Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23466 del 20/09/2019

Cassazione civile sez. I, 20/09/2019, (ud. 02/07/2019, dep. 20/09/2019), n.23466

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 28176-2018 proposto da:

O.V., domiciliato in ROMA, presso la Cancelleria Centrale

della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato

PAOLO RIGHINI giusta procura speciale estesa in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA n. 2214/2018,

depositata il 29.8.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

2.7.2019 dal Consigliere Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO.

Fatto

RILEVATO

CHE:

O.V. propone ricorso, affidato a due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Corte di Appello di Bologna aveva respinto l’appello avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna emessa in data 1.4.2017 in rigetto della sua domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione internazionale;

la domanda del ricorrente era stata motivata in ragione dei rischi di rientro nel suo Paese d’origine (Nigeria, regione dell'(OMISSIS)) dovuti al suo vissuto personale, narrando che durante una caccia notturna, a causa della scarsa visibilità notturna, aveva, accidentalmente, sparato ad una donna, della quale aveva cagionato la morte, oltre al ferimento della figlia, che era legata alla sua schiena, e, nonostante avesse immediatamente cercato di soccorrere la donna e la figlia, i familiari della donna uccisa lo avevano ricercato per ucciderlo, motivo per il quale era fuggito raggiungendo l’Italia;

il Ministero dell’Interno è rimasto intimato;

il ricorrente ha depositato da ultimo memoria difensiva e documentazione integrativa.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. va preliminarmente dichiarata inammissibile la produzione, successivamente al deposito del ricorso, di tre buste paga dell’odierno ricorrente, in quanto tale produzione viola il disposto dell’art. 372 c.p.c., non trattandosi di atti relativi alla nullità della sentenza impugnata o all’ammissibilità del ricorso;

2.1. con il primo motivo di ricorso si fa valere violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 lamentando che l’iter argomentativo seguito dalla Corte di Appello rappresenti frutto della mancata cooperazione con il richiedente asilo, sebbene dalla documentazione in atti fosse emersa una realtà sociale che induceva a considerare credibile quanto riferito dal ricorrente, dato che la descrizione del contesto all’interno del quale si inseriva la sua vicenda personale risultava coerente con usi e costumi della Nigeria, con conseguente erroneità delle affermazioni della Corte territoriale secondo la quale, il ricorso, da parte del marito della vittima, alle pratiche magiche, rappresentava la parte più incredibile del racconto dell’appellante;

2.2. con il secondo motivo di ricorso si fa valere vizio di motivazione e violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 avendo la Corte d’Appello erroneamente valutato gli aspetti riguardanti l’attuale situazione in cui versava il paese di origine del ricorrente, laddove escludeva la protezione sussidiaria per il solo fatto che il ricorrente provenisse da una zona della Nigeria ritenuta non pericolosa, mentre nel caso in esame, in caso di rientro coatto, il richiedente sarebbe stato privato della titolarità e dell’esercizio dei diritti riconosciuti alla persona, a livello internazionale, venendo assoggettato, non ad un equo processo, bensì alla giustizia sommaria del suo villaggio, prescindendo la Corte dal valutare, al fine della concessione della protezione umanitaria, l’inserimento lavorativo del ricorrente;

2.3. le doglianze, da esaminare congiuntamente, vanno disattese;

2.4. va premesso che in materia di protezione internazionale questa Corte di legittimità si è da tempo espressa nel senso che la valutazione in ordine alla credibilità soggettiva del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al Giudice del merito, il quale deve stimare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, in forza della griglia valutativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, lett. c);

2.5. l’apprezzamento, di fatto, risulta censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340/2019);

2.6. va poi evidenziato che il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) e h) conformemente al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, comma 1, lett. f) e g) definisce “persona ammissibile alla protezione sussidiaria” il “cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel Paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel Paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può, o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto Paese”;

2.7. la definizione di “danno grave” è fornita dal successivo art. 14 il quale lo identifica: a) nella condanna a morte; b) nella tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante; c) nella minaccia grave e individuale alla vita derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale;

