminate, incongruenze della narrazione del richiedente asilo.

Tali censure sono, perciò, inammissibili poichè non consentono di pervenire ad una discussione di merito sulle rationes decidendi sopra

richiamate; così com’è inammissibile anche l’ultima doglianza, che – per le stesse ragioni – lamenta la mancata concessione della protezione umanitaria (che si è vista essere stata esclusa per i detti deficit di allegazione).

All’inammissibilità del ricorso non segue la decisione sulle spese di questa fase del processo, non avendo il Ministero intimato svolto difese; segue invece il raddoppio del contributo unificato poichè il richiedente non è stato ammesso al PASS.

PQM

La Corte:

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 9 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2019

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