Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23465 del 20/09/2019

Cassazione civile sez. I, 20/09/2019, (ud. 28/06/2019, dep. 20/09/2019), n.23465

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29787/2018 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in Torino, via Groscavallo n. 3,

presso lo studio dell’avvocato Alessandro Praticò, che lo

rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1104/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 08/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/06/2019 dal cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- Con ordinanza del 14 ottobre 2017, il Tribunale di Torino ha respinto il ricorso presentato da M.A., cittadino nigeriano (regione (OMISSIS)), avverso il provvedimento della Commissione territoriale di Novara di diniego di riconoscimento della protezione internazionale, nonchè della protezione umanitaria.

Con sentenza depositata l’8 giugno 2018, la Corte di Appello di Torino ha poi rigettato l’impugnazione proposta al riguardo dal cittadino nigeriano.

2.- La Corte torinese ha osservato, in particolare, che “nel corso del racconto reso innanzi alla Commissione territoriale, l’appellante ha dichiarato in maniera abbastanza precisa che i motivi dell’espatrio sono legati a questioni intrafamiliari ed altrettanto precisamente ha dichiarato di non avere subito minacce da alcuno se non da una zia. Ha anche dichiarato di temere di morire come i fratelli, morti – a suo dire – a seguito di riti wodoo”.

Ha altresì rilevato che, nell’attuale, la Nigeria è paese che non integra i presupposti prescritti dalla norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14: quanto meno non li integra nella zona di provenienza del richiedente, che risulta molto distante dal nord del Paese.

Quanto infine alla protezione umanitaria, la Corte territoriale ha riscontrato che, nella sostanza, il richiedente non ha indicato la sussistenza di “specifiche situazioni personali di vulnerabilità”.

3.- Avverso questo provvedimento ricorre per cassazione M.A., svolgendo due motivi.

Il Ministero non ha svolto attività difensive nel presente grado del giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.- Il ricorrente censura la sentenza della Corte di Appello di Torino: (i) col primo motivo, per “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6 e 14 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, artt. 2, 3, 6 e 13 CEDU, art. 46 Direttiva Europea n. 2013/32, art. 111 Cost., comma 6, per non avere applicato in modo corretto le norme sull’onere della prova e sulla valutazione di credibilità del richiedente asilo, e per avere omesso l’esperimento dell’istruttoria richiesta dalla legge nell’esame delle domande di protezione internazionale, avendo omesso l’acquisizione di informazioni aggiornate sulla situazione socio politica della Nigeria, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione, e per non avere la Corte di Appello valutato la documentazione in atti in ordine alla situazione della Nigeria, oltre al vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) per omessa motivazione/motivazione apparente ovvero inosservanza dell’obbligo imposto al giudice dall’art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 112 e 156 c.p.c.”; (ii) col secondo motivo, per “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, artt. 2 e 10 Cost., art. 88 Conv. Europea dei diritti dell’uomo, art. 360 c.p.c., comma 1, per avere motivato in maniera generica e senza sufficiente istruttoria nell’esame della domanda di protezione umanitaria”.

5.- Con il primo motivo, il ricorrente afferma che la Corte di Appello ha dato una motivazione solo apparente della valutazione di non credibilità della narrazione del ricorrente; che “numerose fonti di informazione e giurisprudenza di merito” hanno rilevato la presenza di una situazione di violenza generalizzata in Nigeria; che nei fatti la famiglia del ricorrente era stata fatto oggetto – “in quanto colpita da riti wodoo” – di una vera e propria “persecuzione posta in essere dalla comunità locale”.

6.- Il motivo è inammissibile.

La prima censura non si confronta con la ratio decidendi della sentenza. Che non fa affatto leva sul tema della credibilità del racconto del ricorrente, quanto piuttosto sul carattere infrafamiliare delle ragioni che hanno indotto il ricorrente all’espatrio, secondo il racconto fornito dallo stesso.

La seconda censura richiede una nuova valutazione degli elementi materiali della fattispecie. E fa, inoltre, riferimento indiscriminato al Paese della Nigeria, là dove la Corte territoriale ha avuto cura di restringere l’osservazione alla specifica zona di provenienza del ricorrente (zona, peraltro, che il motivo di ricorso non prende in alcuna considerazione).

La terza censura si manifesta, se non altro, oltremodo generica, posto che non indica nè tipo e modalità di persecuzione che sarebbero poste in essere contro il ricorrente, nè i luoghi dove il tema sarebbe stato sviluppato nell’ambito dei precedenti gradi di giudizio.

7.- Il secondo motivo di ricorso fa riferimento alla tematica della protezione umanitaria. E assume che la Corte di Appello ha violato in proposito il potere/dovere di cooperazione istruttoria.

8.- Il motivo è inammissibile.

La Corte di Torino ha rilevato, invero, la mancata indicazione, da parte del richiedente, di situazioni di vulnerabilità specifica alla propria persona. Nè può in alcun modo dubitarsi che l’assolvimento di un simile onere di allegazione costituisca presupposto necessario perchè possa diventare attivabile un dovere di cooperazione istruttoria.

Del resto, neppure nel contesto del motivo che ha presentato, il ricorrente enuncia fatti in qualche modo considerabili come relativi a situazioni specifiche di vulnerabilità.

9.- In conclusione, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile.

10.- Deve darsi atto che sussistono, nella fattispecie, i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, secondo la disposizione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Ciò si deve fare a prescindere dal riscontro dell’eventuale provvedimento di ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, poichè la norma esige del giudice unicamente l’attestazione dell’avere adottato una decisione di inammissibilità o improcedibilità o di reiezione integrale dell’impugnazione, anche incidentale, competendo poi in via esclusiva all’Amministrazione di valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, vi sia in concreto, a motivo di fattori soggettivi, la possibilità di esigere la doppia contribuzione (Cass., n. 9661/2019, la cui articolata motivazione si richiama).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 28 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2019

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