Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23466 del 26/08/2021

Cassazione civile sez. III, 26/08/2021, (ud. 09/03/2021, dep. 26/08/2021), n.23466

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 38510-2019 proposto da:

H.M.M., rappresentato e difeso dall’avv.to DANIELA

GASPARIN, (daniela.gasparin.milano.pecavvocati.it) elettivamente

domiciliato presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione

in Roma, piazza Cavour;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2187/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/03/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. H.M.M., proveniente dal (OMISSIS) ricorre affidandosi a tre motivi per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Milano che aveva confermato la pronuncia del Tribunale con la quale era stata rigettata la domanda di protezione internazionale declinata in tutte le forme gradate, in ragione del diniego a lui opposto in sede amministrativa dalla competente Commissione territoriale.

1.1. Per ciò che qui interessa, il ricorrente aveva narrato di essere stato costretto a lasciare il proprio paese in quanto si era trasferito dal proprio villaggio a Dacca per cercare un lavoro che lo facesse uscire dallo stato di povertà nel quale versava. Ha aggiunto che aveva iniziato a fare il sarto, ma successivamente era stato aggredito da un gruppo di facinorosi che lo avevano minacciato e picchiato. Aveva quindi intrapreso la rotta balcanica per sottrarsi alle continue violenze ed era giunto in Italia dopo un lungo viaggio.

1.2. Il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” non notificato al ricorrente, chiedendo di poter partecipare alla eventuale udienza di discussione della causa ex art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2, 3, 4,5,6,7, nonché del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 27 e l’omesso esame di fatti decisivi e assenza di motivazione nonché violazione dei parametri normativi relativi agli atti di persecuzione nel paese di origine.

1.1. Lamenta che la Corte territoriale non aveva osservato il paradigma interpretativo prescritto dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 3, comma 5 per la valutazione di credibilità del racconto.

2. Con il secondo motivo, deduce, ancora, la violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità, in violazione del dovere di cooperazione istruttoria e della definizione di “danno grave”, nonché la violazione degli artt. 6 e 13 della Convenzione EDU, dell’art. 47 della Carta dei diritti e dell’art. 46 Dir UE 2013/32.

3. I motivi devono essere congiuntamente esaminati per la parziale sovrapponibilità e la stretta interconnessione logica.

3.1. Essi sono entrambi inammissibili.

3.2. Premesso, infatti, che la seconda censura in alcune parti (cfr. pag. 14 del ricorso) è riferita alla sentenza di primo grado e non a quella d’appello e non si confronta, pertanto, con il provvedimento impugnato, si osserva che le argomentazioni prospettate per inficiare il giudizio di inattendibilità del racconto formulato dalla Corte sono talmente generiche da renderle prive di decisività ai fini di una diversa valutazione della controversia.

3.3. Per contro la motivazione della Corte, pur sintetica, risulta al di sopra della sufficienza costituzionale, in quanto, dopo aver esaminato il racconto nel suo complesso, ne evidenzia le insanabili contraddizioni e, soprattutto, la totale differenza rispetto storia narrata dinanzi alla Commissione Territoriale, fatto questo sul quale si incentra, legittimamente, la conclusiva valutaizione di inattendibilità del racconto.

3.4. Il paradigma argomentativo predicato dal D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 3, comma 5, dunque, risulta rispettato, ed entrambe le censure, in relazione alla credibilità dei fatti narrati, mascherano una richiesta di rivalutazione di merito della specifica questione, non consentita in questa sede.

3.5. Con riferimento, poi, al dovere di cooperazione istruttoria, si osserva che in relazione all’art. 14, lett. a) e b) la censura non è decisiva, vista la valutazione negativa della credibilità; ed, in relazione al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c), la motivazione attraverso l’acquisizione di COI (alle quali non ne sono state contrapposte altre dal ricorrente) che hanno escluso la sussistenza di un conflitto armato nell’accezione coniata dalla giurisprudenza Eurounitaria – è congrua, logica oltre che non validamente criticata.