2.8. questa Corte (cfr. da ultimo Cass. n. 3016/2019) è già reiteratamente intervenuta a chiarire quale sia, nell’ambito della domanda di protezione sussidiaria, il riparto degli oneri di allegazione e prova, ed in qual senso debba essere intesa la nozione di “cooperazione istruttoria” invocata dal ricorrente, ricondotta alla previsione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in particolare comma 5;

2.9. in primo luogo, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la “cooperazione istruttoria” consiste si colloca non dal versante dell’allegazione, ma esclusivamente da quello della prova, in quanto l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, dovendo il richiedente presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio, giacchè, in mancanza di altro sostegno, le dichiarazioni del richiedente sono considerati veritiere soltanto, tra l’altro, “se l’autorità competente a decidere… ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 5);

2.10. ne consegue che solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto l’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda nella fattispecie anche in questo caso oggettivamente dedotta, ossia ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2017, art. 14, lett. c) (cfr. Cass. n. 17069/2018);

2.11. per converso, se l’allegazione manca, l’esito della domanda è segnato, in applicazione del principio secondo cui la domanda di protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il Giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 19197/2015);

2.12. è opportuno inoltre osservare che, una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere del Giudice di cooperazione istruttoria – i.e. di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari – è circoscritto alla verifica della situazione obbiettiva del paese di origine, e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente; in particolare (cfr. Cass. n. 14006/2018, 13858/2018), in tema di protezione sussidiaria dello straniero, prevista nella già citata fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’ipotesi della minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale implica, alternativamente: una contestualizzazione della minaccia suddetta, in rapporto alla situazione soggettiva del richiedente, laddove il medesimo sia in grado di dimostrare di poter essere colpito in modo specifico, in ragione della sua situazione personale; ovvero la dimostrazione dell’esistenza di un conflitto armato interno nel Paese o nella regione, caratterizzato dal ricorso ad una violenza indiscriminata, che raggiunga un livello talmente elevato da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile, rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione, correrebbe, per la sua sola presenza su quel territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia;

2.13. ne consegue che, mentre il Giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare – elettivamente, ma non esclusivamente, attraverso lo scrutinio dei c.d. c.o.i., country of origin informations – se nel paese di provenienza sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, egli non può essere chiamato – nè d’altronde avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal già citato art. 3, comma 5;

2.14. poste tali premesse, la valutazione sul punto svolta dai Giudici di appello si sottrae a sindacato di questa Corte di legittimità, avendo la Corte di merito, con riguardo alla richiesta di protezione sussidiaria, di cui all’art. 14 cit., lett. a) e b) fondato la sua decisione sfavorevole alla tesi del ricorrente sulla scarsa credibilità del racconto del richiedente valorizzando, oltre alle “gravissime lacune e contraddizioni interne” circa il racconto dell’incidente di caccia, avendo omesso il richiedente di circostanziare le modalità su aspetti fondamentali del racconto, essendo caduto in contraddizione circa il ferimento della bambina, avendo inoltre reso versioni diverse dell’accaduto dinanzi alla Commissione territoriale ed al Giudice di prime cure e comunque incoerenti e non plausibili, in particolare circa “la persistenza delle minacce nei suoi confronti da parte del marito della vittima, che sarebbe ricorso… a pratiche magiche (il juju) per lanciare una maledizione contro il richiedente asilo, essendovi stato autorizzato dal verdetto emesso da una sorte di tribunale tribale”, ciò essendo in pieno contrasto con il sistema legale nigeriano dove le vicende di rilievo penale sono riservate alla giurisdizione dello Stato, con adeguata distinzione tra omicidio volontario e colposo, dovendo quindi escludersi la sussistenza delle ipotesi di protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b);

