Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23464 del 26/10/2020

Cassazione civile sez. trib., 26/10/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 26/10/2020), n.23464

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. R.G. 24550/2014, proposto da:

C.P., rappresentato e difeso, dall’avv.to Mariano Nicola

Gerardo Orenga e dall’avv.to Francesco Ferrari, in virtù di mandato

a margine del ricorso, tutti elettivamente domiciliati in Roma, alla

via Cassiodoro n. 19, presso lo studio dell’avv.to Giuseppe Torre;

– Ricorrente –

contro

Agenzia dell’Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, ope legis, dall’Avvocatura Generale

dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– Controricorrente –

Avverso la sentenza n. 154/1/14 della Commissione Tributaria

Regionale della Lombardia, depositata in data 26/02/2014;

udita la relazione svolta dal Consigliere Rosita d’Angiolella nella

camera di consiglio del 23 ottobre 2019.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Con sentenza n. 154/1/14, depositata il 26/02/2014, non notificata, la CTR della Basilicata accolse l’appello proposto da dall’Agenzia delle Entrate contro C.P., avverso la sentenza della CTP di Potenza, che aveva invece accolto il ricorso del contribuente avverso gli avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio, ritenuta l’incongruenza del reddito dichiarato dal contribuente rispetto alla indici della capacità contributiva, aveva rideterminato, con metodo sintetico, il reddito imponibile, per l’anno 2004, in Euro 58.945,76.

Avverso la sentenza della CTR, C.P. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con due articolati motivi di ricorso il contribuente, C.P., deduce errores in iudicando e/o in procedendo, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in cui sarebbero incorsi i giudici di secondo grado per violazione del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, lett. c), per avere l’ufficio notificato l’atto di appello durante il periodo di sospensione dei termini processuali per aderire al condono, con conseguente inammissibilità del gravame, nonchè del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38 e art. 39, per incongruità dell’accertamento, dettato dall’eccessiva incidenza dei costi dei beni mobili ed immobili sulla determinazione della capacità di spesa.

Quanto alla questione, di cui al primo motivo di ricorso, relativa alla automatica sospensione della lite che, secondo il ricorrente, è determinata dal combinato disposto del D.L. n. 98 del 2011 e della L. n. 289 del 2002, art. 16, correttamente la commissione tributaria regionale ha escluso qualsiasi applicabilità delle norme in materia di sospensione processuale (artt. 298,295 e 296 c.p.c.).

Come ritenuto dai secondi giudici, le impugnazioni proposte nella vigenza del periodo di sospensione per adesione al condono fiscale, di cui al D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, conv. in L. n. 111 del 2011, continuano a spiegare la loro efficacia, atteso che nulla hanno a che vedere con l’esigenza sottesa alla sospensione dei termini di cui alla citata normativa, che è quella di garantire al contribuente un congruo spazio temporale per aderire al condono. Pur correndo l’impugnazione di parte avversa, dunque, il contribuente, laddove avesse voluto avvalersi del condono avrebbe potuto farlo, aderendo al condono, nonostante il giudizio di appello fosse già stato instaurato dall’Agenzia delle Entrate. Vieppiù, nella fattispecie in esame, il contribuente non ha allegato, nè tanto meno documentato, di aver presentato domanda di definizione della lite, così dimostrando che nessun pregiudizio ha sofferto, per tale definizione, dall’impugnazione di controparte. In tal senso è stato evidenziato che, in tema di disciplina di definizione delle liti fiscali pendenti ai sensi del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, ex art. 39, comma 12, (conv., con mod. nella L. 15 luglio 2011, n. 111), l’astratta definibilità della lite, nella specie di valore inferiore a ventimila Euro, per la sussistenza dei presupposti richiesti, non determina di per sè l’automatica sospensione del procedimento fino al 30 giugno 2012, se ne sia stata fissata la data di trattazione, in quanto, ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 39, comma 12, cit. e art. 16, comma 6, è necessario che la parte faccia richiesta di volersi avvalere della speciale normativa. (cfr. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23618 del 11/11/2011, Rv. 620208-01).

Anche il secondo motivo di ricorso è infondato. Con esso il ricorrente censura l’operato dei secondi giudici, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione delle norme riguardanti l’accertamento sintetico, nonchè, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi decisivi per il giudizio, tra cui: il fatto che il contribuente, durante il periodo di imposta oggetto di accertamento, svolgeva attività di impresa di autotrasporti, sicchè la fonte primaria del reddito era costituita dai proventi di dette attività; le risultanze del reddito dichiarato erano frutto non solo dei ricavi conseguiti per l’attività di impresa, ma anche della detrazione e/o deduzione dei costi inerenti all’impresa; la mancata considerazione, nella valutazione di beni mobili registrati e degli immobili, delle condizioni di mercato e del loro grado di vetustà.

La commissione tributaria regionale, a fronte delle contestazioni del contribuente, ha ritenuto che l’accertamento riguardava il credito personale e non d’impresa, con conseguente l’applicazione delle disposizioni di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38 e non art. 39 e relativa valutazione della posizione economica e finanziaria della persona fisica, ritenendo, perciò, la correttezza dell’attività dell’Ufficio che ha assunto, a parametro dell’accertamento del reddito personale, le risorse a disposizione del contribuente e della sua famiglia.

Orbene, non v’è chi non veda come le doglianze di cui al secondo motivo, sotto l’apparente veste della denuncia di violazione di legge, riguardano, in realtà, motivi che attengono al merito della controversia, e che tendono, surrettiziamente, ad introdurre una nuova valutazione degli elementi di fatto, il cui esame è riservato al giudice di merito, inammissibile in questa sede.

Vieppiù, la doglianza proposta in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per motivazione illogica, insufficiente e contraddittoria, circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, risulta inammissibile anche sott’altro aspetto, considerato che oggetto di impugnazione è una sentenza pubblicata in epoca successiva al 12 settembre 2012, data dalla quale è entrato in vigore l’art. 360 c.p.c., nuovo testo del n. 5, che consente l’impugnazione per la diversa ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; peraltro, il fatto in questione, deve riferirsi a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non ricomprendente questioni o argomentazioni, che, se preso inconsiderazione dal giudice, avrebbe inciso sull’esito della controversia, del che non v’è traccia nel motivo di ricorso.

Conclusivamente, il ricorso deve essere integralmente rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13 cit., comma 1 bis, se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate, che liquida in complessivi Euro 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020

 

 

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