4. Con il terzo motivo, si lamenta, ancora, la violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6 e art. 19, comma 2, dell’art. 10 Cost. per motivazione apparente, nonché l’omesso esame di fatti decisivi circa la sussistenza della vulnerabilità sulla quale si deduce che sia stata resa una motivazione apparente. Il ricorrente denuncia, altresì, la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 2,3,4,5,6,7, nonché del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, artt. 8 e 27 in ordine ai presupposti della protezione umanitaria, la mancanza ed apparenza della motivazione con violazione dell’art. 132 e 156 c.p.c..

4.1. Il motivo è fondato.

4.2. La Corte, infatti, ha reso una motivazione apodittica ed inosservante dei principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte in ordine alla specifica fattispecie (cfr. Cass. 4455/2018; Cass. SU 29469/2019), con particolare riferimento alla valutazione della vulnerabilità e dell’integrazione, sulla quale era stata offerta prova documentale che non è stata affatto esaminata.

4.3. La Corte ha del tutto omesso di svolgere il giudizio di comparazione predicato dalla giurisprudenza sopra richiamata, non ha acquisito C.O.I. attendibili ed aggiornate sulle condizioni di tutela dei diritti fondamentali nel paese di origine, e, soprattutto, ha incentrato il diniego della fattispecie in esame, sulla negativa valutazione della credibilità che, invece, assume una rilevanza del tutto marginale nella valutazione dei presupposti della protezione umanitaria: è stato al riguardo affermato che “nei procedimenti in materia di protezione internazionale, la valutazione di inattendibilità del racconto del richiedente, per la parte relativa alle vicende personali di quest’ultimo, non incide sulla verifica dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 14, lett. c), in quanto la valutazione da svolgere per questa forma di protezione internazionale è incentrata sull’accertamento officioso della situazione generale esistente nell’area di provenienza del cittadino straniero, e neppure può impedire l’accertamento officioso, relativo all’esistenza ed al grado di deprivazione dei diritti umani nella medesima area, in ordine all’ipotesi di protezione umanitaria fondata sulla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione raggiunto nel nostro paese ed il risultato della predetta indagine officiosa.” (cfr. Cass. 16122/2020; Cass. 19725/2020).

4.4. Questa Corte, al riguardo, ha avuto modo di affermare che “in tema di concessione del permesso di soggiorno per ragioni umanitarie, la condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio, oltre che a quella vissuta nel paese di transito, non potendosi tipizzare le categorie soggettive meritevoli di tale tutela che è invece atipica e residuale, nel senso che copre tutte quelle situazioni in cui, pur non sussistendo i presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o della protezione sussidiaria, tuttavia non possa disporsi l’espulsione”(cfr. Cass.13079/2019; Cass. 8571/2020; Cass. 20642/2020; Cass. 198/2021)

4.5. I giudici d’appello non hanno osservato i principi sopra richiamati: la sentenza, pertanto, deve essere cassata, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, per il riesame della controversia, in relazione al motivo accolto alla luce del principio di diritto sopra evidenziato e di quelli che seguono:

a. “secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza di questa Corte, in tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza che, tuttavia, non deve essere isolatamente ed astrattamente considerato; peraltro, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione che il giudice di merito deve acquisire”;

b.”il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte, potendo incorrere in tale ipotesi, la pronuncia, ove impugnata, nel vizio di violazione di legge”;

c. “il riferimento alle fonti ufficiali aggiornate, attendibili e specifiche rispetto alla situazione individuale dedotta configura un dovere del giudice che giammai potrà determinare una inversione, a carico del richiedente, dell’onere postulato dal D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 5 e D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3”.

La Corte di rinvio provvederà anche in ordine alla decisione relativa alle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte,

accoglie il terzo motivo di ricorso e dichiara inammissibili il primo ed il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione anche per la decisione in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 9 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2021

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