Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 23463 del 06/10/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 06/10/2017, (ud. 14/09/2017, dep.06/10/2017),  n. 23463

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18602-2016 proposto da:

NEBRODI S.R.L. (P.I. (OMISSIS)), in persona del suo legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA piazza Cavour

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e

difesa dall’avvocato GIOVANNI FIANNACCA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PORTOGHESI 12,

presso l’AVATOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2354/2/2015 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DI PALFRMO SEZIONE DISTACCATA di MESSINA, depositata il

08/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/09/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO MANZON.

Disposta la motivazione semplificata su concorde indicazione del

Presidente e del Relatore.

Fatto

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 25 febbraio 2015 la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione distaccata di Messina, respingeva l’appello proposto dalla Nebrodi srl avverso la sentenza n. 75/4/07 della Commissione tributaria provinciale di Messina che ne aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento IRAP, IRPEG, IVA 1999. La CTR osservava in particolare che l’atto impositivo impugnato era adeguatamente motivato, con il richiamo per relationem ai processi verbale di constatazione redatti sia nei confronti della società contribuente sia nei confronti della Animai Import srl, affermata società “cartiera”; che comunque le prove indiziarie allegate dall’Ente impositore a suffragio della contestazione di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti dovevano considerarsi anch’esse adeguate al fine asseverativo della contestazione medesima, anche sotto il profilo della consapevolezza della società contribuente della natura di “cartiera” della società emittente le fatture.

Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo tre motivi.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, – si duole della violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36 poichè la CTR ha omesso di considerare nella loro totalità i motivi di gravame e le relative argomentazioni, particolarmente in relazione ai profili di valutazione probatoria.

La censura è inammissibile e comunque infondata.

Trattandosi di “doppia conforme”, la deduzione del vizio motivazionale della sentenza impugnata è precluso dall’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5.

In ogni caso, anche si volesse prescindere dalla espressa qualificazione del mezzo da parte della ricorrente, riqualificandolo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la sentenza impugnata risulta comunque motivata ben oltre il “minimo costituzionale” e sicuramente non è viziata per “motivazione apparente” (cfr. Cass. 8053/2014, 22232/2016), essendo nella sentenza stessa chiaramente esposte le ragioni meritali di reiezione dell’appello.

Con il secondo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, – la ricorrente afferma la violazione/errata applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., art. 2697 cod. civ., poichè la CTR non ha adeguatamente considerato le sue eccezioni di illegittimità dell’atto impositivo impugnato per vizio motivazionale e non correttamente applicato i principi in materia di valutazione del materiale probatorio e dell’onere della prova.

La censura è infondata.

Va infatti ribadito che:

-“La L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, che si riferisce solo agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza, consente di assolvere all’obbligo di motivazione degli atti tributari anche “per relationem”, ovvero mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione permette al contribuente ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9323 del 11/04/2017, Rv. 643954 – 01);

-“Con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sè coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 7921 del 2011);

-“1n tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione” (ex multis Sez. 5, n. 26110 del 2015); -“In materia di detrazione IVA, liquidata nella fattura passiva emessa dal cedente e versata in rivalsa dal cessionario, qualora sia contestata la inesistenza soggettiva dell’operazione, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche in via presuntiva, ex art. 2727 cod. civ., la interposizione fittizia del cedente ovvero la frode fiscale realizzata a monte dell’operazione, eventualmente da altri soggetti, nonchè la conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario della frode commessa; spetta, invece, al contribuente che intende esercitare il diritto alla detrazione o al rimborso, provare la corrispondenza anche soggettiva della operazione di cui alla fattura con quella in concreto realizzata ovvero l’incolpevole affidamento sulla regolarità fiscale, ingenerato dalla condotta del cedente” (Sez. 5, Sentenza n. 13803 del 18/06/2014, Rv. 631553 – 01).

La sentenza impugnata è conforme ai principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali.

In particolare la CTR ha esaustivamente argomentato circa la riproduzione del contenuto essenziale dei PVC basanti l’avviso di accertamento impugnato, con specifico riguardo alla natura di società “cartiera” della Animal Import srl, ed ha poi espresso sull’adeguatezza del relativo supporto probatorio un giudizio meritale che, appunto in virtù del secondo e del terzo arresto giurisprudenziale citati, non è ulteriormente sindacabile in questa sede.

Con il terzo motivo – ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, – la ricorrente lamenta violazione dell’art. 75 TUIR e dell’art. 53 Cost. nonchè errata applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54, poichè la CTR non ha considerato la deducibilità dei costi ai fini delle imposte dirette anche nella ipotesi di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti e non ha considerato detraibile A su tali fatture.

La censura è parzialmente fondata.

In ordine al profilo relativo alla detraibilità dell’IVA la censura propone a questa Corte valutazioni di merito che le sono precluse secondo i principi di diritto che sopra sono stati richiamati.

Dunque in parte qua il mezzo è da ritenersi senz’altro inammissibile.

Di contro la censura è fondata per il profilo inerente le imposte reddituali.

Va infatti rilevato che lo jus superveniens evocato (L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, introdotto dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1), essendo successivo alla proposizione dell’appello non poteva dunque essere posto con il ricorso introduttivo del giudizio, ancorchè tuttavia nello stesso si sia comunque contestata la fondatezza della pretesa erariale in ogni suo aspetto, quindi anche per quanto appunto concerne le maggiori imposte dirette rivenienti dal fatto costitutivo allegato dall’Ente impositore (fatture per operazioni inesistenti, indeducibilità reddituale dei costi relativi).

La disposizione legislativa in questione deve pertanto essere considerata nella formulazione del giudizio meritale inerente questa parte della pretesa erariale portata dall’atto impositivo in esame e, limitatamente a tale punto decisionale, la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice a quo per una sua nuova valutazione.

PQM

 

La Corte, rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso nonchè il terzo motivo con riguardo accoglie il terzo motivo di ricorso limitatamente alle imposte dirette; cassa la sentenza impugnata, e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione distaccata di Messina, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 ottobre 2017

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