2.15. la prima doglianza, sollevata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 con riferimento alla credibilità della vicenda personale narrata dal richiedente protezione, è quindi inammissibile, avendo il richiedente dedotto in modo del tutto generico la violazione delle nome di legge sopra indicate, attraverso il richiamo delle disposizioni asseritamente disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata dalla Corte di Appello, sebbene questa Corte abbia più volte affermato il principio, secondo il quale “in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” se non nei limiti del vizio di motivazione come indicato dall’art. 360 c.p.c., comma, n. 5, nel testo riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (Cass. 24155/2017; 195/2016; 26110/2015), censura nella fattispecie in alcun modo formulata, ed “il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (cfr. Cass. 7394/2010);

2.16. il Tribunale ha espresso un giudizio negativo sulla credibilità del richiedente, circa la situazione personale dello stesso, sulla base di plurimi elementi ritenuti rilevatori dell’inverosimiglianza della sua narrazione, in maniera del tutto conforme ai parametri cui l’autorità amministrativa e, in sede di ricorso, quella giurisdizionale, sono tenute ad attenersi ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5;

2.17 si tratta di un accertamento di fatto che non può essere in questa sede messo in discussione se non denunciando, ove ne ricorrano i presupposti, il vizio di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5, che nella specie non è censurato;

2.18. in relazione alla censura di mancata valutazione del generale contesto politico e ordinamentale del Paese di provenienza il Collegio rileva che il Tribunale ha poi comunque approfonditamente esaminato la situazione politica della Nigeria, ed in particolare della regione dell'(OMISSIS), che ha dato atto, dopo ampia motivazione, che la situazione del Paese e del distretto di origine (nel Sud della Nigeria, l'(OMISSIS)), quale emergente da diverse fonti internazionali aggiornate enucleate, non evidenziava una violenza diffusa ed indiscriminata derivante da conflitto armato tale da porre in serio pericolo il richiedente, in quanto anche i maggiori attacchi terroristici non avevano interessato la regione di provenienza del ricorrente, concludendo che ove il ricorrente rientrasse nel suo Paese, sarebbe unicamente sottoposto ad un’indagine finalizzata a chiarire le modalità nelle quali si sarebbe svolto l’asserito incidente di caccia e quindi la sua eventuale responsabilità per omicidio colposo, dovendo escludersi invece forme di persecuzione o di attentato alla sua vita;

2.19. anche tale censura si risolve quindi in una critica del ragionamento logico posto dal Giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012 (cfr. Cass., Sez. Un., n. 8053/2014);

2.20. con riguardo poi alla protezione umanitaria, che la Corte di merito ha negato sul rilievo che l’appellante non avesse “specificato le ragioni poste a fondamento della sua pretesa”, producendo al contempo tardivamente, e quindi inammissibilmente, in allegato alla comparsa conclusionale, documentazione a sostegno del preteso positivo inserimento del richiedente asilo in Italia, il Collegio rileva che anche il giudizio di protezione internazionale non si sottrae alle regole proprie di ogni processo civile, e dunque sull’attore grava pur sempre l’onere di allegazione tempestiva dei fatti rilevanti ai fini della protezione internazionale, fatti che egli è tenuto a indicare, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. nn. 27336/2018, 19197/2015);

2.21. in generale a tal riguardo le comparse conclusionali non rilevano se non per la funzione di illustrare le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fondano le domande e le eccezioni già proposte, donde – anche in tema di protezione internazionale – non possono contenere un ampliamento del disputandum, e per tale ragione il vizio motivazionale, qui eccepito, con riguardo anche alla protezione umanitaria non può dirsi sussistente;

3. il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile;

4. nulla sulle spese stante la mancata costituzione del Ministero;

5. deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, statuizione che la Corte è tenuta ad emettere in base al solo elemento oggettivo, costituito dal tenore della pronuncia (di inammissibilità, improcedibilità o rigetto del ricorso, principale o incidentale), senza alcuna rilevanza delle condizioni soggettive della parte, come l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (cfr. Cass. n. 9660/2019)

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di Cassazione Sezione Prima Civile, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2019

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